Mainframe, tecnologia di oggi e di domani

Russell Artzt è, con Charles Wang, uno dei due fondatori di Ca, oltre a essere l’autore del codice dei primi prodotti nella società di Islandia (vicino a New York). Ora ricopre la carica di vice chairman ma, come sottolinea lui stesso in questa intervi …

Russell Artzt è, con Charles Wang, uno dei due fondatori di Ca, oltre a essere l’autore del codice dei primi prodotti nella società di Islandia (vicino a New York). Ora ricopre la carica di vice chairman ma, come sottolinea lui stesso in questa intervista, in fondo è rimasto uno sviluppatore di software, anche se oggi la sua visione non è più strettamente tecnica ma si è ampliata per includere anche componenti di business come il suo ruolo di imprenditore impone. «Quando Charles e io nel ’76 abbiamo fondato Ca – ci ha spiegato – abbiamo agito sulla convinzione che il mainframe era destinato a rimanere, negli anni a venire, il cuore dell’It delle grandi aziende. Dopo più di trent’anni bisogna dire che non ci eravamo sbagliati: il mainframe, che molti avevano dato per morto quando a fine degli anni 80 prese piede il client server, rimane tutt’ora ineguagliato per affidabilità e price/performance. Ciò non significa che negli anni non ci siano stati vari paradigm shift che hanno profondamente influenzato il mondo dell’informatica, a cominciare dal web. Ma molti di questi paradigmi non sono altro che evoluzioni su altre piattaforme di innovazioni che risalgono ai tempi dei mainframe».

Ci fa qualche esempio?

«Prendiamo la virtualizzazione. Oggi sembra che l’abbia inventata Vmware ma non è così. In realtà non ha fatto altro che trasferire sull’architettura distribuita concetti che Ibm aveva sviluppato addirittura sulle piattaforme 360 con il sistema operativo Vm. Io stesso ho sviluppato i primi prodotti Ca su questo sistema operativo. Ciò non toglie che Vmware abbia innovato profondamente il mondo It, portando la virtualizzazione nel mondo Intel e a un livello di diffusione prima inimmaginabile».

Oggi l’argomento di attualità è il cloud computing. Si tratta di una moda passeggera o di un vero paradigm shift?

«Il cloud computing dovrebbe cambiare ogni cosa nel mondo It. Il cloud computing è passato da essere un argomento tecnologico a qualcosa che riguarda i decision maker e perciò analizzato nelle sue possibilità da un punto di vista di business. A ben vedere, anche il cloud computing ha radici nel mondo mainframe perché è l’evoluzione della virtualizzazione, dell’hosting e del pay-per-use, tutti concetti che risalgono ai mainframe».

Ma non sembra che il cloud computing, almeno in Europa, e soprattutto in Italia, stia avendo un successo folgorante…

«Il cloud computing non è destinato a sostituire completamente la modalità in house. A regime si arriverà a un punto di equilibrio con applicazioni che andranno sulla nuvola e altre che rimarranno nei data center delle aziende. Sarà compito dei Cio decidere dove collocare ciascuna applicazione. Ciò costituirà una vera sfida per loro perché dovranno tener conto anche delle preoccupazioni che molti utenti hanno, per esempio riguardo alla sicurezza, alla perdita del controllo dei dati e all’impossibilità di avere un single sign-on per tutte le applicazioni. Comunque è certo che il cloud computing è destinato a restare al centro dell’attenzione per molto tempo a venire, perché le tecnologie broadband e di mobilità stanno continuamente migliorando e stanno aprendo nuove possibilità di portare sulla nuvola applicazioni in mobilità, sia per uso privato con strumenti come l’iPhone, che business con smartphone come il Blackberry».

Il cloud computing potrà influire sul modo di utilizzare la tecnologia nelle aziende e negli ambienti domestici? Quando cambiamo il pc siamo abituati ad acquistarne uno più potente del precedente: sarà sempre così?

«No. Il modello vincente sarà il thin client che dopo aver suscitato grandi aspettative sembrava destinato a essere relegato in una posizione secondaria. Oggi il cloud computing lo riporta alla ribalta perché l’utente vuole applicazioni leggere, fruibili via browser e su terminali economici, anche a costo di perdere in ricchezza funzionale. Poi l’utente vuole essere sempre connesso wireless, basta vedere cosa sta succedendo in paesi come l’India, in ufficio, a casa, in viaggio, persino in aereo, come avviene già adesso, anche se solo su alcuni voli. E non vuole portarsi in giro tutti i suoi archivi in dischi sempre più grandi ma vuole metterli in un posto dove siano accessibili dovunque e in ogni momento. Ecco perché il modello di Google Apps è destinato a prevalere sul modello che per semplicità potremmo definire di Microsoft Office».

Se le applicazioni vanno sulle nuvole cosa avverrà dell’It management su cui Ca ha fondato buona parte delle sue fortune?

«L’It management rimarrà importante perché gli ambienti data center diventano sempre più complessi. Ca si preoccupa della integrazione tra fisico e virtuale e di gestire la Cloud connected enterprise, con possibilità di utilizzare infrastrutture reali e cloud private o pubbliche. Le imprese devono poter orchestrare il loro environment secondo le loro business policy e Ca intende fornire gli strumenti per fare ciò. Poi c’è la sfida della gestione del cloud computing, che richiede strumenti molto sofisticati. In definitiva, Ca dovrà fare i conti con la naturale evoluzione del modello di business puntando sempre più verso i fornitori di cloud computing e i system integrator. Già adesso Ca ha sempre più rapporti di partnership con società come Eds e addirittura con Ibm, che prima era principalmente un concorrente».

Le odierne tecnologie Web 2.0 sono effimere: un giorno sono portate alle stelle, dopo poco tempo nessuno ne parla più. Un caso emblematico è Second Life che aveva monopolizzato l’attenzione di tutti non molto tempo fa. Chi non era su Second Life non era nessuno. Un po’ come oggi accade per Facebook, però Twitter sembra prossimo a scavalcarlo…

«Il Web 2.0 è qualcosa di reale, destinato a rimanere perché c’è una chiara tendenza verso il social networking: la gente ha bisogno di essere in rete. Da qui il successo di Linkedin, Facebook, Twitter destinati a passare dall’area consumer all’area business. Ad esempio le comunità sostituiranno gli help desk: non si chiederà supporto ai produttori ma alle comunità degli utenti. Poi le aziende rimarranno in perenne contatto con fornitori e clienti non solo come integrazione della supply chain, ma anche come collaborazione. Nelle aziende la tendenza partirà dai venditori anche grazie alla diffusione di tecnologie come wiki e di programmi open source. Da parte sua Ca vuole essere il centro di una community di user, un repository di best practice, un aiuto all’orchestrazione».

Un’ultima domanda sui rapporti tra It e politica: ai tempi di Clinton il lancio delle information highway è stato uno dei capitoli più significativi dell’amministrazione. Prevede qualcosa di simile anche per l’amministrazione Obama?

«Ai tempi di Clinton la tecnologia di rete era agli inizi, oggi è più matura. Non solo il Web, ma anche i search engine, i social network e la gestione dei dati non strutturati. Ma anche se non avrà più la caratteristica della novità, anche per l’amministrazione Obama la tecnologia potrà giocare un ruolo importante, come nella riforma della Sanità. Per esempio, si potrebbe puntare a realizzare un sistema informativo sanitario integrato dove poter avere sott’occhio tutta la storia sanitaria del singolo paziente».

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