Per gli investimenti in Italia arriva il regime di attrazione

Un’analisi della bozza del decreto che prevede la possibilità per le imprese estere, che attivano insediamenti produttivi in Italia, di applicare agli utili prodotti uno qualsiasi, a scelta, fra i regimi fiscali utilizzati in un altro Paese europeo.

Attraverso il c.d. “Regime di attrazione europea”, previsto dall’art. 41 del Dl n. 78/2010 e convertito dalla legge n. 122/2010, l’attuale Esecutivo ha ipotizzato la possibilità, per le imprese estere che attivino insediamenti produttivi in Italia, di applicare agli utili prodotti uno qualsiasi, a scelta, fra i regimi fiscali utilizzati in un altro Paese europeo. L’opzione è estensibile anche alla fiscalità applicabile ai lavoratori dipendenti impiegati nella medesima attività.
Si tratta, per espressa ammissione dello stesso Ministero dell’Economia, di un progetto ancora in itinere. Sul sito del Ministero delle Finanze (www.tesoro.it) è, infatti, stata presentata solo la bozza del decreto attuativo del Regime, con una formula – davvero innovativa – che prevede l’apertura ad ogni suggerimento “esterno” per il miglioramento del decreto stesso. Sul sito, di fatti, si legge di quella proposta che «si tratta di una bozza aperta ad ogni proposta di miglioramento e/o di cambiamento. Le proposte andranno indirizzate all’email contributo@tesoro.it. Naturalmente si deve trattare di idee e/o proposte compatibili con il D.L. n. 78 citato. Se le idee e/o proposte sono davvero valide, si può anche pensare di cambiare la legge attualmente vigente».
Il decreto, in ogni caso, ha una sua ossatura ben precisa, che prevede, innanzitutto, un’applicabilità del regime limitata nel tempo (tre anni) ed una fase di controllo da parte del Fisco ben circostanziata.
Ad una prima lettura, comunque, restano alcuni punti oscuri che, si spera, saranno chiariti in interventi ministeriali successivi.
Vediamo, pertanto, quali sono, in sintesi, i capisaldi della proposta governativa per la norma in discussione.

Finalità ed ambito applicativo
Lo scopo del provvedimento dettato dal citato art. 41 è certamente quello di attrarre investimenti esteri nel nostro Paese, consentendo a soggetti residenti in altro Paese della Unione europea, di avviare un’attività economica in Italia adottando – limitatamente alle imposte sui redditi – il regime fiscale vigente in uno qualsiasi (non necessariamente quello proprio) di un altro Stato membro della Ue.
Sotto il profilo soggettivo, le disposizioni in esame trovano applicazione a favore di persone fisiche, società e di qualsiasi altro ente considerato persona giuridica, che svolgano attività d’impresa ai sensi della normativa tributaria dello Stato membro dell’Unione europea di residenza e che avviano in Italia una nuova attività economica.
I soggetti esteri devono essere residenti – secondo la nozione di residenza recata dalla specifica Convenzione per evitare le doppie imposizioni – da almeno 24 mesi in uno Stato membro dell’Unione europea e devono essere nello stesso effettivamente operativi.
Il Regime potrà applicarsi alle imprese che, successivamente alla data di entrata in vigore del decreto, trasferiranno la propria residenza fiscale in Italia o costituiranno nel territorio dello Stato una o più stabili organizzazioni (v. box sotto) o società controllate o collegate ai sensi dell’art. 2359 c.c. Il requisito del controllo o del collegamento deve sussistere al momento della costituzione.

Il termine “stabile organizzazione” si intende riferito alla corrispondente nozione recata dalla specifica Convenzione per evitare le doppie imposizioni stipulata dall’Italia con lo Stato membro dell’Unione europea di residenza dell’impresa che presenta istanza per l’applicazione del regime estero

Da un punto di vista oggettivo, l’iniziativa economica intrapresa deve consistere in un’attività di impresa svolta ai sensi dell’art. 55 del Tuir. Sono escluse le fattispecie per cui, anteriormente alla data del trasferimento della residenza fiscale o della costituzione della stabile organizzazione o della società controllata o collegata, risultino già costituite in Italia, dai medesimi soggetti, stabili organizzazioni o società controllate o collegate che svolgano o abbiano svolto nel territorio dello Stato analoghe attività.
Parimenti escluse sono le ipotesi di mera acquisizione di partecipazione di imprese preesistenti e le attività già svolte in Italia e acquisite attraverso operazioni straordinarie poste in essere.

