RAEE, un problema da risolvere subito

Il corretto smaltimento dei rifiuti elettronici è un obbligo di legge dall’1 gennaio 2007. Facciamo il punto della situazione di un problema che coinvolge tutti.

febbraio 2007 Per quanto nell’informatica ci sia sempre qualcuno
che parla di crisi o di tendenze preoccupanti del mercato, il numero dei nuovi
computer venduti ogni anno non smette mai di crescere. Così nel 2005
si sono venduti, secondo Gartner, oltre 200 milioni di PC e si stima che nel
2006 se ne siano consegnati circa 230 milioni. Un trend impressionante rispetto
a qualsiasi altro mercato più tradizionale.

Ma quante di queste macchine nuove di zecca andranno a sostituire del tutto
computer ormai obsoleti e quante invece non faranno altro che aggiungersi ai
sistemi in circolazione? Alcuni di questi vecchi PC diventano la seconda o terza
macchina di casa o dell’ufficio, vengono rivenduti o regalati, ma una
significativa percentuale diventa spazzatura o finisce in qualche scatolone
da dimenticare. Al ritmo attuale parliamo di milioni di PC ogni anno che diventano
rifiuti, a cui si aggiungono periferiche ingombranti come monitor, stampanti,
telefonini, gadget tecnologici e ogni genere di scheda elettronica che nel giro
di qualche anno perdono tutto il loro valore. Una vera montagna di immondizia
elettronica, prodotta dai cittadini europei nella misura di circa 20 Kg a testa
ogni anno, vale a dire oltre 6 milioni di tonnellate che costituiscono il 4%
di tutti i rifiuti prodotti in Europa. E il tasso di crescita è almeno
del 5% ogni anno.

E non si tratta di rifiuti facili da smaltire e da riciclare. Se il consumatore
finora non ha avuto nemmeno un punto di riferimento per affrontare il problema,
la ragione è anche la complessità e la varietà delle tecniche
di riciclaggio coinvolte. E nei prodotti di elettronica ci sono anche materiali
pericolosi per la salute, o che possono diventarlo se i rifiuti sono avviati
allo smaltimento senza le dovute precauzioni. Lo sanno bene nelle aree più
povere dei paesi in via di sviluppo come la Cina, dove il recupero di preziose
materie prime e componenti elettronici dai rifiuti tecnologici avviene talvolta
a mano, in immense discariche a cielo aperto dove lavorano anche bambini in
condizioni di sicurezza molto precarie.

Le cose però stanno cambiando e la sigla RAEE (Rifiuti da apparecchiature
elettriche ed elettroniche) sta entrando prepotentemente nel gergo delle aziende
interessate, che sono soprattutto i produttori ma anche i distributori e gli
enti locali, e presto arriverà anche ai semplici consumatori. Esiste
infatti fin dal 2005 un decreto legislativo che recepisce direttive comunitarie
e obbliga i soggetti interessati a farsi carico del problema ma finora mancavano
i decreti attuativi e ci sono stati ritardi. Ora qualcosa si muove e l’ultima
scadenza, quella del 1 gennaio 2007, è stata confermata secondo l’impegno
del Ministero Dell’Ambiente, per cui bisogna aspettarsi molte novità.

La legge europea e gli obblighi per i soggetti
coinvolti

Le normative europee riguardanti i RAEE fanno riferimento essenzialmente alla
Direttiva n.2002/96/CE recepita in Italia con il Decreto legislativo n.151 del
25 luglio 2005. Per come è stata concepita in Europa, la gestione dei
RAEE prevede l’obbligo della raccolta, del trattamento, del riciclaggio
e del recupero dei rifiuti da apparecchiature elettroniche, con finanziamento
della maggior parte di queste attività a carico dei produttori delle
apparecchiature nuove.

Ma chi sono i produttori? La legge fa riferimento a chiunque, a prescindere
dalla tecnica di vendita utilizzata, fabbrica e vende con il proprio marchio
apparecchiature elettriche ed elettroniche; rivende sotto il suo marchio apparecchiature
prodotte da altri fornitori; importa o immette per primo sul mercato nazionale
le apparecchiature nell’ambito di un’attività professionale.
In pratica il rivenditore non viene considerato produttore se non c’è
il suo marchio sui prodotti che vende, ma lo diventa se acquista il prodotto
da qualcun altro e prima di rivenderlo vi appone il suo nome.

