Roma, prove tecniche di The Hub

L’innovazione non è Ict ma ne richiede la conoscenza, anche per lo sviluppo di modelli sociali rinnovati da esperienze assorbite in giro per il mondo. Dopo Milano, anche Roma sta convergendo verso l’idealismo pragmatico.

The Hub è un’idea per l’innovazione sociale con un progetto chiaro che si sta via via spandendo nel mondo e anche in Italia. Se organizzarsi a Milano è risultato abbastanza veloce, più lungo sta risultando l’iter romano.

Il gruppo c’è, già costituito ad associazione con 60 membri che pagano una piccola quota, ma le intenzioni andranno verificate una volta trovato lo spazio opportuno. C’è necessità d’un ampio locale che possa essere attrezzato opportunamente, a prezzi convenienti vista sia la crisi, sia la quota associativa all’organizzazione internazionale, due addendi che danno un totale non leggerissimo.

L’Associazione romana non perde occasione per affinare il progetto, promuoverlo, realizzarlo, come ha fatto all’interno di Index Urbis, la festa dell’architettura magnificamente incentrata da Francesco Garofalo intorno al concetto di bioarchitettura, tenutasi in vari luoghi capitolini tra il 9 e il 12 giugno.

Il luogo scelto per la “festa” è la Pelanda, recentemente inaugurata nello spazio del Macro, il museo dell’arte moderna e contemporanea della Capitale, nella sede del quartier Testaccio. E’ un altro tassello del mosaico che Roma sta andando ricomponendo dopo decenni di disinteresse e nei confronti dell’innovazione come cultura, per sopperire alla cronica mancanza di spazi e che sottolinea il forte legame dell’innovazione tra tecnologia, architettura e arte. Tra le proposte ospitate c’è anche un temporary hub, a dimostrazione delle possibilità.

 
Firtuality, ovvero far rete fisica e virtuale

“The Hub è uno spazio attrezzato, fisico e virtuale, per il coworking sociale”, dice Alessandro Nasini, socio fondatore dell’associazione The Hub Roma. “Nasce come incubatore di nuove iniziative di stampo sociale, non sviluppate intorno ad un’idea di business tradizionale ma capaci di aggregare un forte interesse”.

A chi abbia idee che rientrano nel target sociale ed eco-compatibile, l’Associazione fornisce una struttura fisica condiviso per lavoro singolo o di gruppo, riunioni e presentazioni, una rete di persone che forniscono consiglio, contatti con business angels e un’entratura internazionale.

L’innovatività di questo approccio è nella negazione dell’architettura business-as-usual come unica architettura, proponendo un’alternativa che confida molto nelle energie libere che vengono prosciugate nella burocrazia, ma raccolte ed incanalate nei flussi del social networking. “Definiamo il nostro approccio un idealismo pragmatico”, dice sorridendo Alfonso Molina, economista all’università di Tor Vergata (Roma).
“La parola centrale è firtuality, unione di fisico e virtuale”, spiega Alfonso, proponendo un’altra contrapposizione in termini. Oltre allo spazio fisico, la rete Hub mette a disposizione un social network specifico tra le varie sedi in tutto il mondo, permettendo un’immediata visibilità a tutti i livelli.
“Il modello di finanziamento si differenzia da tutti gli altri”, ha commentato Salvatore Iaconesi, curatore dell’Atlante delle visioni, “parte anche dal microcredito per poi svilupparsi secondo pattern non dettagliati in modo tradizionale e quindi apparentemente non convergenti”.

Iaconesi non è membro dell’associazione, ma ha partecipato ai lavori del temporary hub, i cui locali erano attigui alla sua esposizione. L’Atlante racconta Roma, rimappandola secondo nuove cartografie culturali, in un bellissimo allestimento info-estetico con proiezioni multiple su una parete di 35 metri. L’infoestetica è un’istanza di un più ampio progetto tecnologico pensato anche da Paolo Valente e Giuseppe Stampone.

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