L’onda lunga dell’opensource investe la Pa locale

Aumenta il ricorso delle amministrazioni locali al software a sorgente libero. Il punto di partenza è, in genere, il server Web, ma spesso si va ben oltre e si arriva fino alla produttività desktop “open”

Anche nella Pal il fenomeno del software opensource si sta diffondendo. Le motivazioni sono le più disparate, non da ultima la possibilità di garantire alle amministrazioni un più alto grado di indipendenza dai fornitori di soluzioni informatiche. Le difficoltà nell’acquisizione di software a sorgente aperto, almeno all’apparenza, sono ridotte. Questo tipo di offerta, infatti, garantisce la proprietà del codice (e, di conseguenza, la modificabilità delle applicazioni acquisite), la proprietà dei dati e delle strutture relative unite alla possibilità di redistribuire il software così acquistato all’interno della Pa. Questo principio (la libera diffondibilità degli applicativi all’interno delle amministrazioni pubbliche) è, infatti, sancito dall’articolo 25 comma 1 della legge 340/2000. Alcune amministrazioni particolarmente “evolute”, come la Provincia di Pisa, rispondendo a questa normativa hanno già da tempo deliberato la possibilità di rendere disponibile il proprio software ad altre amministrazioni e hanno pubblicato l’elenco delle procedure che le altre amministrazioni possono acquisire gratuitamente. La Provincia di Lucca ha richiesto l’installazione di OpenOffice su ogni nuovo pc mentre quella di Prato ha acquisito in licenza opensource le procedure per la gestione dei flussi documentali e il protocollo. È, inoltre, cresciuto sensibilmente, nel corso degli ultimi anni, il ricorso delle Pal ai server Web “free”. In Italia, secondo i dati raccolti dall’Osservatorio Paos dell’Università di Bologna, lo scorso marzo la penetrazione di Apache è arrivata al 42,04% (in crescita) contro il 53,67% di Microsoft Iis (in contrazione) e il 3,88% di altre offerte. La direttiva del 10/11/2003 per l’opensource nella Pa, emanata dal ministro per l’Innovazione e le Tecnologie Lucio Stanca, ha proiettato l’Italia tra i pionieri nello scenario internazionale delle iniziative per la diffusione del software a sorgente libero presso il settore pubblico. Il principio ispiratore della norma è stato quello del “pluralismo del software nella Pa”. Questo equivale alla possibilità di scegliere soluzioni convenienti, non solo in termini economici, tra quelle disponibili sul mercato, con software proprietario e aperto sullo stesso piano ma, soprattutto, significa mettere questo software a disposizione di altri enti. La direttiva impone di effettuare le comparazioni tra software proprietario e “aperto” valutando non solo il costo totale di possesso (Cto) e il costo di uscita, ma anche il potenziale interessse di altre amministrazioni al riuso dei programmi informatici.

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