Ontologie condivise per l’It nella Pa

Le realtà locali devono iniziare a parlare gli stessi linguaggi, superando i particolarismi del passato. La catalogazione dei servizi pubblici è solo il primo passo.

Cittadini e imprese chiedono con sempre maggiore insistenza alla Pubblica amministrazione un salto di qualità nell’erogazione dei servizi e nello snellimento degli oneri burocratici, attraverso un utilizzo più razionale delle potenzialità del Web. Le tecnologie sono, infatti, giunte ad un livello di maturità tale per cui pubblicare online i numeri di telefono, l’organigramma, la modulistica, i comunicati stampa o le scadenze dei bandi di concorso oggi non può più essere considerato un servizio perché non semplifica, di fatto, la vita.

Ogni giorno facciamo esperienza di ciò che la rete rende possibile: compriamo e vendiamo oggetti, stipuliamo polizze di assicurazione, eseguiamo transazioni bancarie e finanziarie, organizziamo viaggi, condividiamo esperienze e così via. Se il privato riesce a sfruttare Internet per offrire servizi veramente innovativi ai propri utenti, perché la Pubblica amministrazione non ci riesce? La risposta è quasi sempre la stessa: mancano dialogo e cooperazione e manca uno standard comune con cui codificare le informazioni che si trasmettono da un sistema all’altro. Non si tratta di un problema meramente tecnologico.

Occorre, infatti, lavorare sull’organizzazione e, in particolare, stabilire un significato comune per le informazioni che le amministrazioni si scambiano. In pratica, è necessario iniziare a considerare, con il giusto peso, il tema delle ontologie condivise.

Fino a oggi, il mondo della Pa è stato caratterizzato da una profonda eterogeneità: nonostante le molte dichiarazioni, il settore pubblico è rimasto, di fatto, un universo frammentato, in cui una moltitudine di isole utilizza parole differenti per indicare la stessa cosa e segue procedimenti differenti per ottenere lo stesso risultato.

All’epoca dei primi entusiasmi per la Pubblica amministrazione online importava semplicemente essere presenti sul Web e fornire il maggior numero di indicazioni possibili. I pallidi tentativi di dare omogeneità a questa marea informativa, come la catalogazione per eventi della vita proposta su intuizione del ministro Stanca all’inizio della scorsa legislatura, sono rimasti lettera morta, e anche quando sono stati realizzati non hanno mai raggiunto l’obiettivo: l’omogeneizzazione e la catalogazione avvenivano sempre all’interno della stessa isola secondo criteri assolutamente arbitrari.

L’ontologia, in questo contesto, è sostanzialmente un modo per fare chiarezza e per produrre la conoscenza necessaria a trasformare l’amministrazione pubblica da struttura autoreferenziale a struttura di servizio. Nella costruzione di una ontologia della Pubblica amministrazione bisognerebbe arrivare a catalogare in modo univoco le leggi, le prassi, le procedure, i moduli formativi e i servizi. Su questa base informativa si potrebbe, poi, lavorare in maniera intelligente sul livello tecnologico individuando, tra i diversi sistemi informativi, formati, standard, regole e modalità di messa a disposizione delle informazioni.

Il progetto People, coordinato dal Comune di Firenze, ha fatto esattamente questo: ha analizzato nel dettaglio tutti i processi dei 54 comuni partecipanti, ha sviscerato le strutture organizzative e la tipologia di utenza e ha catalogato oltre 250 servizi, riordinandoli in aree tematiche. Ma non è l’unico esempio.

Su scala minore, e con obiettivi più puntuali e a più breve termine, anche il Progetto Arianna segue questo percorso. «La concezione di ontologia che stiamo cercando di portare vanti – spiega Annalisa Barone, program manager del Progetto Arianna – dovrebbe portare a una inversione dell’approccio della Pa verso l’esterno. Non è più l’utente/cittadino a doversi adeguare al modo di pensare e di agire dell’ente locale, ma l’amministrazione pubblica a ragionare in un’ottica di servizio nei confronti dei cittadini, delle imprese e delle altre amministrazioni».

Una volta fatto lo sforzo di ricondurre all’ontologia di riferimento tutte le risorse del sistema, mediante la creazione di una enorme base di conoscenza (indagabile sia secondo il criterio tassonomico che semantico), tutti i dati e le informazioni sono sotto controllo e possono davvero essere utilizzate in maniera proficua. L’idea alla base di Arianna è quella di partire da una fase iniziale di studio e analisi, in cui coinvolgere un piccolo gruppo di enti sperimentatori (al momento partecipano i Comuni di Mantova, Roma e Cosenza, una amministrazione provinciale ancora in via di definizione, la Regione Marche e il ministero dell’Economia) e concentrarsi su pochi servizi già informatizzati, per poi allargare l’orizzonte non appena disponibili i primi risultati della sperimentazione.

Come spiega Benedetta Graziani, assessore all’Innovazione del Comune di Mantova «in un paese come il nostro, estremamente frammentato e dotato di numerosi livelli istituzionali, ciascuno con la propria porzione di competenze e autonomia, il coordinamento è l’unica strada percorribile per perseguire l’innovazione».

Non si può pensare di imporre soluzioni o procedure identiche in tutti gli 8.100 comuni, le 103 province, le regioni e nella fitta rete di enti e agenzie in cui si articola il livello centrale della Pa, sia per ragioni storiche che per ragioni di convenienza.

Si può e si deve, invece, ragionare sulle modalità di interazione. In questo senso, una ontologia generale della Pubblica amministrazione è lo strumento chiave di governo di questo cambiamento: la caratteristica fondamentale dell’ontologia è quella di essere elemento di governance del cambiamento, cioè di fornire strumenti adatti a governare questa collaborazione.

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