L’incertezza del mercato non stimola gli investimenti nell’It

Anche il 2004, per Meta Group, non sarà l’anno della tanto auspicata ripresa del settore, per il quale prevede una crescita dell’1%. In Italia le decisioni delle aziende sono particolarmente influenzate dai prezzi.

“Nemmeno per il 2004 ci sono le premesse per una significativa ripresa del mercato It nazionale. Anche perché il clima macro economico generale vede le aziende ancora alle prese con il problema di come contenere le perdite subite in questo periodo di crisi internazionale, particolarmente sentito in Europa, e quindi propense a consolidare piuttosto che a investire nell’It. In Italia, inoltre, stanno venendo al pettine alcuni nodi relativi al tessuto economico, caratterizzato da milioni di Pmi, che se da un lato rappresentano un punto di forza in fatto di duttilità produttiva, dall’altro non possono permettersi costosi investimenti in nuove tecnologie e servizi. C’è, quindi, una diffusa sensazione di incertezza che non stimola nuove iniziative”. Questo un primo commento di Antonio Piroso, dall’estate scorsa amministratore delegato di Meta Group Italia, società di ricerca e analisi a livello internazionale, che abbiamo incontrato per un quadro sull’andamento del mercato It.

Tuttavia qualche segnale di risveglio c’è, come nell’hardware, e nei pc in particolare.


“È vero, e questo è frutto di un processo di rinnovamento in alcune aree, che secondo noi è maggiore rispetto ai servizi. Tuttavia non siamo di fronte a una svolta in direzione della crescita, che alla fine del 2004 potrebbe non superare l’1%. Per il 2005, invece, se migliora il ciclo economico, si dovrebbe vedere una ripresa più significativa degli investimenti in generale, ma a oggi non abbiamo ancora certezze. Sul fronte software per quest’anno prevediamo una crescita nel middleware, dove ci sono problemi d’integrazione, piuttosto che nell’area applicativa. Il Crm non sta decollando come sperato, mentre nell’ambito del mobile computing o nell’open source c’è sicuramente molta attenzione da parte del mercato, ma anche queste non sono tendenze in grado di trainare una ripresa generale. La sicurezza è un altro tema di cui si parla tanto, ma poi in pratica non si sta facendo molto, in particolare le Pmi”.

Oggi sta crescendo la schiera di vendor che propone l’It come un’utility. Come vedete questo approccio?


“In effetti questa è una delle strade che alcuni player stanno imboccando per stimolare l’utenza, che tuttavia dimostra ancora una forte resistenza culturale in merito. Il problema non sta tanto nel fatto che se un’azienda vuole dei bit in più, basta che attacchi la spina e li ottiene, quanto, piuttosto nella gestione delle applicazioni. Nel senso che se un utente vuole ricorrere a questi servizi per svolgere certe funzioni, come per esempio emettere una fattura, alla fine non vuole ritrovarsi ad avere un qualcosa di simile al suo concorrente. Per cui, se desidera distinguersi deve investire e quindi rientriamo in un circolo vizioso”.

In Europa, si parla tanto di offshore. Come vedete questo approccio all’outsourcing in Paesi dove le risorse It sono qualificate, ma a basso costo?


“Sui reali benefici o meno dell’offshore per il momento non mi sento di dare giudizi, in ogni caso in Italia, anche su questo tema percepisco una notevole resistenza culturale. Già per quanto riguarda l’outsourcing tradizionale siamo molto indietro in fatto di investimenti rispetto ai Paesi nordici. In quest’ambito un tempo anche la Germania aveva lo stesso nostro preconcetto culturale, poi, invece, ha avuto un ripensamento e adesso è allineata con i mercati più maturi come il Regno Unito e i Paesi nordici, mentre Francia e Spagna sono a un livello intermedio. Però, in generale, prevediamo che l’outsourcing continui a crescere in Italia, soprattutto nell’area delle facility e incrementi ancora più elevati sono attesi nel Business process outsourcing. Il tutto all’interno di una logica di eccellenza operativa, in quanto la pressione sul conto economico delle aziende spinge il management a ricorrere all’outsourcing, in particolare per la gestione delle infrastrutture e molto meno per la parte application management”.

Che cosa vogliono, oggi, le aziende che chiedono la vostra consulenza?


“I clienti, essenzialmente, vogliono essere aiutati nell’accelerare il processo decisionale e cercare di evitare gli errori che altri hanno commesso. In particolare, se si sta valutando come procedere in fatto di outsourcing, dopo una prima analisi delle capability del cliente, presentiamo una rosa già selezionata di fornitori, in modo da accorciare i tempi. Inoltre, forniamo un’analisi ponderata delle tecnologie emergenti, per cui il cliente sa già cosa attendersi e come comportarsi. L’integrazione voce/dati, per esempio, è ormai acquisita e a chi oggi sta ridisegnando le proprie reti, consigliamo di prenderla in considerazione, anche perché il costo dell’Ip è diventato più accessibile. Nel complesso, ribadisco, oggi non intravediamo una tecnologia emergente tale da trainare un nuovo stimolo negli investimenti. Inoltre, riteniamo che oggi ci sia una sovracapacità dell’offerta e in particolare nei servizi, per cui molte società stanno cambiando per supplire al calo di richiesta del mercato, ma non hanno ancora trovato la strada giusta. Quindi c’è un eccesso di capacità trazionale, che le aziende non sembrano gradire, mentre forse ci sono delle esigenze inespresse che non sono state individuate”.

E per quanto riguarda il mondo degli Erp, l’arrivo di un attore come Microsoft, che si rivolge alle Pmi, non potrebbe rappresentare finalmente un punto di svolta per una maggior informatizzazione di queste realtà?


“In effetti il 2004 e il 2005 potrebbero essere anni decisivi, in quanto sia Sap che Microsoft si stanno muovendo bene. Però, fondamentale sarà anche il ruolo giocato dal canale. E mi auguro che questa iniziativa abbia successo, perché significherebbe non solo uno sviluppo più diffuso delle Pmi italiane, ma anche creare nuovi posti di lavoro locali in ambito informatico per supportare le realtà coinvolte. Peraltro il mercato italiano, avendo ancora molto da recuperare in fatto di innovazione, è visto come un terreno potenzialmente fertile. Essendo inoltre particolarmente sensibile ai prezzi, alcune società di offshore stanno aprendo delle basi in Europa e anche nel nostro Paese. D’altra parte molte società Usa stanno portando la R&D in Paesi come l’India, dove il distretto di Bangalore sta diventando la nuova Silicon Valley. In Italia un esempio positivo è rappresentato dalla Etna Valley, che dimostra come la volontà dei privati riesca ex novo a creare con successo un centro d’eccellenza nella ricerca. È auspicabile, tuttavia, che questi fenomeni non rimangano isolati, anche perché lo stato dovrebbe assumersi un ruolo più da leader in queste iniziative”.

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