Rapporti tra legge, contratto collettivo e contratto individuale

Rapporti gerarchici e possibili deroghe nel rapporto tra legge e contratto collettivo.

Efficacia della legge rispetto al contratto collettivo
Secondo i principi generali il contratto collettivo deve ritenersi gerarchicamente subordinato alla legge. Il trattamento previsto dalle norme aventi forza di legge può essere derogato dalle clausole contenute nei contratti collettivi di lavoro solo in senso più favorevole al lavoratore.
In taluni casi, peraltro, il legislatore attribuisce alla contrattazione collettiva il potere di derogare in senso peggiorativo alla disciplina legale. Si veda ad esempio:
– l’art. 2120, c. 2, cod. civ. che rinvia ai contratti collettivi per la determinazione degli elementi retributivi utili per il computo del trattamento di fine rapporto, in maniera anche meno favorevole ai lavoratori rispetto al canone legale;
– l’art. 4, c. 11, L. n. 223/1991, che prevede per gli accordi sindacali stipulati nel corso delle procedure di mobilità la possibilità di derogare al divieto di adibire a mansioni inferiori, posto dall’art. 2103 cod. civ., per i lavoratori che vengano riassorbiti dall’azienda in crisi;
– l’art. 5, D.L. n. 510/1996, che attribuisce agli accordi provinciali di riallineamento retributivo la facoltà di stabilire, in via transitoria, trattamenti economici inferiori ai minimi contrattuali di categoria, validi anche ai fini contributivi.

Efficacia del contratto collettivo sopravvenuto
I rapporti tra contratti collettivi nella loro successione temporale sono regolati dal principio secondo cui il nuovo contratto si sostituisce integralmente al precedente anche se contiene disposizioni meno favorevoli al lavoratore.
La deroga in peius rispetto al trattamento retributivo previsto da un contratto collettivo può legittimamente essere stabilita da un successivo contratto sicché deve considerarsi legittimo un mutamento peggiorativo del trattamento retributivo per effetto della scadenza (e del mancato rinnovo) del contratto che quel trattamento stabilisca, ferma in tal caso, nella ricorrenza dei relativi presupposti, l’osservanza della tutela offerta al lavoratore dall’art. 36 Cost. (Cass. 12.2.2000, n. 1576).
Nell’ipotesi di successione nel tempo fra contratti collettivi la disciplina più favorevole al lavoratore prevista dal contratto scaduto non è suscettibile di essere conservata secondo il criterio del trattamento più favorevole (che attiene esclusivamente, ai sensi dell’art. 2077 cod. civ., al rapporto tra contratto collettivo e individuale) in assenza di previsioni in tal senso delle parti stipulanti (Cass. 26.10.1995, n. 11119).
Il divieto di deroga in peius posto dall’art. 2077 cod. civ. è relativo solo alle disposizioni contenute nel contratto individuale di lavoro in relazione alle disposizioni del contratto collettivo, non viceversa (Cass. 21.2.2007, n. 4011), mentre i rapporti di successione temporale tra contratti collettivi sono regolati dal principio della libera volontà delle parti stipulanti, cosicché, le precedenti disposizioni possono essere modificate da quelle successive anche se in senso sfavorevole al lavoratore, con il solo limite dei diritti che sono già entrati a far parte del patrimonio individuale del lavoratore (Cass. 10.10.2007, n. 21234).


Diritti quesiti

I diritti già acquisiti al patrimonio dei lavoratori sulla base della precedente contrattazione collettiva non possono essere modificati da successive pattuizioni (Cass. 18.9.2007, n. 19351); la tutela non si applica nella diversa ipotesi in cui il contratto collettivo sopravvenuto venga ad incidere sulle condizioni di acquisto di diritti futuri (Cass. 12.2.2000, n. 1576), come ad esempio può avvenire per le regole sulla maturazione degli scatti di anzianità.
L’intangibilità dei diritti quesiti è derogabile in presenza di uno specifico mandato o di una successiva ratifica da parte dei lavoratori interessati (Cass. 22.6.2004, n. 11634) anche se cessati dal servizio (con riferimento alla “influenzabilità” dei diritti dei medesimi derivante dalla contrattazione collettiva sopravvenuta, Cass. 12.3.2004, n. 5141).


