L’Ict chiede allo Stato di lasciare l’Ict

Il piano dei cento giorni Aitech-Assinform si chiede se sia giusta la presenza di oltre cento aziende a capitale pubblico nel mondo informatico

Un ministro vero da una parte, Lucio Stanca, e il possibile sostituto
dall’altra, Linda Lanzillotta. Sono i principali “politici” che ieri hanno ascoltato la presentazione di
”Una politica industriale per l’It e per la competitività
dell’Italia”
il piano dei cento giorni realizzato da Aitech-Assinform, l’associazione aderente a Confindustria che raccoglie le principali società del mondo Ict.

Il rapporto lungo 17
pagine prende in esame il contesto italiano ed europeo, la situazione dell’Ict
per arrivare a formulare una serie di proposte in nove punti
che vanno dalla governance dell’innovazione, alla collaborazione fra
imprese e università passando per argomenti più tecnici come la facilitazione
per il subappalto.




Per la governance l’associazione
confindustriale tira un colpo al cerchio e uno alla botte dicendo che
l’esperienza è stata positiva anche se sono mancati i fondi e i poteri e che
comunque va rafforzata senza per questo prendere una posizione precisa in merito
al proseguimento dell’esperienza del ministero.
Per le imprese, proponendo
una sorta di concertazione con Confindustria, si punta ad
aggregare le aziende anche ricorrendo a soluzioni come i “Distretti del
sapere”

promossi in Francia. La presenza italiana nei grandi progetti europei, il sostegno delle imprese italiane all’estero e le facilitazioni per quelle straniere in Italia sull’esempio di quanto avvenuto in Irlanda si mischiano poi con un supporto ai marchi globali del made in Italy “attraverso un uso intensivo dell’It”.



Ma c’è un punto che sta particolarmente a
cuore
alle industrie del settore. Aitech-Assinform chiede infatti la
diminuzione della presenza pubblica nell’economia dei servizi di mercato. Lo
Stato che anni fa produceva persino i panettoni ora tramite ministeri, regioni,
province e comuni possiede oltre cento
“imprese di servizi professionali d’informatica, di consulenza, d’ingegneria, di marketing”.



Si tratta di imprese che hanno un
costo

per addetto, secondo una rilevazione effettuata dall’Associazione, di 71.600 euro contro i 43.700 degli indici generali di settore e che “nel 2004, in una fase di mercato che ha visto una stagnazione della domanda della pubblica amministrazione” hanno visto aumentare mediamente i ricavi del +20% ”sottraendo ulteriori consistenti spazi alla spesa della Pa locale sul libero mercato”.
E’ opportuna una presenza pubblica
nell’economia

dei servizi di mercato per contribuire al iglioramento della pubblica amministrazione e per lo sviluppo del Paese, si chiede il rapporto. E ancora: le pubbliche amministrazioni, che entrano nell’economia applicano il principio della sussidarietà, in quanto non ci sarebbero imprese private capaci d’investire in tali settori, o limitano le potenzialità di un settore strategico nell’economia mondiale, che stenta a farsi largo in un mercato italiano con troppi monopoli?
Domande legittime
che si scontrano però con una pluralità di soggetti che, ancora di più in tempi
di devolution, difficilmente rinunceranno alle loro società.
A meno
che non intervenga l’Europa.

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