Outsourcing sul campo

Superare l’alternativa del make or buy, valutando i costi e i benefici. Le testimonianze di Monte Paschi di Siena, Acea e Techint

Da più parti arriva il messaggio che l’out-
sourcing sta cambiando pelle, che da semplice delega di attività non core sta diventando una strategia da perseguire insieme ai partner (si badi bene, non all’outsourcer) per raggiungere nuovi livelli di eccellenza. Questo approccio è stato sottolineato anche durante il seminario realizzato da Business International sul’Ict strategic sourcing. Più difficile risulta tradurre in modo operativo quanto i vertici decidono, perché ogni azienda è una storia a sé, e la replicabilità delle strategie non porta agli stessi risultati, e perché trasporre la teoria nella pratica non è sempre una passeggiata.


Disegnare una strategia di sourcing richiede che le fasi di analisi ed esecutiva siano ben distinte fra loro. «Nella prima – spiega Francesco Ortesta, responsabile del processo di definizione e governo delle politiche di sourcing del Consorzio Operativo-Monte Paschi di Siena – bisogna sapere rispondere in modo coerente, non episodico, a varie domande: possiamo ed è conveniente farlo con le risorse interne? Quali sono i rischi connessi a esternalizzazione/accentramento? Quali i vantaggi? È possibile tornare indietro?».


Dopo aver disegnato la mappa delle alternative, si può passare alla fase esecutiva (che cosa? a chi? dove? come?). La procedura non è però facile e va calata nelle singole realtà. «Nel nostro caso – prosegue – il sistema informativo era fortemente personalizzato e il personale sbilanciato sulla parte tecnica. Il che, col tempo, ha portato a una mancanza di allineamento fra It e business, tradottasi in una certa difficoltà nel rispondere alle richieste di innovazione del top management».


Il modello di sourcing ha visto coinvolto il fornitore sia nella parte di esercizio che in quella di progetto. Sul versante back office e Ced, non ci sono stati particolari problemi. Più difficile è stato, invece, il lato application management, che prestava il fianco a problematiche di sicurezza, in parte risolte portando i consulenti del fornitore a lavorare direttamente in sede.


«La necessità del doppio presidio delle competenze – continua Ortesta – è comunque importante per favorire la genesi dell’innovazione». Ma, il “governo” delle operazioni deve rimanere all’interno. «Siamo noi a rispondere degli Sla e a dover cambiare rotta velocemente nel momento in cui il management lo richiede. Il legarsi a un solo outsourcer può essere in questo senso molto rischioso. Senza contare che la maggioranza delle partnership si basa su accordi commerciali, mentre noi vogliamo fornitori “strategici” per la crescita e la competitività aziendale».



Un ventaglio di opportunità


L’esigenza di mantenere il governo all’interno dell’azienda e di non usare un solo fornitore sono concetti sottolineati anche da Francesco Sperandini, direttore servizi e tecnologie di Acea, utility per acqua ed energia: «Fino a qualche anno fa, tutti i nostri servizi, come contabilità e fatturazione, erano sviluppati internamente, nella convinzione di avere esigenze originali che non potevano essere risolte da soluzioni esterne. Nel 2000 siamo passati a Sap con un forte impatto aziendale che ha portato alla luce una serie di problematiche. I processi aziendali erano scarsamente formalizzati e affidati alla memoria storica; la loro conoscenza era “diffusa” fra business e Ict, senza che nessuna delle due parti avesse una visione end-to-end».


I pacchetti sul mercato erano più robusti e completi rispetto a quelli usati in Acea, ma meno flessibili e pertanto lo sforzo di implementazione si è spostato sul change management. L’azienda ha, quindi, deciso di modificare la funzione Ict, creando figure gestionali e di coordinamento. Una strada del resto intrapresa anche dal Consorzio Operativo-Monte Paschi di Siena.


È stato fatto uno skill assessment dove le migliori risorse in ambito Ict sono diventate “agenti” del cambiamento e manager delle attività degli outsourcer. Ciò si è tradotto in una riduzione della spesa Ict nel suo complesso – commenta Sperandini -. In valore assoluto, questo approccio non è positivo, ma ci ha permesso di allocare i costi alle giuste risorse. Adesso abbiamo una maggiore visibilità di chi è il cliente interno, attività molto più difficile quando tutto era fatto in casa».


Sui problemi connessi al personale, si è sbilanciato anche Vittorio Busnelli, responsabile dei sistemi informativi di Techint, multinazionale attiva nel mondo dell’engineering, impianti e construction. «Alla fine degli anni 90 – spiega – abbiamo adottato una procedura di outsourcing completo, in seguito alla crescita dell’azienda e al trasloco e accorpamento di alcune strutture». In particolare all’outsourcer venivano richieste competenze in ambito reti e sicurezza, oltre alla capacità di fornire servizi di help desk e manutenzione hardware. Il processo non è stato indolore, ma ha visto una forte discontinuità fra vecchia e nuova gestione e i livelli di responsabilità non chiari hanno creato diverse tensioni interne».


A ciò si aggiunge un aspetto particolare legato ai contratti di fornitura. Per evitare contestazioni, era stato siglato un contratto con contenuti e requisiti prestazionali piuttosto rigidi. Il che si è rivelato un boomerang, perché l’outsourcer era più impegnato a compilare report burocratici, anche con dati ingannevoli per dimostrare il rispetto degli Sla, piuttosto che a individuare le problematiche del servizio, col paradosso che si sapeva che ogni intervento richiedeva in media 15 minuti per essere risolto, ma non che la maggioranza di questi riguardava una sola attività.


«Visti i problemi – continua Busnelli -, abbiamo deciso di recuperare le professionalità interne, specificando i ruoli e supervisionando internamente i servizi di help desk. Abbiamo ridimensionando il ruolo dell’outsourcer e rivisti i contratti, passando da requisiti prestazionali a un contratto di servizio», nel quale è stato introdotto il concetto che motivate inadempienze da parte dell’outsourcer possono portare non solo a modifiche del contratto stesso, ma anche alla sua risoluzione. In base all’andamento del lavoro svolto, infatti, possono essere richieste delle azioni correttive. «In questo modo – conclude – abbiamo rilevato un costante miglioramento del servizio, una stabilizzazione dei costi e una riduzione degli oneri di gestione».

LASCIA UN COMMENTO

Inserisci il tuo commento
Inserisci il tuo nome