Quando la scelta di tecnologie standard facilita il business

In Finiper, azienda attiva nella Gdo, fin dal 1990 il responsabile delle infrastrutture It ha optato per un’architettura aperta, basata su server Unix, che gestiscono 1.200 thin client. Questo approccio garantisce una maggior sicurezza al sistema.

Finiper è la holding di controllo del Gruppo Iper, da anni una tra le realtà più dinamiche nel mercato della grande distribuzione in Italia, con sussidiarie attive nel settore del retailing su larga scala. Nel corso del 2002 Finiper ha acquisito la catena Unes, rafforzando la propria posizione a livello nazionale, mentre gli accordi commerciali con il Gruppo Carrefour hanno consentito la creazione di sinergie strategiche a livello internazionale. Il Gruppo, che dispone di strutture di circa 300.000 metri quadrati all’interno di spazi commerciali coperti, conta circa 10.000 dipendenti e un fatturato 2004 che ha superato quota 2 miliardi di euro. Oggi a capo delle infrastrutture tecnologiche di Finiper c’è Giovanni Oteri, che in quasi vent’anni di attività ha traghettato l’azienda verso modelli di automazione avanzati ma, come ci racconta, è diventato informatico per caso.

È vero che tutto è iniziato da un Amiga?


"Mi sono iscritto a ingegneria nell’82 perché ero appassionato di meccanica e aeronautica, ma non ero motivato perché trovavo i programmi tediosi e troppo teorici. Avevo un Amiga e coltivavo una passione da dilettante. Ho avuto la fortuna di avere un colloquio in una software house e grazie alla mia preparazione informatica di base e alla mia perfetta conoscenza dell’inglese sono stato assunto".

Le hanno fatto fare della formazione prima di inquadrarla professionalmente?


P>"No. Come programmatore junior mi hanno direttamente buttato sul campo. Lavoravo su Bits, un sistema operativo custom della Dynamic Concepts su piattaforma Star Technologies, spin off di Data General. In seguito ho ampliato la mia esperienza sulla piattaforma Xenix su macchine Intel, un ambiente molto attraente per i costi ma, soprattutto, per le possibilità di performance. Nell’89 mi capitò di fare l’installazione di una macchina Xenix 386 presso l’Ipermercato di Brembate e lì ho conosciuto quello che sarebbe diventato il mio futuro capo".

Cosa l’ha spinta a cambiare?


"Un problema deontologico: mi sono trovato in mezzo a una diatriba tra il produttore hardware e la società per cui lavoravo e io ho preso le parti del cliente, che in seguito mi ha proposto di entrare a far parte di un primo progetto di servizi Edp".

A quei tempi, il management della società per cui lavorava, credeva nell’Ict?


"Poco. Ci siamo dovuti costruire una credibilità portando risultati concreti e, soprattutto, grazie a un dialogo franco e sincero. 17 anni fa abbiamo iniziato a fare un deployment della procedura di reparto ovvero la gestione di back office del punto vendita. In quel caso ho capitalizzato l’esperienza che avevo maturato in Xenix: in ciascun punto vendita ogni reparto aveva un proprio sistema che supportava 7-8 utenti, basato su tecnologia Xenix che ai tempi aveva ancora dei costi ragionevoli".


Dunque Finiper già in partenza aveva optato per un ambiente aperto?


"È stata una condizione che ho posto per la mia assunzione. All’epoca ero considerato piuttosto visionario, perché la prevalenza era data dai sistemi "proprietari". Chi sapeva sviluppare in Unix era considerato una mosca bianca, ma avevo il supporto di Ncr. La genesi dei servizi Edp di un’azienda che opera nella Gdo, almeno la nostra, infatti, parte dalla barriera casse e Ncr aveva sviluppato le proprie soluzioni su Unix, con il Tower 32. Da questo presupposto, tutto lo sviluppo e l’evoluzione conseguente hanno orbitato attorno a una logica aperta. Tra il ’90 e il ’91 avevo sviluppato una rete per l’allacciamento a livello locale, in Rs232, delle macchine Xenix con il sistema Tower attraverso Uucp (Unix to Unix Copy, un protocollo di trasmissione di file tra computer Unix attraverso le linee telefoniche o direttamente in Rs232, ndr), collegandovi tutto il file transfert".

