Otto milioni di italiani esposti al furto di identità

Contrastare il furto d’identità? Impossibile senza una pinea consapevolezza dei rischi.

E’ arrivato il momento di fare un salto di qualità nel contrasto delle attività di cybercrime focalizzate sul furto d’identità. Ma per raggiungere tale obiettivo è importante conoscere bene la situazione e trovare il modo di portare le persone a focalizzarsi su questo aspetto molto critico.

E’ quello che ha fatto di recente la multinazionale inglese Cpp che opera nel settore della protezione dei pagamenti e delle carte di credito che ha configurato un nuovo prodotto specificamente studiato per la clientela delle banche italiane sia privata che professionale il cui lancio però è stato preparato da uno studio realizzato dall’Unicri, l’agenzia delle Nazioni Unite per la prevenzione del crimine.

La ricerca ha cercato di capire in profondità la conoscenza, la percezione e gli atteggiamenti messi in atto dai singoli cittadini a proposito di questo fenomeno: “che nei primi dieci mesi del 2010 in Gran Bretagna ha colpito oltre 168.000 persone per un danno complessivo di circa 3,1 miliardi di euro, mentre nel nostro Paese l’ultima stima risale al 2009, a cura dell’ABI, e parla di un danno economico superiore a 1,6 miliardi di euro”, ha spiegato Walter Bruschi, managing director di Cpp Italia.

Dalla ricerca effettuata attraverso 800 interviste telefoniche condotte su un campione di persone di ambo i sessi con età compresa tra i 25 e i 60 anni, è emerso come ben il 25,9% degli intervistati, ovvero circa 8.000.000 di italiani, sia stato esposto a una potenziale frode di identità nel corso dell’ultimo anno. Ma questa è una stima per difetto, poiché è stato ricavato prendendo in esame solo tre delle più popolari azioni legate al fenomeno: la clonazione di carta di credito, bancomat o Pin del proprio cellulare; gli addebiti o la richiesta di addebiti per prodotti e servizi non richiesti o che sono stati consegnati, e le false adesioni a contratti realizzati via Internet o attraverso il telefono. Mentre maggiori sono gli italiani che invece di correre il rischio di una frode, con comportamenti poco accorti hanno messo a rischio il furto della propria identità: oltre 15 milioni.

Numeri non certo indifferenti, di cui oggi però non c’è una corretta consapevolezza che porti le persone a essere più attente nel normale agire della loro vita quotidiana: “Immettere su un social network il numero del proprio cellulare è per molti un’operazione piuttosto banale, se non giudicata più che normale, soprattutto dai più giovani. Ma questo è un comportamento poco accorto se si pensa che questa informazione potrebbe essere utilizzata per attività di vishing, ovvero truffe che sposano il phishing con le vulnerabilità della telefonia IP, per esempio per chiamare il call center della vostra banca”, spiega Raoul Chiesa, ethical hacker e senior advisor di Unicri.

Le frodi maggiormente temute dagli italiani sono quelle riguardanti l’ottenimento di finanziamenti, crediti, mutui o il ritiro di contante dal bancomat e le conseguenze maggiormente immaginate sono quelle di trovarsi accusati di frodi o delitti compiuti a danni di terzi, oppure banalmente con il conto in rosso.

Nonostante però l’80% del campione si dichiari preoccupato dal fenomeno del furto d’identità, poche e comunque di livello base appaiono i comportamenti e le tecniche difensive adottate per contrastare il verificarsi di questa eventualità. Se infatti oltre l’80% del campione custodisce il Pin del bancomat in luogo sicuro e diverso dalla tessera normalmente utilizzata per compiere dei prelievi, solo il 55%, invece, custodisce in luogo sicuro le password che consentono la navigazione internet e la conferma di operazioni dispositive dai conti online. Solo il 44,8% strappa la posta arrivata dalla propria banca, solo il 40% custodisce solo su carta o su memoria esterna dal pc abitualmente utilizzato copia di bonifici e altre tipologie di documenti relativi alle operazioni effettuate e solo il 38,9% utilizza password diverse per accedere a servizi internet diversi.

Se i danni più temuti sono quelli di tipo finanziario, dalle percentuali appena illustrate emerge quindi una palese contraddizione: a parte la protezione del Pin del bancomat tutte gli altri accorgimenti vengono messi in atto da poco meno del 50% del campione. “Il problema sta a monte – spiega Angelo Pascarella, analista di Technoconsumer che ha collaborato alla ricerca – c’è una evidente confusione sulla definizione e sulla precisa identificazione del concetto di furto d’identità, ma anche rassegnazione in quanto questo viene percepito come una fatalità che se deve capitare… capita; insieme a queste considerazioni però si associa l’erronea percezione che sia un fenomeno di cui sono state vittima poche persone e quindi la probabilità di subire personalmente un furto d’identità è molto bassa, se non addirittura inesistente”. Convinzioni dure a morire, che però si smontano in un istante quando invece il furto d’identità, la frode e il danno, anche reputazionale, conseguenti, ci colpiscono direttamente.

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