Multicanalità: la dimensione non è importante

Piccoli o grandi aziende possono giocarsi la loro partita. Ma c’è bisogno di….

Così come è stato fatto per i consumatori anche le aziende sono state categorizzate a seconda dell’atteggiamento verso i new media. Il risultato, presentato da Giuliano Noci, docente della School of management del Politecnico di Milano nell’ambito del convegno sulla multicanalità, sono quattro gruppi che vanno dalle aziende “Miopi”, al “Vorrei ma non posso”, “Vorrei ma non riesco” e all’attualissimo “Yes we can”.


“Le aziende miopi – spiega Noci –, nel quale rientrano anche grandissime imprese, conoscono poco la multicanalità. Spesso sono convinte che il loro target non abbia grandi potenzialità verso i new media”.


Con il gruppo del “Vorrei ma non posso” passiamo ad aziende che hanno avviato iniziative sperimentali frenate però dal contesto inerte al cambiamento. Succede nelle filiali delle multinazionali dove il quartier generale non è molto sensibile all’argomento, nella mancanza di incentivazioni oppure quando non vi sono metriche a supporto della multicanalità


Del “Vorrei ma non riesco” fanno parte quelle imprese dove il manager non spicca per lungimiranza, ma nonostante questo alcune unità si sono mosse verso i new media. Il resto dell’organizzazione appare però impermeabile tanto che non si riescono a sviluppare modelli per mettere in contatto le varie iniziative.


Infine, la punta avanzata quel “Yes we can” che cavalcano a tutto tondo la multicanalità e che “contano sulle dita di una mano”. Un esempio che forse potrà sorprendere? Fiat. La sua campagna per la nuova 500 viene considerato una iniziativa molto interessante anche se, specifica Noci, non ci sono evidenze che il gruppo del “Yes we can” vada a gonfie vele con riflessi evidenti sul conto economico rispetto alle aziende miopi.


“A livello di percezione qualitativa ci sono considerazioni positive, muoversi verso la multicanalità pare premiante, ma mancano le metriche per tradurre gli effetti sul conto economico”. Di certo è che la dimensione d’impresa per questo tipo di iniziative non viene considerata una variabile importante.


Alle aziende è comunque richiesta “la revisione di alcuni archetipi del marketing tradizionale”.


Per quanto riguarda la value proposition, aggiunge Noci, bisogna aumentare il peso relativo della componente relazione rispetto al prodotto/servizio, cadono i confini tra marketing strategico e operativo, si avverte il bisogno di nuove metriche che permettano di misurare la multicanalità nel suo complesso, di nuovi ambiti di misurazione che permettano di individuare le “tracce” lasciate dai clienti anche in contesti peer to peer. Secondo Noci, in sostanza, anche strumenti come il Crm devono permetterci di verficare quel “rumore di fondo” che sul web riguarda la nostra azienda. Le discussioni su blog e forum, la viralità di certi filmati.


C’è bisogno di un nuovo modello di interazione, un “coinvolgimento individuale diretto contestualizzato ed emotivo” del consumatore in ottica di co-creazione con un’interazione sempre più diretta e disintermediata “con la customizzazione della comunicazione e la contestualizzazione di contenuti e canali nei momenti di interesse e acquisto del cliente per creare emozioni e contesti di linguaggio più naturali per il consumatore”.


C’è bisogno di guardarsi attorno e vedere che i ragazzini passano molto tempo sul Web e un po’ meno davanti alla tv e che quasi un italiano su sei, anziani e bambini compresi, va su Facebook. E capire come tutto ciò possa intrecciarsi con la propria azienda.

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