Rivalutazione di immobili: ulteriori chiarimenti dal fisco

L’Agenzia delle Entrate interviene nuovamente sulla rivalutazione di immobili nell’ambito del reddito d’impresa modificata dal provvedimento “anticrisi”

Attraverso la circolare n. 22/E, il Fisco propone una serie di chiarimenti aggiuntivi a proposito delle modalità di rivalutazione dei beni immobili, da operarsi ai sensi dell’articolo 15, commi da 16 a 23, del decreto legge 29 novembre 2008, n. 185.


Si ricorda che la norma in esame (convertita con modificazioni dalla legge n. 2 del 28 gennaio 2009 e modificata dal decreto legge n. 5 del 10 febbraio 2009) consente la rivalutazione dei beni immobili delle imprese che non adottano i principi contabili internazionali nella redazione del bilancio. La rivalutazione è consentita per la generalità dei beni immobili, fatta eccezione per le aree fabbricabili e gli immobili alla cui produzione o al cui scambio è diretta l’attività d’impresa.


Detti immobili devono risultare presenti nel bilancio relativo all’esercizio in corso alla data del 31 dicembre 2007.


Le particolarità, caratterizzanti la norma in discussione, riguardano la possibilità di iscrivere in bilancio il maggior valore sui beni senza che tale maggior valore abbia riconoscimento fiscale. Qualora, però, si opti per dare rilevanza fiscale alla rivalutazione, gli effetti si produrranno a partire dal quinto esercizio successivo a quello in cui è effettuata la rivalutazione o dal sesto esercizio successivo nel caso di cessione a titolo oneroso, di assegnazione ai soci, di destinazione a finalità estranee all’esercizio dell’impresa ovvero al consumo personale o familiare dell’imprenditore dei beni rivalutati.


Il nuovo intervento dell’Agenzia delle Entrate è motivato dalla necessità di fornire degli ulteriori chiarimenti a proposito di alcuni aspetti controversi emersi dopo la pubblicazione della precedente circolare n. 11/E/09. Tuttavia, non sembra che tutte le perplessità siano state fugate, a dispetto delle precisazioni prodotte, soprattutto per quanto attiene la spinosa problematica dei terreni sottostanti gli immobili.


Ambito oggettivo di applicazione
Nel paragrafo sugli immobili oggetto di rivalutazione, il Fisco associa alla categoria dei cespiti rivalutabili anche gli impianti e i macchinari infissi al suolo. Si tratta di quei beni che, sulla base dei chiarimenti contenuti nella circolare 38/E dell’11 aprile 2008, non possono essere agevolmente rimossi e posizionati in altro luogo, mantenendo inalterata la loro originaria funzionalità.


Tale inclusione deriverebbe direttamente dall’analisi puntuale dell’articolo 812 c.c., che annovera tra gli immobili “gli edifici e le altre costruzioni, anche se unite al suolo a scopo transitorio, e in genere tutto ciò che naturalmente o artificialmente è incorporato al suolo”.


Perché tale aggregazione sia liberamente esperibile, però, precisa il Fisco, è necessario che i menzionati cespiti risultino iscritti nello stato patrimoniale alla voce B.II (Immobilizzazioni materiali).


Pertanto, nel caso di diritti reali diversi dalla proprietà (ad esempio un diritto di superficie su un immobile), è inibita la possibilità di procedere a rivalutazione se il diritto, invece di andare a incrementare il costo dell’immobile, è iscritto fra le immobilizzazioni immateriali.


A tal riguardo, va precisato che tale diritto può essere rivalutato in qualità di bene non ammortizzabile ed esclusivamente se si tratta di un diritto di durata illimitata, perché solo in questo caso il diritto di superficie è capitalizzabile con il valore dell’immobile (risoluzioni n. 157 e n. 192 del 2007).


L’Agenzia ha poi precisato, relativamente al divieto di rivalutazione sulle aree edificabili, che, ai sensi dell’art. 36, comma 2, del decreto legge n. 223 del 2006, si considera tale un’area “utilizzabile a scopo edificatorio in base allo strumento urbanistico generale adottato dal Comune, indipendentemente dall’approvazione della Regione e dall’adozione di strumenti attuativi del medesimo”.


Tale valutazione va operata entro la data di chiusura dell’esercizio in corso al 31 dicembre 2008, escludendosi le aree qualificate come edificabili dallo strumento urbanistico generale adottato dal Comune, sempreché alla stessa data non sia stata riqualificata come non edificabile dallo strumento urbanistico regionale.


