Lombardia e Lazio tra il 10 e l’11% di teleworker

Piccolo censimento su quattro regioni italiane

Per capire qualcosa di più sul telelavoro abbiamo interpellato
Patrizio Di Nicola, coordinatore dell’associazione Lavoro e Tecnologia,
nonché docente di Sociologia dell’organizzazione presso la facoltà
di Scienze della Comunicazione, Università La Sapienza di Roma.
L’associazione ha come fine istituzionale quello di "promuovere in
ogni forma gli studi, le conoscenze scientifiche e le iniziative sulle
modifiche che l’innovazione, le nuove tecnologie e le reti di comunicazione
hanno sulla società, sul lavoro, sulle imprese, sull’occupazione
e sui lavoratori, e stimolare, con iniziative, studi, formazione e ricerche,
lo sviluppo del telelavoro in Italia e in Europa come strumento di aumento
e riqualificazione dell’occupazione".

Quanti sono oggi i telelavoratori in Italia e in Europa?
L’ultima ricerca ufficiale svolta dalla Commissione europea, nel 1999,
attribuisce all’Italia 720mila telelavoratori, in gran parte (584mila)
regolari (nel senso che telelavorano stabilmente almeno un giorno alla
settimana), il resto "occasionali" (il loro telelavoro è
meno frequente). Oggi il numero è cresciuto e siamo vicini a un
milione e mezzo di persone che, in un modo o nell’altro, lavorano fuori
dall’ufficio. Ma debbo anche dire, da ricercatore, che i numeri sul telelavoro
sono assai incerti. Stimare il telelavoro non è impossibile, ma
è come misurare la lunghezza di un elastico: tutto dipende da quanto
esso è teso.
In Europa i telelavoratori sono oltre 10 milioni. Circa le metà
di quelli abituali operano da casa, mentre sono ben 2,3 milioni quelli
che hanno un ufficio mobile, e possono pertanto lavorare da ogni luogo.
Il tasso di sovrapposizione è circa del 12%: sono dunque 650mila
i telelavoratori censiti in più categorie, e che, pur dichiarando
di avere un posto di lavoro a casa, all’occasione si armano di pc
portatile e telefono cellulare e lavorano presso il cliente o quando sono
fuori sede per un viaggio d’affari o di piacere.
A questi vanno sommati altri tre milioni di telelavoratori occasionali,
che usano le tecnologie per lavorare fuori dell’ufficio di tanto
in tanto. Un fenomeno che non stupisce, se si pensa che almeno due terzi
dei lavori svolti in Europa sono da considerare telelavorabili, poiché
coinvolgono mansioni e metodi di lavoro che non richiedono la presenza
assidua dell’interessato in ufficio.
Negli Usa i telelavoratori superano i 16 milioni, e negli anni più
recenti si è notato un aumento considerevole delle persone che
hanno un home business, quindi non sono dipendenti di imprese, ma consulenti
o collaboratori esterni.

Ci sono regioni italiane in cui la presenza dei telelavoratori
è più diffusa rispetto ad altre?

In Italia, purtroppo, non esistono numeri ufficiali sul telelavoro, in
quanto l’Istat, che svolge ogni tre mesi un’indagine sulle
forze di lavoro, non ha ancora inserito nel questionario un’apposita
domanda intesa a misurare la percentuale di occupati che telelavorano.
Mi auguro che colmino tale lacuna in fretta.
Comunque nell’ambito del progetto Biser (www.biser-eu.com) si è
indagato sulla diffusione del telelavoro in quattro regioni italiane (Lombardia,
Toscana, Lazio e Sicilia) e in altre 24 nei diversi Stati europei. (La
tabella allegata riporta la percentuale di telelavoratori sul totale delle
forze di lavoro).

Chi è un telelavoratore oggi? Come si riconosce in quanto
telelavoratore?

È una persona che grazie alle tecnologie Ict può lavorare
da ogni luogo, non solo dall’ufficio. Certamente è più produttivo
e meno stressato, in quanto evita di sprecare ore inutili in mezzo al
traffico.

Quali sono le professioni tipo di un telelavoratore e qual è
la conseguente strumentazione informatica?

Il telelavoro è utilizzabile in moltissime professioni: programmatori,
addetti ai call center, Webmaster, grafici, impiegati amministrativi ecc.
In pratica, tutti i lavori in cui il prodotto sia immateriale. Oggi lo
sviluppo maggiore del telelavoro lo si nota tra il personale che svolge
mansioni all’esterno delle imprese, quali venditori, tecnici di assistenza,
rappresentanti, ispettori. Tutti questi sono dotati di portatili e cellulari
tramite i quali possono interagire continuamente con l’ufficio. Ma il
futuro sarà del "networker": ufficio virtuale, colleghi
dispersi sul territorio, grande capacità di lavorare in team telematici,
oscillante tra il lavoro dipendente e quello autonomo.
Le tecnologie non sono un problema: dipendono dal lavoro che si svolge.
Chi sta a casa userà un pc con Adsl, chi si muove spesso collegherà
al portatile un cellulare con Gprs o un terminale Umts.

Secondo lei, se è possibile generalizzare, chi si occupa
degli acquisti degli strumenti informatici di un telelavoratore (lo stesso
telelavoratore o l’azienda per cui lavora)? In altre parole di chi è
la responsabilità per quanto riguarda gli strumenti di lavoro?
Esistono delle regolamentazioni in merito?

Tutti i contratti di lavoro specificano che, se il telelavoratore è
un dipendente di un’impresa, avrà i suoi strumenti di lavoro in
comodato d’uso, mentre la proprietà (e quindi la scelta di cosa
acquistare) resterà ai responsabili It dell’azienda. I telelavoratori
che operano come free lance, invece, di solito si scelgono (e acquistano)
le tecnologie da sé.

Quali sono i riferimenti legislativi riguardo al telelavoro? A
che punto sono le normative?

Per fortuna non abbiamo normative sul telelavoro, se si esclude il caso
del Pubblico impiego, ove invece è in vigore il Dpr 70 del 1999
(Regolamento recante disciplina del telelavoro nelle Pubbliche amministrazioni,
a norma dell’articolo 4, comma 3, della legge 16 giugno 1998, n.
191). A mio avviso in Italia abbiamo bisogno di meno leggi, e di applicare
bene quelle esistenti.
In generale la regolamentazione del telelavoro e dei diritti dei lavoratori
a distanza è contenuta negli accordi che aziende e sindacati hanno
stipulato dal 1995 a oggi. L’unica legislazione che potrebbe essere
utile è quella di promozione, che stimoli le imprese a sperimentare
questa nuova modalità di lavoro.

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