Le piccole imprese devono puntare su export e nuovi mercati

Lo afferma il Settimo Rapporto UniCredit, secondo il quale che la crescita dell’Italia dipende dalla capacità delle aziende di conquistare quote di mercato crescenti a livello globale, soprattutto nei Paesi emergenti ad alto tasso di crescita.

Il settimo
Rapporto sulle Piccole Imprese di UniCredit, quest’anno dedicato alla sfida
dell’internazionalizzazione e della scoperta di nuovi mercati quali strategie
di rilancio per il Paese e le Pmi. Attraverso 6.000 interviste a piccoli imprenditori italiani clienti e un questionario a oltre 200 Associazioni di categoria e Confid, l’indagine ha tastato il polso alla vitalità e
reattività delle imprese con meno di 50 addetti.

I risultati dell’inchiesta UniCredit sulla fiducia dei piccoli imprenditori,
effettuata tra giugno e settembre 2010, hanno confermato il perdurare di una
situazione di incertezza, legata probabilmente al protrarsi delle difficili condizioni
che da più di un anno caratterizzano il contesto dell’economia globale.
Rispetto al 2009, l’indice di fiducia sintetico scende di due punti, passando
da 93 a 91. Resta alto il divario tra i giudizi espressi sui 12 mesi passati e
quelli sui 12 mesi futuri: 78 per i primi, 104 per i secondi, valore
quest’ultimo analogo a quello registrato nel 2007, anno precrisi. Uno dei
risultati più interessanti riguarda la maggiore fiducia espressa degli
imprenditori che svolgono attività internazionale, segno di maggiore solidità
di impresa. L’indice di fiducia sui 12 mesi futuri registrato dalle aziende
internazionalizzate è infatti pari a 107, superiore di ben 6 punti rispetto
alla fiducia espressa dalle aziende non internazionalizzate.

Dall’analisi emerge il ruolo chiave della domanda estera sia rispetto alla
domanda interna del settore privato, che risulta debole a causa della scarsa
crescita demografica e dei problemi connessi anche in termini di
redistribuzione del reddito, sia rispetto alla componente pubblica, vincolata
dalla necessità di risanamento del debito.
Nel lungo periodo, la crescita dell’Italia dipende dunque dalla capacità delle
aziende di conquistare quote di mercato crescenti a livello globale,
soprattutto nei Paesi emergenti ad alto tasso di crescita.

Dal confronto internazionale emerge come l’Italia sia ben posizionata dal
punto di vista dello scambio di beni e servizi, siamo infatti al settimo posto
fra i paesi esportatori. Tuttavia, l’indagine conferma come i vincoli
dimensionali comportino alcune criticità tra cui la polarizzazione su un numero
limitato di mercati di sbocco, specie per gli operatori più recentemente
affacciatisi sull’estero ( il 47,8% delle imprese opera su un solo mercato e il
21,8% su due). Prevalgono inoltre strategie di globalizzazione a “medio
raggio”: più del 70% delle esportazioni è rivolta verso i mercati maturi
dell’Europa occidentale. Occorre dunque aumentare la presenza sui mercati
emergenti: non solo Cina e India, ma anche i più vicini mercati dell’Europa
centro-orientale, che tra il 2001 e il 2009 hanno contribuito per due terzi
alla crescita complessiva dell’export italiano.
I dati rivelano inoltre che vi sia ancora un utilizzo eccessivo della leva
finanziaria: il 58,5% delle imprese internazionalizzate presenta una leva
superiore al 75%.

I risultati dell’indagine mostrano anche che il primo approccio ai mercati
esteri sia avvenuto in maniera autonoma, ovvero servendosi del passaparola fra
imprese, della ricerca su Internet, o partecipando a fiere di settore. Anche
per quanto riguarda l’operatività ordinaria il ricorso a soggetti esterni
appare ancora limitato, vuoi per una innata tendenza al “fare da sé”, vuoi per
una mancata conoscenza di iniziative e servizi dedicati.

Per ovviare ai vincoli posti dalla piccola dimensione da più parti vi è un
deciso richiamo a dare vita a reti di imprese, necessarie a far massa critica e
consolidare il posizionamento competitivo sui mercati internazionali.

Come rilevato dall’indagine la partecipazione a filiere globali
consente alle realtà di piccole dimensioni di affacciarsi (direttamente o
indirettamente) sui mercati esteri con maggiore autonomia, contenendo al minimo
l’impatto degli elevati costi fissi associati ai processi di
internazionalizzazione. Purtroppo la partecipazione a reti di impresa appare
ancora limitata: il 20,5% delle imprese internazionalizzate intervistate
dichiara di appartenere ad un distretto e il 16,7% a una filiera globale.
Appena l’8,5% dichiara di appartenere a entrambe queste forme di rete.

Sempre in un’ottica di concertazione tra attori del territorio, importante è
anche il ruolo dei Confidi. Come emerge dall’indagine, durante la fase più acuta
della crisi i Confidi hanno reso più trasparente lo scambio di informazioni tra
banca e piccola impresa grazie ad un effetto di segnalazione (positivo) che si
è sommato alla tradizionale fornitura di garanzie accessorie. Parimenti
strategiche risultano essere le Associazioni di categoria, non solo nell’ambito
della consulenza e della formazione dei propri associati ma anche nei processi
di internazionalizzazione.

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