A questi soggetti, come dicevamo, spetta l’onere maggiore, mentre il
carico dei costi non dovrebbe fortunatamente toccare gli utenti finali, se non
si considerano eventuali ricadute sul prezzo d’acquisto dei prodotti.
Inoltre i produttori hanno l’obbligo di non utilizzare determinate sostanze
pericolose, espressamente previste dalla Direttiva 2002/95/Ce (mercurio, piombo,
cromo esavalente, bifenile polibromurato, etere di difenile polibromurato) per
ottemperare alla quale è peraltro prevista una semplice autodichiarazione
del produttore stesso. I produttori sono anche obbligati a registrarsi presso
un apposito Registro, alla cui definizione ha provveduto il Ministero dell’Ambiente.
L’iscrizione si effettua presso la Camera di Commercio della circoscrizione
in cui si trova la sede legale dell’azienda.Stando alla normativa di riferimento,
hanno un ruolo attivo anche i distributori che debbono invece garantire il ritiro
gratuito dei RAEE a fronte dell’acquisto da parte del cliente di un prodotto
con analoghe caratteristiche di quello da smaltire.

A che punto è la legge italiana
La partenza dei nuovi obblighi, originariamente collocata nel periodo 1°
luglio, 13 agosto 2006, è stata spostata alla data di emanazione dei
decreti attuativi del D. Lgs. 151/2005. Sul divieto di commercializzazione delle
apparecchiature contenenti sostanze pericolose, una circolare del Ministero
dell’Ambiente del 23 giugno 2006 ha chiarito che lo stesso non vale per
le apparecchiature immesse sul mercato, come prodotto finito, alla data del
25 giugno 2006, ancorché giacenti presso i magazzini del produttore.

Il 25 ottobre 2006 il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio
e del Mare, ha presentato i primi decreti di attuazione RAEE. I decreti necessari
per dare il via al sistema disegnato dal D.Lgs.151 del 2005 hanno avuto quindi
la scadenza istituzionale del 1 gennaio 2007.

Cosa cambia con i nuovi provvedimenti ministeriali? In realtà è
meglio chiedersi se effettivamente il sistema di gestione dei RAEE è
in grado di partire con tutti i necessari sistemi di controllo ovvero se i nuovi
decreti ministeriali, che forniscono i necessari chiarimenti sui procedimenti
d’obbligo, costituiranno veramente lo startup italiano agli obblighi comunitari.

Il 29 dicembre 2006 è stato incluso nel decreto “Milleproroghe”
(Dl 300/2006) un ulteriore rinvio della data di partenza del sistema RAEE, che
secondo la nuova legge dovrebbe partire entro il 30 giugno 2007. Si deve infatti
tenere conto dei tempi tecnici necessari per l’operatività di tutti
i provvedimenti organizzativi e della creazione del registro dei produttori,
prevista a 90 giorni dalla pubblicazione del DM.

Inoltre mancano ancora altri decreti che devono completare le disposizioni
del D.Lgs. 151/2005, fra le quali quelle sulle garanzie finanziarie che i produttori
devono prestare allo Stato, le regole sulla vendita a distanza, l’integrazione
dell’Albo Gestori con una sottocategoria per i recuperatori dei RAEE.

Il sistema organizzativo RAEE
A questo punto è chiaro che al centro del meccanismo virtuoso che dovrebbe
essere attivato dalle nuove normative ci sono i produttori, i quali dovendosi
sobbarcare il maggiore onere del trattamento, del recupero e del riciclaggio
dei prodotti, possono anche intervenire direttamente in questi processi con
una corretta progettazione delle apparecchiature, un’accurata campagna
di informazione agli utenti finali anche attraverso la documentazione fornita
con i prodotti e un intenso rapporto con chi realizzerà in pratica il
trattamento e lo smaltimento.

