Home Cloud Quale cloud scegliere, quando serve farlo, e dove tenere i workload

Quale cloud scegliere, quando serve farlo, e dove tenere i workload

E se ci fossero troppi cloud fra cui scegliere? Ce ne parlano Christian Leutner, Vice President, Head of Product Sales di Fujitsu Emea e Danilo Rivalta, ceo di Finix Technology Solutions. 

Passare al cloud è diventata una scelta automatica per la maggior parte delle aziende che desiderano modernizzare le loro operazioni. Vi sono buone ragioni per una decisione del genere, considerando gli importanti vantaggi che la migrazione verso il cloud restituisce in termini di costi, scalabilità e flessibilità. Ma si tratta dell’opzione giusta in tutte le circostanze? Non siamo troppo frettolosi nel rifiutare la possibilità di conservare i dati più a portata di mano?

Può sorprendere scoprire, dice Christian Leutner, Vice President, Head of Product Sales di Fujitsu Emea, che la risposta non sia sempre nel cloud. «Riflettiamo sul reale significato di questa frase. In genere, come cloud si intende il cloud pubblico gestito da un app provider, da un hyperscaler o da un service provider di qualche genere – i cosiddetti xSP. Ma il termine potrebbe riferirsi anche a un cloud privato, solitamente gestito da un xSP su server dedicati. Ma che dire di un cloud on-premise? Di cosa si tratta esattamente, e quale può essere eventualmente il suo ruolo?».

Christian Leutner, Vice President, Head of Product Sales di Fujitsu Emea

Ci sono app e workload che devono ancora restare nelle vicinanze

Un cloud on-premise suona vagamente controintuitivo, ma vediamo con Leutner perché non è così.

Un cloud del genere presenta infatti numerosi vantaggi che spesso non vengono presi in sufficiente considerazione quando le circostanze sono quelle adatte.

«Ciò a cui penso – dice Leutner – sono le app e i workload che dovrebbero ancora rimanere on-premises – e ci sono varie ragioni per affermare questo. Le normative sono una di esse, in particolare nel caso delle leggi sulla protezione dei dati che impongono la conservazione delle informazioni all’interno di una particolare area geografica».

La latenza è un’altra ragione: i dati elettronici sono veloci, ma ad ogni loro passaggio nel percorso verso il cloud – che magari può comportare un trasferimento al capo opposto del pianeta – potrebbero insorgere problemi nel caso di alcuni workload.

E poi c’è la sicurezza, «ambito in cui negli ultimi anni i cloud provider su iper-scala hanno finalmente fatto i compiti, diligentemente; tuttavia, permangono alcuni rischi che potrebbero essere eccessivi per alcune app ipersensibili, in particolare all’interno del cloud pubblico. Infine, ci sono le app che sono state talmente customizzate dalle singole aziende nel corso degli anni da essere ormai gli elementi che definiscono la natura stessa di un determinato business. Sono app che devono essere tenute vicine, per poter intervenire nel caso dovesse insorgere un qualsiasi tipo di problema».

 A ogni workload il proprio posto

La riduzione dei costi viene spesso citata come ragione principale della migrazione verso il cloud. Ovviamente i costi sono sempre un elemento importante, lo sappiamo tutti. Utilizzato correttamente, il cloud può abbattere le spese.

Ma, nel caso di un rehosting diretto senza alcuna modifica (il cosiddetto approccio lift and shift), si può finire col pagare molto di più – senza considerare i costi dei dati in uscita qualora si decidesse di spostare i workload tra cloud differenti o di farli tornare on-premises.

Dice Leutner che il cloud pubblico è come un taxi: è economico se si usa per tragitti occasionali, ma se lo si volesse tenere per 24 ore al giorno mettendolo nel proprio garage ogni notte, ecco che risulterebbe più costoso rispetto a un’automobile di proprietà.

