L’impronta tecnologica della Criminalpol

Tempi di riconoscimento ridotti da venti giorni a tre minuti sono il fiore all’occhiello della Polizia Criminale italiana, che ha raggiunto questo risultato grazie a un’architettura client server a tre livelli

La presenza della Polizia Scientifica sul territorio italiano è organizzata, fondamentalmente, secondo una struttura piramidale a tre livelli. Al vertice, si trova la sede centrale di Roma (che ha funzioni di gestione), presso la quale risiedono Ced e casellario centrale d’identità, ovvero la banca dati delle impronte digitali. Il secondo e il terzo, invece, sono i livelli che effettivamente garantiscono la presenza capillare del sistema sul territorio, coprendo tutte le 103 questure italiane, con 14 gabinetti regionali e le sedi provinciali.
Uno dei motivi che ci ha spinto a dotarci di un sistema Afis (Automated Fingerprint Identification Server, ndr) – ha detto Stefano Petecchia, responsabile sistema informativo della Direzione Centrale della Polizia Criminale, servizio Polizia Scientifica – è imputabile principalmente alla struttura del nostro ente“. A causa di una sorta di iter a scatole cinesi, per sapere se una persona fosse già stata fotosegnalata in altre parti d’Italia, i tempi di risposta potevano allungarsi fino a venti giorni, in quanto ogni livello, a partire da quello provinciale fino a quello centrale, doveva confrontare le impronte con tutte quelle contenute nell’archivio e trasmettere i risultati al livello superiore. La complicata architettura di un sistema Afis e la necessità di lavorare con reti neurali e fuzzy logic per ridurre, in tempi brevi, le possibilità a una decina, partendo da qualche milione, rendono imprescindibile l’adozione di tecnologie proprietarie.
Al mondo, i fornitori di questi sistemi sono quattro: Xagem, Nec, Printrack e Cogent. La gara d’appalto per la fornitura del sistema italiano è stata vinta da un raggruppamento di aziende costituito da Cogent, per i motori di ricerca, e da Hp e Finsiel, per le infrastrutture.

Il sistema – ha spiegato Petecchia – doveva servire ad automatizzare l’attività presso la sede centrale e i gabinetti regionali. La soluzione, però, non ci soddisfaceva appieno, in quanto lasciava il nodo provinciale completamente avulso dal sistema. In questo senso era necessario trovare la maniera per renderlo accessibile a tutti e tre i livelli, facendo in modo che la concorrenzialità fosse sopportabile“.


Cinque motori di ricerca

La risposta a questo problema è stata trovata con l’elaborazione in postprogetto di un’architettura client server a tre step, coadiuvata dalla presenza in ogni gabinetto regionale di un “region server”, che fungesse da gateway verso il sistema centrale. “Siamo passati, così, dai venti giorni, che per noi erano la prassi, a poco meno di un’ora
– ha proseguito Petecchia -. L’opera è stata, poi, completata con lo Spaid (Sottosistema per l’aquisizione delle impronte digitali, ndr) che ci ha consentito di ridurre ulteriormente il tempo di identificazione a tre minuti“.
Il cuore tecnologico poggia su cinque motori di ricerca Cogent serie Pma, capaci ognuno di 200mila confronti al secondo. La parte di database tradizionale, costituita inizialmente da un sottosistema a disco StorageTek 9176 e da una libreria StorageTek 9740, è in fase di rinnovamento e sta per essere sostituita da nuovi apparati della medesima azienda, in grado, anche in previsione del prossimo spostamento di sede, di garantire business continuity. Il sistema gira su Unix; esistono, inoltre, delle macchine Windows utilizzate per organizzare gli output in fascicoli dimostrativi o in documenti per il tribunale, e alcune workstation Linux per il postprocessing necessario ad alcune tipologie di ricerca particolari.
Mentre si sta lavorando per muoversi verso l’acquisizione ottica, le impronte, oggi, sono rilevate per inchiostrazione e digitalizzate tramite scanner. Delle immagini ottenute sono evidenziate le minuzie (punti caratteristici che identificano l’impronta) e, una volta trascodificate in stringhe numeriche, inserite direttamente all’interno dei motori di ricerca e confrontate con l’archivio completo. Se l’esito è positivo, il sistema fornisce una decina di possibili candidati, analizzati dal tecnico dattiloscopista per l’attribuzione dell’identità. Oltre alle impronte, vengono registrate anche altre informazioni di tipo alfanumerico che comprendono, la fotografia e alcune caratteristiche salienti del soggetto, come, ad esempio, cicatrici, tatuaggi o segni particolari. Questi dati, insieme a una copia delle immagini delle impronte precedenti alla trasformazione in template (necessarie per poter effettuare la stampa dei cartellini), sono indicizzati e immagazzinati nel sottosistema a disco e nella libreria. “L’archivio – ha continuato Petecchia – che conta circa 5 milioni di record, per oltre 1T di dati, non rappresenta unicamente la base su cui poggia il sistema, ma funge anche da spinta per la creazione di nuove applicazioni. Sfruttando questo database, ad esempio, abbiamo messo a punto un sistema che permette di creare book fotosegnaletici digitali on the fly, basato sulle descrizioni fornite dai testimoni. Questa è solo una goccia nel mare. Il lavoro che stiamo svolgendo, ora che la tecnologia ce lo permette, è, infatti, indirizzato sul massimo sfruttamento dell’informazione“.

LASCIA UN COMMENTO

Inserisci il tuo commento
Inserisci il tuo nome