Per questo si stanno già creando dei consorzi che riuniscono molte
grandi firme dell’elettronica di consumo e della tecnologia informatica,
come Re.Media (www.consorzioremedia.it) che dall’ottobre del 2006 fa parte
del WEEE Forum, l’associazione europea che raccoglie i più importanti
organismi no-profit dell’Unione Europea per l’attuazione delle direttive
sui rifiuti elettronici.
I controlli sono assicurati da tre organismi già previsti dal D.Lgs.
151, e mai, sino ad ora, diventati operativi: un Centro di coordinamento, un
Comitato di indirizzo e un Comitato di vigilanza e di controllo sulla gestione
dei RAEE. Il Centro di coordinamento è costituito proprio dal consorzio,
al quale partecipano tutti i sistemi collettivi di gestione dei RAEE anche professionali;
i mezzi finanziari per il suo funzionamento sono assicurati dai contributi dei
soggetti partecipanti. Il Comitato di indirizzo è composto da associazioni
di categoria, associazioni ambientaliste e di consumatori. Entrambi questi comitati
si rapportano con il Comitato di vigilanza e controllo fornendo dati e formulando
proposte.
Il Comitato di vigilanza e controllo è il punto di riferimento di tutto
il sistema RAEE e si avvale dell’Apat (l’Agenzia nazionale per l’ambiente)
e della Guardia di Finanza. Anche per questo organismo gli oneri di funzionamento
sono a carico dei produttori di apparecchiature elettriche ed elettroniche.

Diritti e doveri del consumatore
Guardando le cose dal punto di vista dell’utente, presto i prodotti di
elettronica in regola avranno tutti il simbolo del cestino barrato, che rappresenta
il divieto per il consumatore di gettarli via tra i rifiuti generici. All’atto
dell’acquisto di un nuovo computer (o di un nuovo asciugacapelli) si potrà
portare quello vecchio presso lo stesso distributore da cui si acquista il prodotto
nuovo, che sarà obbligato a ritirarlo. Ricordiamo che l’obbligo
vale solo per un singolo prodotto nel cambio con l’acquisto di un prodotto
nuovo dello stesso tipo, non necessariamente della stessa marca. Nella documentazione
del nuovo prodotto dovrà essere comunque riportato un testo di sensibilizzazione
e di informazione sulle procedure di riciclaggio e le sanzioni previste in caso
di mancato adempimento.

Il computer ecologico
Per portare avanti un processo virtuoso che riduca l’impatto ambientale
della tecnologia ci vogliono prima di tutto nuove tecniche produttive e un’attenta
scelta dei materiali all’origine.
I PC attuali, per esempio, sono molto più “verdi” di quelli
anche solo di cinque anni fa, e i più grandi produttori si sfidano fortunatamente
anche sul piano della qualità dell’ambiente, realizzando macchine
più facili da riciclare e meno inquinanti anche se abbandonate nelle
discariche. In prima fila a perseguire questo approccio c’è per
esempio Fujitsu Siemens, che ha recepito nel modo più rigoroso i dettami
della normativa europea e oggi è in grado di produrre diverse linee di
computer molto più eco-compatibili. I prodotti più moderni realizzati
a questo scopo sfruttano materiali riciclabili al 98% e sono facilmente smantellabili
dagli addetti al recupero.

È cambiata anche la varietà dei materiali, che è un ostacolo
alla creazione di un riciclato omogeneo: le plastiche che una volta erano di
sei tipi diversi ora appartengono a una o al massimo due tipologie e non vengono
usati materiali pericolosi per l’incollaggio, ma solo tasselli ad incastro.
Perfino le viti del monitor sono state eliminate, così da rendere più
veloce il disassemblaggio. Molto lavoro è stato fatto anche per rendere
più ecologiche le batterie che sono ormai prive di pericolosi inquinanti
come il cadmio e il mercurio. Nei circuiti stampati il piombo, necessario per
alcune saldature, è quasi sparito, passando da 12 g a un solo grammo
per ogni motherboard e si prevede che presto potrà essere eliminato del
tutto.

Per ottenere questo risultato si sostituiscono le saldature tradizionali con
argento in atmosfera di azoto e si risparmiano ogni anno in fase produttiva
migliaia di litri d’acqua. Può darsi che in qualche caso le nuove
tecniche costruttive portino a risultati finali un po’ meno soddisfacenti
al tatto e alla vista per gli utenti e qualche volta capita di lamentarsi per
la maggiore solidità dei computer “di una volta”. In realtà
l’affidabilità di molti componenti è aumentata, il peso
di notebook e desktop si è ridotto di tantissimo e se qualche particolare
può non piacere, i vantaggi in termini di salute dell’ambiente
valgono bene il prezzo pagato.