I benefici previsti dalla norma
Passando alla descrizione dei benefici fiscali, la bozza del decreto specifica che, attraverso la presentazione di un interpello all’Agenzia delle Entrate, i soggetti esteri potranno richiedere, limitatamente al trattamento fiscale degli utili prodotti attraverso la nuova attività, l’applicazione della normativa tributaria vigente alla data di presentazione dell’istanza in uno degli Stati membri dell’Unione europea (v. box sotto).
Fatta questa scelta, non sarà più applicabile l’istituto del consolidamento fiscale.
L’interpello deve essere presentato entro 30 giorni dalla data del trasferimento della residenza fiscale o della costituzione della stabile organizzazione o della società controllata o collegata.
Ovviamente, non si potrà fruire di quelle normative fiscali oggetto di procedura di infrazione avviata dalla Commissione europea o di giudicato della Corte di giustizia dell’Unione europea.

Per normativa tributaria vigente in uno degli Stati membri dell’Unione europea si intende l’insieme delle disposizioni relative alla determinazione della base imponibile e delle aliquote applicabili in materia di imposta sul reddito delle società e di imposta sul reddito delle persone fisiche, ad esclusione dei regimi di aiuti di Stato, delle disposizioni oggetto di valutazione negativa ai sensi del Codice di condotta in materia di tassazione delle imprese adottato con risoluzione del Consiglio del 1° dicembre 1997 e delle specifiche agevolazioni concesse o previste dalla normativa tributaria di cui viene richiesta l’applicazione

Sono esclusi dall’applicazione del regime di attrazione europea i redditi prodotti dai soggetti al di fuori del territorio dello Stato o che siano stati trasferiti in Italia o da stabili organizzazioni o da società controllate o collegate.
Il regime impositivo si applicherà per tre periodi di imposta. A partire dal quarto periodo d’imposta si applicheranno le disposizioni della normativa tributaria statale italiana. A tal fine i valori patrimoniali e reddituali di partenza dell’azienda verranno assunti negli importi risultanti dalla normativa fiscale estera applicata nel precedente triennio.
Nonostante la scelta del regime sia irrevocabile nel triennio, i benefici vengono meno al venir meno di anche uno solo dei requisiti di accesso allo stesso sopra descritti.
Va poi ribadito che i soggetti esteri dovranno specificare nell’interpello l’opzione per l’applicazione del diverso regime fiscale anche per i dipendenti e collaboratori assunti in Italia, a meno che tali dipendenti e collaboratori non optino per l’applicazione della normativa tributaria statale italiana. Ovviamente, anche l’estensione del regime a dipendenti o collaboratori resterà valida fino al periodo d’imposta in cui termina o si interrompe il regime per il datore di lavoro.

I dubbi ancora da sciogliere
Proprio in riferimento al trattamento dei lavoratori dipendenti, ai quali risulta estensibile il regime fiscale di favore, emergono alcuni dubbi applicativi del decreto.
Si tratta, segnatamente a quest’ultimo, di un regime ulteriore ed opzionale previsto dalla bozza predisposta dal Ministero. L’opzione, però, nel caso di specie, non è esercitabile da parte dell’impresa, quanto piuttosto dai lavoratori. Tale fattispecie, in particolare – ed in misura tanto superiore quanto l’impresa estera sia di produzione labour intensive – limita fortemente l’appeal del provvedimento. Al di là degli aspetti penalizzanti del regime fiscale attualmente previsto per le imprese nazionali – quantomeno probabili, altrimenti lo stesso decreto non avrebbe senso – la mera scelta opzionale dell’estensione di un regime fiscale estero anche al trattamento salariale dei lavoratori trascura l’aspetto fondamentale che – secondo alcune stime – rende disincentivante investire in Italia e, cioè, l’elevato costo del lavoro in funzione del prelievo fiscale vigente a loro carico. Se, in effetti, mancasse una informazione adeguata alla forza lavoro sui benefici e sugli svantaggi di un diverso sistema fiscale applicabile ai propri redditi e questi, nell’ignoranza, preferissero optare per l’unico sistema conosciuto, ossia quello nazionale, tale scelta vanificherebbe non poco l’impatto della norma in discussione.
Di contro, poi, un diverso trattamento fiscale fra l’operaio dell’impresa italiana e quello dell’impresa estera “nazionalizzata”, per un lavoro del tutto speculare, potrebbe far sorgere qualche perplessità sul rispetto dei vincoli costituzionali di proporzionale (al reddito) partecipazione dei cittadini italiani al prelievo tributario nazionale.
Non è ben chiaro, inoltre, in che modo il regime fiscale estero andrà a conciliarsi con gli aspetti previdenziali e, soprattutto, contrattuali del lavoro dipendente svolto in Italia. Pur godendo di un trattamento fiscale agevolato, il reddito da lavoro dipendente sconterà i medesimi contributi previdenziali ed assistenziali previsti in Italia e, ancora, godrà delle medesime guarentigie assicurate dai contratti collettivi ai nostri lavoratori?
È proprio su tali aspetti, in definitiva, che si attendono i contribuiti migliorativi al decreto più sostanziali.

 

(per maggiori approfondimenti vedi Finanziamenti e credito, Novecento Media)

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