Paradosso “business continuity”

Febbraio 2006, «In Gran Bretagna ogni banca è obbligata per legge ad avere un piano per la business continuity. Ma sono sempre di più i Governi che, con le loro normative, obbligano le aziende a studiare, implementare e testare periodicamente un piano …

Febbraio 2006,
«In Gran Bretagna ogni banca è obbligata per legge ad avere
un piano per la business continuity. Ma sono sempre di più i Governi
che, con le loro normative, obbligano le aziende a studiare, implementare
e testare periodicamente un piano di emergenza contro qualsiasi tipo di
guasto, danno o calamità naturale. D’altronde,
il trovarsi impreparati di fronte a un imprevisto, ormai non provoca solo
un danno immediato sul business dell’azienda, ma comporta anche
un problema di immagine nei confronti di clienti, concorrenti e azionisti,
in caso di aziende quotate.

Le analisi di mercato riferiscono che le aziende
tendono a sottovalutare il problema, ma quasi la metà ci mettono
almeno due mesi a riprendere la completa operatività a seguito
di un evento mission critical. Per contro, dopo aver subito un danno,

la quasi totalità delle aziende corre ai ripari. Nonostante la
business continuity non riguardi esclusivamente le strutture di Information
technology, ma investa tutti gli asset e il personale aziendale, i consulenti
informatici possono essere un interlocutore privilegiato.

La comunicazione
verso l’esterno via telefono o via Internet, per esempio, deve essere
il primo servizio da ripristinare per permettere un intervento riparatorio
più celere. Il rischio aziendale, insomma, si trasformerà
in una interessante opportunità per i fornitori di informatica
e telecomunicazioni capaci di costruire dei piani di business continuity
che proteggano completamente le aziende da eventi mission critical. »

Russell Price, chairman e Ceo del Continuity forum
(www.continuityforum.org)

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