Discorso a parte, invece, meritano le aree edificate, che sono rivalutabili.


Si tratta, come specifica la circolare, delle aree su cui, nell’esercizio in corso al 31 dicembre 2007, esisteva un edificio nel quale sia stato eseguito il rustico comprensivo delle mura perimetrali delle singole unità e sia stata completata la copertura.


Omogeneità delle categorie
La circolare ha ricordato che la rivalutazione, operata in ambito civilistico ed eventualmente rilevante anche sul piano fiscale, deve riguardare obbligatoriamente tutti i beni appartenenti alla medesima categoria omogenea.


In caso di rilevanza fiscale della rivalutazione, l’appartenenza dell’immobile alla categoria di quelli ammortizzabili o quella dei non ammortizzabili deve essere verificata sulla base della qualificazione fiscale del bene.


A tal riguardo, le aree occupate dalla costruzione e quelle che ne costituiscono pertinenza vanno comprese nella categoria omogenea degli immobili non ammortizzabili, mentre il fabbricato, se strumentale, deve essere compreso nella diversa categoria degli immobili ammortizzabili.


Confermato, quindi, che ai fini della rivalutazione è necessario scorporare il valore del terreno sottostante da quello dell’immobile, indipendentemente dalla circostanza che l’area stessa sia iscritta in bilancio unitamente al valore del fabbricato ovvero separatamente.


L’impresa, poi, potrà decidere autonomamente di rivalutare la sola area ovvero il solo fabbricato.


L’Agenzia, quindi, persiste nel “forzare” nel discorso relativo alla rivalutazione la distinzione, operata dalla Visco-Bersani come presunzione legale valevole solo sotto il profilo fiscale, fra fabbricato e area sottostante. Ne deriva che, nel caso venga effettuata la rivalutazione con rilevanza fiscale, i maggiori valori che distintamente vengono attribuiti a terreno e fabbricato, ne incrementano il valore fiscale. Tutto ciò comporta che il contribuente attribuisca al fabbricato un maggior valore, anche attraverso perizia (comunque non obbligatoria) distinguendo il valore dell’immobile e quello della area. Infatti, l’importo della rivalutazione dell’area di sedime non dovrà essere calcolato applicando i coefficienti di scorporo del 20 o del 30%, ma dovrà essere autonomamente determinato rispetto a quello dell’edificio.


Vale la pena di ricordare, al riguardo, che l’eventuale opzione per la rivalutazione del terreno sottostante implica necessariamente l’obbligo di rivalutazione di tutti gli altri cespiti ricompresi nella categoria degli immobili non ammortizzabili.


In proposito, la circolare ha precisato che le cave, dal momento che il maggior valore loro attribuito in sede di rivalutazione incrementa l’ammontare dell’importo fiscalmente deducibile, sono da ricomprendere nella categoria degli immobili ammortizzabili.


Metodi di rivalutazione
Sui criteri operativi per eseguire la rivalutazione, la circolare 22/E ha ribadito che la stessa può essere eseguita rivalutando sia i costi storici sia i fondi di ammortamento in misura tale da mantenere invariata la durata del processo di ammortamento e la misura dei coefficienti ovvero rivalutando soltanto i valori dell’attivo lordo o riducendo in tutto o in parte i fondi di ammortamento e che per i diversi beni della categoria omogenea possono essere utilizzati anche metodi di rivalutazione differenti.


In ogni caso, i valori iscritti in bilancio a seguito della rivalutazione non devono in alcun caso superare i valori effettivamente attribuibili ai beni in base al loro “valore corrente” o al “valore interno” del bene.


Parte della dottrina (cfr. Zambon) ha evidenziato come, nell’esempio di rivalutazione riportato dall’Agenzia nella circolare, sia stato proposto l’ammortamento civilistico a partire dall’esercizio successivo a quello nel cui bilancio la rivalutazione è eseguita, ossia dal 2009. Questo in ossequio alle indicazioni del documento interpretativo Oic n. 3 del 2009.


Tuttavia, l’esempio è costruito in modo tale che, azzerando il fondo ammortamento e incrementando il costo storico del cespite per un ulteriore differenziale, il valore netto di bilancio al 31.12.2008 (a fondo ammortamento zero) sia esattamente pari al valore di mercato, così come risultante da stima, rispettando la regola prevista dal primo periodo dell’art. 6 del Dm 162/01, che prevede che il valore attribuito al bene non possa superare il valore realizzabile sul mercato. Un’incongruenza, però, si nota con la prescrizione del secondo periodo del medesimo articolo 6, dove è stabilito che “Il valore netto del bene risultante dal bilancio nel quale la rivalutazione è eseguita, aumentato della maggiore quota di ammortamento derivante dal valore rivalutato, non può essere superiore al valore realizzabile o fondatamente attribuito”.


