Middleware: la tortuosa via dell’integrazione

Dagli application server, che stanno cambiando forma, all’e-business globale. In mezzo un terreno misto fatto di workflow, processi e schermaglie di nomi. Unico comune denominatore: la lingua Web

Per la prima volta nel panorama dei vendor, si rileva una straordinaria coesione sugli obiettivi da raggiungere per arrivare all’interoperabilità totale delle strutture informative nell’era dell’e-business. Consentire la creazione di Web Services, divulgare l’uso di Xml e permettere il riutilizzo totale del codice. Questi sono e rimarranno i traguardi di tutti i fornitori. Il modo con cui ogni azienda fornitrice ci arriva, però, è tutto un altro discorso. Il panorama delle piattaforme e dei servizi di integrazione, cioè dell’Eai, è quanto mai variegato nelle forme e nei modi, cioè nelle piattaforme abilitanti l’e-business e negli standard, sia tecnologici, sia metodologici. Anche laddove una comunanza esiste, come nel mondo J2ee (Java2 Enterprise edition), la persistenza di offerte differenti lascia presagire che la strada da percorrere verso un’effettiva interoperabilità sia ancora lunga e tortuosa.

Le convergenze in atto
Proviamo, dunque, a tirare le fila di una trattazione che, spesso, si perde dietro a una selva di sigle o in meandri di pacchetti di offerta, nei quali viene aggiunto un componente tecnologico alla settimana, con un’enfasi che pare debba essere giunto il momento che cambia il mondo dell’e-business, mentre poi nulla succede, se non un aumentare dell’entropia del panorama tecnologico. Alcuni utenti hanno rilevato che il fatto che gli application server di classe J2ee (tutti tranne quello di Microsoft) stiano avvicinandosi, per destinazione d’uso, ai servizi di integrazione (Eai), inglobandone, spesso, alcune funzioni, è un fatto positivo. E a chi ravvedeva in ciò una possibile fusione delle due soluzioni è arrivato lo stop degli analisti, che hanno decretato lunga vita a entrambi, ma separata (il che vale anche per Microsoft). Ciò non è da attribuire a un’ubbia degli studiosi del mercato, ma a un’effettiva differente matrice che trae origine dal disaccoppiamento della logica di business dalla tecnologia del dato (paradigma, ormai valido per ogni vendor). Abbiamo, così, un livello di Eai nel quale, tramite connettori (come gli Jca) o i servizi Web (come quelli di .Net) due sistemi informativi distanti si invocano a vicenda metodiche di business e abbiamo, a monte, un livello di gestione dei processi (workflow) nel quale gli oggetti di business, ormai sempre più vestiti di Xml (wrapped, è il termine più usato) vengono gestiti per fare la spola tra il cuore dei dati del sistema informativo e i sistemi di input multicanale: pc, terminali, palmari, sistemi informativi esterni.

Andare oltre l’application server
Il fatto che, spesso, nella generica dicitura application server si facciano rientrare entrambi i concetti (il workflow e l’Eai) non deve fuorviare. Esistono esempi di architetture d’integrazione in cui all’application server viene riservato il ruolo di message broker e ai Web Services quello di connettori applicativi, similmente a quanto accade nel caso di Jca (o nel caso di .Net, quando esiste un connettore Soap-Wsdl).
Così abbiamo offerte come quella di Bea, che nel generico parco dell’application server Weblogic, giunto alla versione 7, comprende motore di workflow, tool di integrazione e decine di connettori Jca pronti a interoperare. Oppure la proposta di Ibm, Websphere, che, workflow (Wxscl) ed Eai (Business Integrator) incluse, guarda alle terze parti per avere i connettori Jca.
Simili fra loro le offerte di Oracle e Sun (con il marchio iPlanet). Simili per esaustività dell’architettura, che va dagli strumenti di gestione dei processi a quelli di creazione delle interconnessioni fra sistemi, e per la presenza di tool per la creazione di connettori Jca. Una completezza d’offerta, la loro, che sfiora la proprietarietà. E fra società, come Sybase (prima) e Novell (dopo) che approdano ai servizi Web da retaggi differenti e assumendo posizioni neutrali, spunta il caso di Iona. Una società che getta un ponte metodologico verso il mondo Microsoft, con una ricerca dell’interoperabilità fra piattaforme differenti a livello di Eai e sul piano dei Web Services.

Una speranza “franca”
Proprio questi, alla fine, rappresentano l’unico metodo in grado di collegare i mondi J2ee e .Net, ovvero Java e Windows, Ibm-Sun-Oracle&Co. e Microsoft. Questa propensione all’incontro non è frutto di un buonismo, ma di un fine pratico: il riutilizzo del codice e degli oggetti di business presenti in azienda. Insomma, se proprio si deve trovare una linea unica di comportamento per il futuro è questa: non riscrivete tutte le applicazioni aziendali; incartatele in Xml; iscrivetele ai registri Uddi e fatele accedere via Web.
E l’e-business succederà.

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