L’Rfid avanza ma molto a rilento

Ailog e Politecnico School of Management concordano. L’identificazione in radiofrequenza implica non solo scelte tecnologiche ma una vera e propria reingegnerizzazione dei processi. Ecco perché i suoi benefici risultano consistenti ancora in pochi settori.

Il Politecnico School of Management ha preso in esame circa un centinaio di casi applicativi italiani, tutti relativi a sperimentazioni di infrastrutture di identificazione in radiofrequenza. Quello che emerge dall’inchiesta è che questo tipo di progetti non implica una semplice scelta tecnologica, quanto l’adozione di una molteplicità di tecnologie, che richiede uno sforzo progettuale ad hoc e consistente. "Ma questo non deve scoraggiare i potenziali utenti – mette in guardia Alessandro Perego, docente di Logistica e Supply Chain Management del Politecnico di Milano e direttore dell’Osservatorio B2b e dell’Osservatorio Rfid di Politecnico School of Management -. I benefici ci sono e sono concreti. La tecnologia è, dunque, efficace". La catena del valore di un progetto di questo tipo si sviluppa su tre livelli (hardware, middleware, applicazioni e processi) e comprende diverse attività, dalla progettazione e produzione di tag e lettori all’integrazione di questi componenti con le applicazioni aziendali, per arrivare fino alla reingegnerizzazione stessa dei processi. "Dal punto di vista della logistica stiamo assistendo a un cambiamento epocale – tiene a puntualizzare Tullo Mosele, consigliere delegato alle nuove tecnologie di Ailog, Associazione italiana di logistica e supply chain management -. I processi produttivi sono sempre più spesso spostati oltreconfine e la necessità di tracciare tutti i semilavorati, le materie prime e i prodotti finiti si fa più stringente. Il problema è che questi nuovi approcci organizzativi hanno bisogno di strumenti e procedure ad hoc per poter essere gestiti correttamente. Il fenomeno che sembra prendere piede negli ultimi tempi è l’Idc, Automatic identification of collected data, ovvero la rilevazione automatica dei materiali in movimento che, ancora oggi, di fatto poggia sui codici a barre ma che, in futuro, vedrà un coinvolgimento sempre più ampio dell’Rfid". Quest’ultima è una tecnologia nata nella metà degli anni Trenta per scopi bellici che, dopo parecchi anni di utilizzo senza regole anche sul fronte commerciale, si avvia oggi verso una progressiva uniformazione, sia sotto il profilo delle informazioni immagazzinate sia sotto quello delle frequenze di comunicazione utilizzate.

Gli utilizzi più probabili


"Nell’Osservatorio Rfid abbiamo identificato tre diversi ambiti applicativi per questo tipo di tecnologie – chiarisce Perego -. Tra quelli nei quali alcune iniziative concrete sono già state avviate ci sono la bigliettazione elettronica nel trasporto pubblico locale e il controllo avanzamento produzione, quindi le aree a monte della supply chain, nelle quali i tag Rfid sono utilizzati sui pallet o sui colli, per monitorare le diverse fasi della lavorazione garantendo una maggior ricchezza di informazioni. Ancora, l’allevamento di animali e i telepass". "Io vedo buone prospettive anche nel settore degli elettrodomestici – incalza Mosele – , soprattutto con l’entrata in vigore, a fine anno, della normativa Ue che impone il recupero dei pezzi solo parzialmente usurati. Ma ottime probabilità di impiego vengono anche dal segmento della moda, con finalità di anticontraffazione e protezione del Made in Italy". Tra gli ambiti applicativi sperimentali, invece, la logistica di magazzino, il trasporto merci e la gestione di asset.

LASCIA UN COMMENTO

Inserisci il tuo commento
Inserisci il tuo nome