Clausole di salvaguardia

Le disposizioni dei contratti collettivi non si incorporano nel contenuto dei contratti individuali dando luogo a diritti quesiti sottratti al potere dispositivo delle organizzazioni sindacali, ma operano invece dall’esterno come fonte di regolamentazione dei singoli rapporti di lavoro concorrente con quella individuale, per cui, nell’ipotesi di successione fra contratti collettivi, le precedenti disposizioni non sono suscettibili di essere conservate secondo il criterio del trattamento più favorevole, restando la conservazione di quel trattamento affidata all’autonomia contrattuale delle parti collettive stipulanti le quali possono prevederla come accade di frequente – con apposita clausola di salvaguardia (Cass. 24.8.2004, n. 16691).
Sull’applicazione della clausola di salvaguardia (secondo la quale restano in vigore i trattamenti più favorevoli ai lavoratori, previsti dalla precedente disciplina contrattuale) si è pronunciata Cass. 21.7.1998, n. 7170, secondo cui la relativa indagine deve essere effettuata per comparazione globale (in astratto) delle diverse discipline contrattuali succedutesi nel tempo, al fine di individuare quella realmente più favorevole ai lavoratori interessati, senza alcun riferimento alla situazione concreta dei lavoratori stessi.

Rapporto tra contratto collettivo nazionale e aziendale
In giurisprudenza il problema – non ancora sopito – del rapporto tra contratti collettivi si è posto frequentemente con riferimento ai rapporti nel tempo tra contratti collettivi di categoria e aziendali (in particolare sotto forma di concorso conflitto di norme di diverso livello) ed è stato risolto nel senso dell’inderogabilità in peius del contratto di categoria, con motivazioni diverse.
Recentemente, sul tema, Cass. 7.6.2004, n. 10762 e, nel senso dell’effettiva volontà delle parti operanti in area più vicina agli interessi disciplinati, Cass. 19.4.2006, n. 9052.
Circa gli amplissimi poteri delle parti, riconducibili all’autonomia negoziale, la Cassazione ha affermato che alle parti sociali è consentito, in virtù del principio generale dell’autonomia contrattuale di cui all’art. 1322 cod. civ., prorogare l’efficacia dei contratti collettivi, modificare, anche in senso peggiorativo, i pregressi inquadramenti e le pregresse retribuzioni, nonché di disporre in ordine alla prevalenza da attribuire, nella disciplina dei rapporti di lavoro, ad una clausola del contratto collettivo nazionale o del contratto aziendale, con possibile concorrenza delle due discipline.
Il concorso tra i diversi livelli contrattuali va risolto non secondo i principi della gerarchia e della specialità propria delle fonti legislative, bensì accertando quale sia l’effettiva volontà delle parti, da desumersi attraverso il coordinamento delle varie disposizioni della contrattazione collettiva, aventi tutti pari dignità e forza vincolante, sicché anche i contratti aziendali possono derogare in senso peggiorativo i contratti nazionali, senza che osti il disposto dell’art. 2077 cod. civ. (Cass. 18.9.2007, n. 19351).
La concorrenza delle due discipline, nazionale e aziendale, non rientrando nella disposizione recata dall’art. 2077 cod. civ., va risolta tenuto conto dei limiti di efficacia connessi alla natura dei contratti stipulati, atteso che – come si è rilevato in precedenza – il contratto collettivo nazionale di diritto comune estende la sua efficacia nei confronti di tutti gli iscritti, nell’ambito del territorio nazionale, alle organizzazioni stipulanti e il contratto collettivo aziendale estende, invece, la sua efficacia, a tutti gli iscritti o non iscritti alle organizzazioni stipulanti, purché svolgenti l’attività lavorativa nell’ambito dell’azienda.

(per maggiori approfondimenti vedi Manuale Lavoro , Novecento Media)

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