Da tale indicazione, infatti, emergerebbe che l’ammortamento dell’anno di rivalutazione debba essere fatto sul valore rivalutato.


Applicando tale regola, però, nell’esempio riportato dal Fisco il valore rivalutato, aumentato della quota di ammortamento calcolata su detto valore, risulta superiore al valore di mercato indicato nell’esempio medesimo.


Ambito soggettivo di applicazione
Sulla facoltà di rivalutazione, la circolare ha chiarito che possono effettuare la rivalutazione anche le imprese individuali e le società di persone in contabilità semplificata, nonché le persone fisiche esercenti attività di impresa che rientrano nel regime dei contribuenti minimi di cui all’art. 1 commi 96 e seguenti della legge 24 dicembre 2007, n. 244, in questo caso per immobili acquisiti verosimilmente prima del triennio precedente all’adesione al nuovo regime. Anche tali ultimi soggetti, in assenza di un bilancio formale nel quale emergano i maggiori valori rivalutati, devono necessariamente attribuire rilevanza fiscale al maggior valore della rivalutazione attribuito al bene in sede di dichiarazione, cui deve essere commisurata l’imposta sostitutiva da versare. Va rimarcato, inoltre, che i soggetti in questione non deducono gli ammortamenti e, pertanto, il maggior valore della rivalutazione assumerà rilevanza fiscale ai fini della determinazione dell’eventuale plusvalenza o minusvalenza da cessione, a partire dal 1° gennaio 2014.


Per i semplificati e i minimi, l’art. 15 della legge 342/00 stabilisce che la rivalutazione è consentita a condizione che venga redatto un apposito prospetto bollato e vidimato dal quale risultino i prezzi di costo e la rivalutazione compiuta.


Si ricorda, inoltre, che la circolare n. 11/E/09 ha statuito che per i soggetti in discussione la rivalutazione va effettuata per i beni, acquisiti entro il 31 dicembre 2007, che risultano dal registro dei beni ammortizzabili – qualora istituito – ovvero dal registro degli acquisti tenuto ai fini Iva.


Si ritiene, peraltro, che in assenza di un bilancio formale, le imprese in contabilità semplificata possano provare la qualifica di beni immobili ammortizzabili e non, comunque diversi dalle aree fabbricabili e dai beni-merce – qualità necessaria per beneficiare della rivalutazione in esame – sulla base di situazioni di fatto, ossia di elementi desumibili dalle modalità di effettivo impiego dei beni.


Saldo attivo di rivalutazione e trasparenza fiscale
In ipotesi di distribuzione del saldo attivo di rivalutazione, la circolare ha ribadito che, trattandosi di una riserva di utili, la sua distribuzione è tassata in capo al socio di un soggetto Ires secondo le seguenti modalità:



  • se il socio è una persona fisica e la partecipazione è detenuta al di fuori di un’attività d’impresa, il dividendo concorrerà alla formazione del reddito complessivo del socio in misura pari al 49,72% del suo ammontare in caso di partecipazione qualificata, ovvero verrà assoggettato alla ritenuta a titolo d’imposta del 12,5% in caso di partecipazione non qualificata;



  • se il socio è una persona fisica e la partecipazione è detenuta nell’ambito di un’attività d’impresa, il dividendo concorrerà alla formazione del suo reddito d’impresa in misura pari al 49,72% del suo ammontare;



  • se il socio è un soggetto Ires, il dividendo concorrerà alla formazione del reddito in misura pari al 5% del suo ammontare.


In caso di rilevanza solo civilistica dell’operazione, la distribuzione o il prelevamento del saldo attivo di rivalutazione da parte di una società di persone o di un imprenditore individuale in contabilità ordinaria è, invece, fiscalmente “irrilevante”. Allo stesso modo, la distribuzione del saldo non produce effetti sul costo della partecipazione nella società di persone.


Infine, in caso di opzione per la trasparenza fiscale, trovando applicazione l’articolo 8 del Dm 23 aprile 2004, la distribuzione del saldo attivo, riferibile a un maggior valore iscritto in bilancio senza rilevanza fiscale nel periodo di applicazione del regime, non concorre a formare il reddito dei soci anche se la distribuzione avviene successivamente ai periodi di efficacia dell’opzione.


(per maggiori approfondimenti vedi Finanziamenti e credito, Novecento Media)

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