Ma come aveva sviluppato un’expertise così verticale?


"Avendo Unix, bastava leggere i manuali per sfruttare una piattaforma che, essendo a 360°, aveva già tutto quello che ci poteva servire. In seguito ho centralizzato la gestione della raccolta dati sempre attraverso Uucp, con Dial Up, mettendo nel ’91 i primi modem a 9600 baud. Senza acquistare i classici pacchetti di autocall o pc call per la multiutenza e la multiricezione, ho preferito realizzare tutto mediante schede seriali Rs232, con Unix e degli ottimi modem italiani, che ci permettevano connessioni anche a livello geografico su cui potevano effettuare la teleassistenza. Fino al ’90, infatti, per risolvere un problema dovevo fisicamente andare sul punto vendita. Mi confrontavo con le realtà degli altri operatori e, soprattutto, avevo sviluppato una capacità preziosa: capire gli errori da non fare. Non mi piacciono le offerte "a scatola chiusa" e ho sempre diffidato dei fornitori che proponendosi come referenti globali, tendono a inglobare tutto. Io preferisco addentrarmi nelle tecnologie".



Unix è sempre stato un caposaldo del suo lavoro. Anche oggi?


"A me piace la filosofia aperta perché permette un miglior controllo e gestione. C’è una battaglia culturale su Linux, ma al momento sono pro Unix. Con Linux è necessario tener conto del deployment: prima di collaudare un determinato abbinamento kernel a un determinato hardware, per esempio, ci sono tempi lunghissimi, senza contare il fatto che quando si cambia l’hardware, la migrazione è sempre incerta. Invece in ambito Unix, che si tratti di Aix, Hp-Ux o SunSolaris tutto l’hardware è già pronto e collaudato, comprese le schede di rete e altro. Sulle piattaforme Intel, invece, solo Microsoft si è assunta il compito di effettuare i collaudi. In Finiper abbiamo macchine Linux, ma prima di lasciarle in produzione ci ho speso anche 6 mesi tra patch e messe a punto".

Oggi cosa chiede il management ai propri uomini Ict?


"Innanzitutto che il cambiamento debba essere migliorativo e poi che non costituisca fonte di guai. Come responsabili dell’Ict dobbiamo essere in grado di svolgere una grossa attività di analisi prima di implementare una tecnologia. Molti Edp manager oggi fanno l’errore di nascondersi dietro al brand che va per la maggiore e che diventa un alibi in caso di errore. Personalmente preferisco espormi. La mia filosofia è che se si crede in qualcosa, bisogna essere disposti a pagarne anche le eventuali conseguenze. Come nel ’99 quando in controtendenza ho scelto i terminal server Windows con i thin client sui punti vendita. Una scelta vincente perché, oggi avessimo scelto il pc come interfaccia utente, avremmo un parco di oltre 1.500 pc da gestire, mentre allo stato attuale ne abbiamo poco più di 300, perlopiù notebook, con solo 30 server terminal da gestire perché 1.200 thin client di fatto sono plug’ play.

Cosa è cambiato oggi nel suo lavoro rispetto al passato?


“Una volta mi rimboccavo le maniche e andavo direttamente sui problemi tecnici, ma l’azienda era anche molto più piccola. Oggi, che la divisione Ict conta una decina di persone, più svariati consulenti e outsourcer, mi occupo di supervisione, analizzando i contratti di intervento, assegnando le priorità, ascoltando i fornitori che mi spiegano le nuove opportunità tecnologiche e, in generale, occupandomi di strategie tecnologiche. Ogni volta che è necessario effettuare un investimento su sistemi e servizi It, negoziamo direttamente a livello contrattuale ed economico, e, a fronte di trattative che non ci convincono, possiamo optare di scegliere immediatamente un altro canale di fornitura, proprio per il fatto che operiamo sempre nel contesto di sistemi e tecnologie aperte”.

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