Porte aperte all’opensource

Si affacciano sul mercato le prime soluzioni di intelligenza diffusa a sorgente libero. Alcuni consigli utili per valutarne la reale convenienza

Il software opensource si sta facendo strada in diversi ambiti dell’It aziendale. Dai sistemi operativi (Linux) ai server logici (JBoss), ai server Web (Apache), per arrivare ai linguaggi di programmazione (Perl e Php) e ai database (MySql e PostgreSql). Si tratta di soluzioni il cui codice è disponibile per il libero utilizzo (ivi comprese anche le modifiche) gratuitamente. Dopo le prime soluzioni applicative aziendali, quali i progetti Compiere in ambito Erp o SugarCrm nel Customer relationship management, oggi l’opensource è divenuta una scelta concreta anche per i software analitici. I primi progetti sono apparsi sul mercato circa due anni fa. I più noti sono Birt, JasperReports, Pentaho, Mondrian e Jreports. Alcune iniziative sono sostenute da vendor (come nel caso di Actuate, che supporta Birt, o in quelli di JasperSoft e Pentaho), ma in molti altri casi si tratta di soluzioni sviluppate e migliorate su iniziativa di singoli individui o piccole comunità di sviluppatori. Il movimento della Bi free ha ottenuto, oggi, un’eco tale da sollecitare anche l’interesse dei più scettici. In Italia, ad esempio, è possibile installare su qualsiasi sistema operativo (non per forza open) che supporti Java, SpagoBi, intelligenza diffusa di matrice opensource già utilizzata con successo dall’Asl (Azienda sanitaria locale) n°3 di Torino o dalla Regione Veneto. La scelta è, di solito, guidata da considerazioni di carattere puramente economico (l’incidenza dei costi di licenza del software proprietario), ma le organizzazioni devono essere coscienti delle implicazioni che questa selezione ha. In termini di supporto, soprattutto, da parte della comunità degli sviluppatori o (eventualmente) delle aziende che sostengono commercialmente il progetto.


Ma anche per quello che attiene ai progressi della tecnologia, lasciati in balìa del “buon cuore” di chi mette mano al codice. La Bi opensource può rappresentare, a conti fatti, un buon punto di partenza per introdurre la reportistica in azienda e, in ogni caso, una soluzione concreta alle esigenze di piccole imprese o di dipartimenti che abbiano necessità funzionali di base, legate in prevalenza agli aspetti della Bi operazionale. Non trovano invece risposta a tutt’oggi, nel mondo del software “open”, esigenze più strutturate e complesse. Un utile “metro” per valutare la bontà degli strumenti a codice libero è la “popolarità”, ovvero il volume di codice scaricato, unito all’entità della comunità di sviluppatori che, attualmente, sostiene il progetto.


Una volta valutati attentamente questi elementi, l’azienda dovrà stimare il costo totale di possesso (Tco) dello strumento di intelligenza free tenendo conto, in prima battuta, delle spese di transizione (nel caso in cui sia già presente, all’interno dell’organizzazione, un altro prodotto) e di quelle necessarie a formare sviluppatori, amministratori e utenti a operare sul nuovo software. Oltre a questi elementi, comuni a qualsiasi soluzione, ne esistono alcuni peculiari della scelta opensource. Occorre, infatti, tenere ben in considerazione il costo relativo alla difficoltà di trovare manutenzione, supporto e consulenza sul prodotto. Ma non va trascurato neppure quello relativo alla gestione delle licenze (come l’indennizzo/indemnification, che tende a preservare le organizzazioni dal rischio di essere oggetto di una causa per violazione della proprietà intellettuale che, nel software free, è particolarmente alto) e, infine, quello legato all’acquisto (a parte) delle funzionalità non coperte dal prodotto a sorgente aperto.

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