L’utilizzo del concordato preventivo

Può essere una valida procedura per consentire alle imprese in difficoltà di continuare a operare. Infatti, l’attività svolta dopo il ricorso genera debiti e crediti che devono essere trattati separatamente da ciò che è accaduto prima.

Poiché la recrudescenza della
crisi economica generale degli ultimi anni ha portato al calo dei consumi e
alla conseguente diminuzione dei fatturati, le imprese si trovano sempre più
spesso nella necessità di ristrutturarsi.

Quelle di esse che hanno i
“fondamentali” non equilibrati (rapporto tra capitale proprio e capitale di
terzi sbilanciato, carenza di mezzi propri, costi fissi eccessivi
proporzionalmente alla riduzione di fatturato etc.) non riescono a procedere
alla ristrutturazione senza l’ausilio di uno strumento che permetta la gestione
delle posizioni debitorie nel rispetto delle regole dettate dalla legge.

In questi casi può essere
interessante e doveroso ricorrere allo strumento del concordato preventivo
giudiziale.

Possono accedere alla procedura
di concordato preventivo gli imprenditori che superano le soglie previste
dall’art. 1 della legge fallimentare.

I concordati preventivi si
possono sinteticamente classificare in:

1) concordato per “ CESSIO
BONORUM”;

2) concordato “in continuità”;

3) concordati “misti”.

Si possono anche suddividere i
concordati in:


concordati
che prevedono la transazione fiscale (art. 182 ter legge fallimentare)


concordati
che non prevedono la transazione fiscale.

Il concordato in “continuità” e
il “concordato misto” prevedono che l’impresa prosegua la sua attività
“congelando” tutto ciò che è accaduto prima del deposito dell’istanza di
ammissione alla procedura. Tutto ciò che ha avuto la sua genesi anteriormente
alla data di presentazione dell’istanza deve essere trattato separatamente a
tutto ciò che accade dopo.

Quindi l’attività svolta dopo il
ricorso genera debiti e crediti che devono essere trattati separatamente da ciò
che è accaduto prima.

Questo offre maggiori garanzie,
attraverso il meccanismo della “prededuzione”, a chi fornisce, finanzia o,
comunque, ha rapporti con l’azienda in concordato.

Se il piano di sistemazione del
debito proposto contiene l’ipotesi che l’azienda prosegua la sua attività, si è
in presenza di un concordato classificato “in continuità” (art. 186 bis della legge fallimentare). Se,
invece, il piano prevede, al fianco della prosecuzione dell’attività
produttiva, anche la possibilità di cedere beni non strategici e quindi non
funzionali alla continuazione dell’attività stessa, si tratta di un concordato
di tipo “misto”.

Un ruolo molto importante viene
svolto, nel caso di concordato in continuità o misto, dai professionisti che
affiancano l’imprenditore nella stesura del piano. Infatti, dovrà essere posta
molta attenzione nello sviluppo di un piano industriale che giustifichi la
convenienza della prosecuzione dell’attività.

La continuità può essere
garantita attraverso la continuazione diretta dell’attività d’impresa, la
cessione dell’azienda in funzionamento o il conferimento in una o più società,
anche di nuova costituzione, dell’azienda o di rami della stessa.

Si dovranno identificare con
particolare attenzione e dovizia di particolari le cause della crisi ed i
meccanismi posti in essere per la rimozione degli errori e per la rimodulazione
dei piani industriali.

Anche se attualmente le banche
non paiono molto propense, sarà possibile per l’azienda in concordato che
prevede la prosecuzione dell’attività accedere a finanziamenti per i quali,
previa autorizzazione del tribunale o del giudice delegato, sarà possibile
concedere anche garanzie reali.

L’art. 161, sesto comma, della
legge fallimentare prevede la possibilità di chiedere al tribunale
fallimentare, anche in pendenza di istanze di fallimento, un termine per
predisporre il piano definitivo di sistemazione del debito. Questo termine è di
sessanta giorni in presenza di istanze di fallimento, prorogabile in caso di
giustificati motivi di ulteriori sessanta giorni; mentre è fino a 120 giorni in
assenza di tali istanze (ma normalmente vengono concessi 90 giorni).

Il tribunale ha la facoltà di
nominare da subito un commissario giudiziale, che in questa fase ha solo
l’onere del controllo.

L’amministrazione della società
rimane in capo all’organo amministrativo, salvo per le operazioni di
straordinaria amministrazione, che devono essere autorizzate dal giudice.

Riepilogando, dunque, le fasi
della procedura sono le seguenti:

1) periodo di allerta (da 60 a
120 giorni) con eventuale nomina del commissario giudiziale;

2) presentazione del piano con la
documentazione di cui ai numeri 2 e 3 dell’art. 161 della legge fallimentare;

3) ammissione alla procedura di
concordato preventivo con nomina del giudice delegato e del commissario
giudiziale e con fissazione dell’adunanza dei creditori;

4) adunanza dei creditori con
relazione del commissario giudiziale;

5) udienza di omologa se
raggiunte le maggioranze previste.

Per delucidazioni o maggiori informazioni scrivi a: consulenza@istitutosike.com.

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