Prosegue la marcia del codice aperto

Oggi anche gli irriducibili nemici di ieri sembrano ormai convinti che Linux e l’open source siano diventati una realtà con cui si dovrà coesistere per un bel pezzo

Sono passati poco più di 16 anni da quando vide la luce quel primo kernel Unix sviluppato dall’allora giovanissimo Linus Torvalds che avrebbe generato “il più importante processo di sviluppo collaborativo nella storia dell’uomo”, secondo la definizione di Wikipedia.

Dai primi timidi passi nel ristretto ambito accademico dell’Università di Helsinki, il sistema operativo del pinguino iniziò una crescita a ritmo accelerato di cui non si intravede la fine, creando profonde divaricazioni tra i campi di chi lo sostiene e di chi lo avversa.

È indubbio, comunque, che Linux abbia realizzato il sogno delle quattro libertà di Richard Stallman, il fondatore della Free Software Foundation, ossia libertà di eseguire un programma per qualsiasi scopo, di studiarlo e modificarlo, di copiarlo in modo da aiutare il prossimo e di migliorarlo e distribuirne pubblicamente i miglioramenti, in modo tale che tutta la comunità ne tragga beneficio.

Sembra preistoria, anche se era solo il 2003, quando Steve Ballmer, Ceo di Microsoft, in un memo ai dipendenti che è stato riportato da tutti gli organi di informazione del settore, definiva Linux «a competitive challenge for us and for our entire industry», negando la possibilità per un “free software” di raggiungere il livello di innovazione di Windows. Ma è dello scorso anno la notizia clamorosa: Microsoft diventa distributore di SuSe Linux Enterprise Server del suo storico rivale Novell (ricordate NetWare contro Lan Manager/Windows Nt?)

E i risultati non si sono fatti attendere, tanto che a fine settembre Novell ha denunciato una crescita del 243% del suo business Linux, per un importo di 100 milioni di dollari.

Oggi ritroviamo Linux ovunque, dal più piccolo processore “embedded” ai mainframe di Ibm, e Idc, con la figura che riportiamo estratta da una recente presentazione, ci aiuta a capire il valore numerico del fenomeno, a partire dal 2005 fino a una previsione al 2009.

Come si nota oggi la componente hardware risulta percentualmente minore di quella rilevata all’inizio del periodo, e ancora minore viene prevista tra due anni, tuttavia sufficiente a spiegare l’interesse che produttori di hardware come Ibm e Hp hanno mostrato per il sistema operativo del pinguino fin dalle fasi del suo decollo.

Passando al software, la componente di spesa del sistema operativo puro e semplice è modesta e tale è destinata a restare: cosa naturale visto le molte distribuzioni gratuite sul mercato. In crescita, invece, la componente di software infrastrutturale, compresi data base, software di enterprise management system, sicurezza e virtualizzazione, e quella relativa alle applicazioni, sia fatte in casa che pacchettizzate. Infine i servizi, anch’essi in crescita anche se meno del software. In totale Idc stima il mercato 2007 dell’ecosistema open source sui 23 miliardi di dollari.

Questo clamoroso successo sta generando qualche preoccupazione tra alcuni fautori di Linux che temono che nelle oltre 30 distribuzioni disponibili si annidi il rischio di una prossima incompatibilità. Timori giustificati perché, come tutti ricorderanno, è stata proprio la scarsa compatibilità tra le versioni la principale ragione per cui Unix, il predecessore di Linux, non ha in definitiva ottenuto quel successo planetario che sembrava alla sua portata.

Ma Linux dalla sua ha una specie di assicurazione sulla vita: la sua capacità di creare comunità. All’inizio sembrava un sogno, una illusione destinata a svanire. Poi, anno dopo anno, questo concetto è passato dalla mene dei visionari alla Stallman alla realtà quotidiana, dai campus universitari ai server delle aziende. E sta conquistando a poco a poco anche i desktop consumer, per ora solo con prodotti specifici, come gli antivirus, i browser o i motori di ricerca già per domani si può ipotizzare una qualche distribuzione di Linux in molti casi al posto di Windows.

Queste comunità hanno dimostrato di saper rispondere alle aspettative e di avere la capacità di scodellare nuove release dei propri prodotti open source più velocemente di quanto non sappiano fare i più grandi produttori per i loro prodotti proprietari venduti a caro prezzo. Ma altre forme di comunità, oltre quelle degli sviluppatori sono nate e hanno preso piede. Vorremmo citarne due, che ci sembrano le più significative. La prima si è sviluppata negli ambienti universitari, tanto che i neolaureati sono diventati i primi portatori del vangelo open source nel mondo del lavoro; la seconda è quella della Pubblica amministrazione, che in tutto il mondo, in qualche nazione più, in qualche altra meno, non ha puntato sull’open source per una evidente ragione economica, ma ha stimolato i propri organi centrali e locali a mettersi in comunità per sviluppare insieme e condividere e riutilizzare le applicazioni.

In definitiva non sembra azzardato profetizzare per Linus Torvalds e i suoi seguaci un futuro ricco di soddisfazioni.

LASCIA UN COMMENTO

Inserisci il tuo commento
Inserisci il tuo nome