Riutilizzo dei servizi. Sì, ma con cautela

Prima di pensare alle Soa, è bene focalizzarsi sull’analisi e l’implementazione dei processi di business

Un’architettura Soa guadagna in efficacia ed efficienza quanto più l’utente che la adotta ha la capacità di ridefinire e gestire i processi e i modelli di business in un’ottica d’integrazione e collaborazione, in cui l’uso delle risorse It risulta strettamente correlato all’ottenimento degli obiettivi strategici. Se, come e in quali casi le architetture Soa possano oggi realmente rappresentare la soluzione adatta a risolvere i sempre più complessi problemi delle aziende e quali stimoli facciano muovere le diverse organizzazioni si può comprendere da un’angolazione un po’ differente sentendo anche l’opinione di chi opera in questo mercato con il ruolo di aiutare le imprese a realizzare l’interoperabilità fra diversi sistemi e applicazioni.

Elena Previtera, executive partner di Reply, parla di adozione delle Soa guidata principalmente da due elementi chiave: dal punto di vista del business (valutando la possibilità di orchestrare e variare i processi in modo rapido e flessibile, cogliendo l’obiettivo del time to market) e dalla prospettiva dell’It (la capacità di fare tutto ciò con un notevole efficientamento dei costi, grazie al riutilizzo dei servizi). «I vantaggi derivanti da un’architettura “process centrica” – spiega – sono più evidenti là dove è più elevata la complessità dei sistemi; per questo motivo, sono principalmente le grandi aziende a essere interessate e propense a introdurre al proprio interno le architetture Soa. Ultimamente, però, anche i pacchetti software, adottati spesso dalle piccole e medie aziende, si stanno evolvendo verso un’esposizione dei servizi».

Nelle grosse organizzazioni, in generale, i settori più interessati a introdurre queste metodologie sono quelli dove è più sentita l’esigenza di variare i servizi e dove il time-to-market si rivela essenziale per il fatto di operare in un mercato fortemente competitivo. È quello che accade, ad esempio, nei settori delle telecomunicazioni e dei media, aree in cui le aziende hanno la necessità di sviluppare l’offerta di servizi in una logica di multicanalità e quindi di adattabilità a molti dispositivi differenti (terminali mobile, postazioni Internet, set-top-box e così via). Ma si osserva un interesse anche nel settore finance, dove l’esigenza è più legata allo sviluppo e all’introduzione di servizi end-to-end, in un’ottica di business process management (Bpm) finalizzata al potenziamento delle attività collaborative sia all’interno che all’esterno dell’organizzazione.

Riguardo ai possibili fattori frenanti l’adozione delle nuove architetture, Previtera precisa che, nonostante i numerosi e preziosi benefici che l’introduzione della Soa può portare, si possono trovare all’interno delle aziende alcune resistenze legate agli aspetti metodologici e organizzativi. La Soa, infatti, si caratterizza per mettere al centro un processo end-to-end che può talvolta porsi in contrasto con la tradizionale divisione in aree aziendali distinte.

Pmi: paura della complessità

Le aziende che adottano la Soa, concorda Laura Meroni, senior It architect di Ibm Italia, si contraddistinguono per il fatto di applicare modelli di business fortemente dinamici, in cui l’offerta di prodotti è in continua evoluzione e deve arrivare rapidamente sul mercato, determinando una competitività aggressiva.

Motivazioni al cambiamento e fattori inibitori si configurano, però, in maniera diversa a seconda delle dimensioni dell’organizzazione. «Nelle piccole e medie imprese – spiega – i principali stimoli all’adozione sono costituiti dalla necessità di migliorare l’interoperabilità delle applicazioni con quelle delle altre aziende e dall’esigenza di maggiore flessibilità, mentre la più forte barriera verso la migrazione a queste architetture è la percezione che la Soa introduca un alto livello di complessità tecnologica». Nelle grandi realtà, invece, gli stimoli sono rappresentati soprattutto dalla capacità, attraverso la Soa, di adattare meglio le soluzioni informatiche alle nuove esigenze applicative e di servizi, che sorgono ad esempio nel caso delle acquisizioni societarie, ma anche dalla maggior possibilità di automazione dei processi di business. Qui, però, fra i principali fattori inibitori vi sono la difficoltà di calcolare nel modo corretto il ritorno dell’investimento e anche l’impatto che l’introduzione della nuova architettura produce a livello organizzativo e culturale.

A giudizio di Meroni, l’architettura Soa si può, comunque, definire un paradigma accettato dal mercato, perché le tecnologie a suo supporto risultano sempre più mature e gli standard di collaborazione e qualità del servizio si stanno consolidando: «Pertanto questa soluzione è sempre più percepita come praticabile in tutti i settori d’industria, anche se la sua adozione, come scelta strategica, dipende dalla dinamicità, dall’evoluzione dell’offerta, dal time-to-market e dalla competitività di ogni azienda».

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