«Oggi si possono ottenere tutti i vantaggi economici e di scalabilità del modello cloud pur mantenendo le app on-premise. Se il fattore primario è quello del costo, allora si può prendere in considerazione anche un’infrastruttura on-premises simile al cloud, ricorrendo al modello pay-per-use Fujitsu uSCALE anziché al cloud vero e proprio. uSCALE è un paradigma che riunisce il meglio di tutte le opzioni. I clienti ottengono accesso immediato a una tecnologia infrastrutturale high-end senza doversi impegnare con un investimento iniziale, e in più hanno la flessibilità di scalare verso l’alto o verso il basso a seconda di come vanno le cose».

I risparmi possono essere enormi. «Di recente abbiamo configurato una soluzione IoT uSCALE per una società di engineering globale che ha potuto conseguentemente ridurre le spese per il cloud del 71%. In un altro caso concreto, il nostro cliente britannico Harbor Solutions ha implementato la soluzione di cui aveva bisogno per le attività di backup, disaster recovery e storage di oggetti. Con il modello a consumo uSCALE si è dotato on-premises di PRIMEFLEX for Nutanix Enterprise Cloud, Backup-as-a-Service (BaaS) e Disaster Recovery-as-a-Service (DRaaS). I costi continuano a essere imputati a spese correnti anziché a immobilizzi di capitale, togliendo la soluzione dai cespiti e aggiungendo al data center capacità espandibile per rispondere alle variazioni nelle esigenze relative ai dati».

Come si può notare, l’aspetto economico di questo modello può essere forse anche più interessante di quello del cloud.

Con questo genere di flessibilità a disposizione, il costo non dovrebbe essere più una delle principali motivazioni di una migrazione. Occorre piuttosto identificare il cloud giusto per ciascun workload e includere nei calcoli anche il proprio data center.

Se non è il costo, qual è allora la il fattore da valutare?

Quali sono i fattori corretti da tenere in considerazione quando si sceglie dove posizionare il cloud?

«Per aiutare i nostri clienti a risolvere questo dilemma – spiega Leitner – Fujitsu ha creato una metodologia collaudata. La nostra Data-Driven Transformation Strategy (DDTS) delinea un framework in quattro passaggi che aiuta ad allocare i workload nel modo più appropriato all’interno di una più vasta agenda di trasformazione digitale».

I quattro passaggi, che sono stati progettati per aiutare i clienti a esplorare, creare, proteggere e monetizzare i propri dati, riguardano nello specifico:

  1. Definizione della baseline di trasformazione dei dati
  2. Creazione dell’architettura dati target
  3. Protezione e salvaguardia dei dati
  4. Generazione di valore di business

«Seguiamo questo processo per meglio comprendere le sfide del cliente, nell’ambito di una valutazione del ROI imperniata sulle performance. Sottolineo qui l’importanza della seconda fase: trovare il cloud giusto per ciascun processo. Come si può intendere, su questo punto siamo allineati con il quadro complessivo del cliente – vale a dire, come estrarre il maggior valore possibile dai dati. In particolare in questa fase due, identifichiamo, progettiamo e implementiamo l’architettura appropriata per il cliente, mantenendo un atteggiamento aperto, così che il cloud giusto possa finire per essere anche il data center on-premises del cliente».

Danilo Rivalta, ceo Finix Technology Solutions

Qual è dunque la domanda da porsi di fronte al cloud?

Secondo noi, prima di affermare che la risposta sia il cloud, vale davvero la pena esaminare la domanda che ci si pone a monte – ha spiegato Danilo Rivalta, Ceo di Finix Technology Solutions –. È in questo modo che si possono ottenere le performance e i risparmi garantiti dal cloud, risolvendo al contempo questioni potenzialmente fastidiose come residenza dei dati, latenza, sicurezza e alta customizzazione delle app basilari di un’azienda. In quanto partner di riferimento di Fujitsu per l’Italia conosciamo molto bene questo terreno e approcciamo queste sfide con un atteggiamento aperto e con le soluzioni fortemente innovative offerte dal portfolio Fujitsu, di cui abbiamo la distribuzione esclusiva nel nostro Paese”.

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