A che punto è l’Europa
I rifiuti elettrici ed elettronici in Europa sono in crescita esponenziale,
aumentano tre volte più rapidamente degli altri tipi di rifiuti urbani.
Ogni cittadino europeo produce fino a 20 kg di rifiuti elettrici ed elettronici
che, prima delle direttive europee, finivano quasi esclusivamente in discariche
indifferenziate o venivano recuperati senza alcun trattamento, con il rischio
di disperdere nell’ambiente materiali pericolosi come il piombo, il cadmio
e altri componenti ad alto impatto ambientale. I tempi per la trasposizione
nelle normative nazionali delle due direttive comunitarie in materia, che costituiscono
provvedimenti cruciali per la tutela ambientale, sono già scaduti e finora
solo la Grecia ha rispettato, almeno formalmente, la tabella di marcia.

Anche l’Olanda è molto avanti nella gestione dei RAEE, avendo
messo in piedi due differenti sistemi di raccolta costituiti da produttori e
importatori: uno per la gestione di elettrodomestici e apparecchiature elettroniche
per uso domestico e un altro per i prodotti di informatica da ufficio e di telecomunicazione.
Sempre in Olanda opera EERA (European Electronics Recyclers Association) un’organizzazione
no profit che promuove le aziende che svolgono attività di gestione dei
RAEE in Europa. L’obbiettivo che le legislazioni nazionali devono raggiungere
prevede quote di raccolta pari a 4 kg all’anno per abitante e quote di
recupero che per i grandi elettrodomestici è almeno dell’80 %.

Il costo annuale a regime per l’applicazione delle normative europee
è stimato tra i 500 e i 900 milioni di euro, che si prevede avrà
come conseguenza un aumento dell’1% del prezzo della maggior parte dei
dispositivi elettrici e del 2-3% per televisori e monitor.

Non solo computer
Naturalmente RAEE non vuol dire solo computer e prodotti informatici che, pur
in forte crescita, rappresentano ancora meno del 10% dei rifiuti da prodotti
elettrici ed elettronici generati dalle famiglie italiane. Le nuove norme europee
e le tecniche di gestione e trattamento che ne deriveranno si applicano anche
e soprattutto a ogni genere di elettrodomestico, anche se per frigoriferi, lavatrici
e altri grandi “bianchi” almeno la prassi del ritiro dell’usato
è abbastanza consolidata. Spesso però al ritiro non segue un adeguato
smaltimento.

Obblighi e diritti
I produttori
Devono consorziarsi per provvedere alla raccolta, al trattamento e al riciclaggio
delle apparecchiature. Devono produrre la documentazione informativa per gli
utenti. Devono abolire dai nuovi prodotti l’uso di materiali pericolosi
per l’ambiente.

Distributori e rivenditori
Al momento della fornitura di una nuova apparecchiatura devono assicurare a
chi acquista il ritiro gratuito della apparecchiatura usata. Devono anche provvedere
a informare gli acquirenti circa le modalità di raccolta differenziata
e le sanzioni previste per chi trasgredisce. Devono segnalare l’eco contributo
ambientale sull’etichetta del prezzo qualora richiesto dai produttori.

Aziende, professionisti e privati
Hanno l’obbligo di non gettare via in modo indifferenziato i prodotti
contrassegnati col simbolo del cestino barrato. Hanno il diritto di chiedere
al rivenditore o distributore di ritirare gratis i prodotti vecchi se si acquista
un apparecchio nuovo dello stesso tipo.

Le sanzioni previste

  • da 150 a 400 euro per il rivenditore che non ritira l’usato senza
    sovrapprezzo;
  • da 30.000 a 100.000 euro per i produttori che non si occupano dei sistemi
    di raccolta RAEE;
  • da 2.000 a 5.000 euro per mancata informazione agli acquirenti
  • da 200 a 1.000 euro ad apparecchio per chi immette sul mercato apparecchiature
    elettriche o elettroniche senza il simbolo di raccolta separata.

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