Nuove leve nella data protection

Mendocino, start up americana, parla di recovery management, per dire una cosa semplice: dati e processi, conserviamoli insieme.

Si continua a parlare di Continuous data protection (Cdp), ovvero quella nuova disciplina che prendendo spunto dallo storage basato su disco, garantisce il backup e la replica dei dati in qualsiasi momento.


Gli ordini di grandezza su cui ragionare, qui, sono i Terabyte per i dati e le migliaia di decine di dollari per l’investimento (70-80 mila dollari per un Tb di storage).
E il soggetto alla ribalta è Mendocino, una startup che “abusa” di un nome fortunato nel comparto tecnologico: l’hanno portato illustri processori (Intel) e ha indicato intese fra grandi vendor di software (Microsoft e Sap).


Il limite, se vogliamo, della disciplina, è quello di non potere tenere conto, nei byte, delle implicazioni relative alle normative di tenuta dati (come l’ormai leggendaria Sarbanes Oxley).


Almeno fino a questo momento.


Pare, infatti, che il mercato dell’offerta si stia muovendo in tale direzione e, come spesso accade, l’iniziative viene lasciata alle start up, che per indole e definizione sono addette alla sperimentazione, alla prova di superamento dell’ostacolo.


Nella fattispecie, Mendocino si accinge a proporre una soluzione che combina i dettami del Cdp e dello storage “consapevole”, ossia quello che tiene in considerazione i processi di business.


Insomma, la parola chiave di RecoveryOne, il sistema di Mendocino, parrebbe essere “processi” più che “dati”.


L’appliance rilasciata dalla società americana presieduta da Steve Colman, con un passato in Veritas, e a cui stanno dietro investitori come Accel Partners (venture capitalist di realtà come Agile, Macromedia, Plycom, Uunet, Veritas, RealNetworks), non solo si dovrebbe occupare di conservare i dati per restituirli alle applicazioni, ai database e ai file system in un determinato momento, ma anche di gestire le informazioni relative ai processi a cui queste applicazioni partecipano.


Il fatto è che, è l’idea di Mendocino, le soluzioni di Cdp prendono i dati da un’applicazione a un momento prefissato dall’amministratore di sistema, ma nulla dicono riguardo i processi che poggiano su quell’applicazione. E parlando di processi di finisce al funzionamento vero e proprio di azienda, e, quindi, anche nel campo della normale tenuta conti. Per esempio, il momento di verifica trimestrale.


RecoverOne, allora dovrebbe poter scrutinare le applicazioni secondo un evento prefissato, societario, come può essere, appunto, una chiusura trimestrale, o anche tecnico, come un aggiornamento del database, segnandosi dati e processi legati a quell’evento. Oltretutto il software pare essere stato disegnato per la più ampia gamma di piattaforme tecnologiche, da Microsoft Exchange sotto Windows a Oracle su Solaris.


Per indicare il trattamento delle informazioni abbinate all’evento verificatosi, in Mendocino provano a usare un termine nuovo, recovery management, che sottende, appunto, all’unione delle pratiche di Continuous data protection, con quelle dello storage basato sugli eventi.


Tecnicamente, RecoveryOne raccoglie i dati utilizzando quello che in gergo viene chiamato “data tap”, ovvero un dispositivo slegato da volume manager e file system e portabile su più dispositivi di rete, mentre il software gira su un’appliance di rete che può supportare più server.


Per la commercializzazione di questa soluzione Mendocino si affida a un concetto alto di canale indiretto, puntando ai grandi Oem, come Ibm, Emc e Hp.

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