Le evoluzioni dell’Ict sono oggi centrate sull’individuo

Regina Casonato, country leader per l’Italia di Gartner, esamina le principali tendenze del mercato, sottolineando come si stia assottigliando il confine tecnologico fra consumer e corporate, così come crescono le opportunità per i Cio più “reattivi”.

Agli analisti si chiede, da sempre, di consultare una sfera di cristallo perlopiù fatta di analisi e proiezioni stilate con rigorosi metodi statistici, per ottenere chiavi di interpretazione della realtà od orientare decisioni di investimento. Di questi tempi, il loro ruolo si è fatto ancor più delicato, dovendo indicare i possibili percorsi per uscire dalle secche congiunturali e offrendo spiragli di certezza a operatori perlomeno disorientati. Con Regina Casonato, managing vice president di Gartner, da poco divenuta country leader per l’Italia, abbiamo provato a individuare le principali tendenze dell’attuale mercato Ict, i cambiamenti in corso e quelli prevedibili a breve e medio termine.


“Diciamo, innanzitutto, che si tratta di un mercato ancora in fase di forte innovazione – chiarisce subito la manager – sia dal punto di vista tecnologico che organizzativo. Basti pensare al ruolo che molto software, nato per l’utilizzo consumer, sta avendo nello sviluppo delle politiche corporate. Google è il classico esempio di uno strumento creato per la ricerca individuale, ma oggi entrato nelle aziende al punto da ridefinire l’organizzazione delle informazioni interne. Un discorso analogo si può fare per l’instant messaging o addirittura per i blog, che introducono un diverso concetto di lavoro in teaming”.

Si sta quindi assottigliando il confine fra l’uso individuale e quello aziendale delle tecnologie informatiche?


“Certamente. Noi prevediamo che un certo numero di organizzazioni inizieranno a fornire l’accesso alle proprie infrastrutture informative da dispositivi di proprietà dei dipendenti. Questo porrà una serie di problemi soprattutto in termini di sicurezza, ma l’offering in tal senso si sta rapidamente adeguando. Dietro c’è un cambiamento profondo nel modo di intendere l’informatica per le aziende. Fino a poco tempo fa, si era ragionato soprattutto in chiave di miglioramento della produttività e, di conseguenza, di automazione dei processi. Esiste però tutta una serie di attività che svolgono le persone e che non sono strutturate, ma hanno a che vedere con la presa di decisioni o, più in generale, con il lavoro intellettuale. Questa è la nuova frontiera per la tecnologia, che deve saper proporre strumenti in grado di impattare sulla qualità delle informazioni disponibili o sulla possibilità di condividerle”.

Dal punto di vista più strettamente tecnologico, quali sono i settori sui quali puntare l’attenzione?


“Citerei le architetture a servizi o quella che noi chiamiamo Business process platform, la costante diffusione dell’open source, soprattutto in settori verticali come la Pa e , infine, le nuove opportunità che l’It inizia a offrire, per esempio nel microcommercio, la comunicazione online o l’Rfid”.

Come vedete la crescente tendenza delle aziende a creare spin off che, in qualche modo, esternalizzano la gestione dei sistemi informativi, spesso trasformando gli It manager in imprenditori di se stessi?


“È un tema di stretta attualità, che si connette a quello più ampio della delocalizzazione, intesa nel suo significato più ampio. L’Information technology e la caduta del prezzo delle transazioni consentono oggi di virtualizzare l’impresa, lasciando all’interno solo ciò che ha strettamente a che fare con il core business e cercando sul mercato ciò che questo può fare meglio, sia per economie di scala che per competenze. All’interno tendono a restare le persone che hanno skill specifici e preziosi per le aziende. In Italia il fenomeno esiste, ma forse è meno sviluppato che altrove, anche perché è il Sistema Paese a rendere più complesse determinate dinamiche. Però, ci sono intere aree dove le aziende si sono già in qualche modo reinventate, come ad esempio in Piemonte”.

Più in generale, già da qualche anno analisti e operatori del settore hanno puntato l’attenzione sul concetto di impresa agile o reattiva, cioè pronta a cogliere in tempo reale i mutamenti di scenario nelle proprie aree di business, anche e, soprattutto, grazie al contributo dell’It. Non sembra che in Italia questa logica abbia, almeno fin qui, attecchito un granché…


“L’Italia ha fatto passi avanti significativi. Fino agli inizi degli anni Novanta, il fornitore di tecnologie era costretto a fare formazione culturale per i propri clienti, mentre ora non è più necessario. Anzi, dall’utenza arrivano nuove sfide per i produttori. Esiste ancora un gap fra la nostra realtà e quella di altri paesi, soprattutto gli Stati Uniti. Una certa inerzia è forse legata al nostro Sistema Paese, che rende complesso creare un’azienda o reinventarne il ruolo. Ma le differenze si stanno assottigliando e i picchi di eccellenza in certi settori lo stanno a dimostrare, ad esempio nel settore della mobilità. Il nostro problema più grosso è la spinta innovativa. Capita spesso di incontrare società che hanno idee brillanti, quindi c’è una certa vision. Le lacune da colmare sono soprattutto nella capacità di esecuzione”.

Come sta cambiando il ruolo dell’analista e come verrà integrata l’expertise acquisita con Meta Group?


“Certamente, rispetto a una dozzina d’anni fa, è cambiato per noi l’interlocutore. Più che mai, oggi ci viene chiesto di dare del valore, ovvero contestualizzare quanto produciamo e riferirlo ai fenomeni complessivi. In termini generali, i dati restano un elemento importante, soprattutto per certi tipi di clienti, ma quello che ci viene chiesto sempre più è di partecipare al processo decisionale, con contributi di valore. L’acquisizione di Meta ci consente di arricchire l’offerta in termini di contenuti e di competenze specifiche in alcuni settori, come quello delle utility o delle assicurazioni”.

In Italia, la presenza e la visibilità di Gartner è destinata ad aumentare?


“Noi abbiamo scelto di essere presenti dove si gioca più un discorso di contenuti che di immagine. Il nostro modello prevede che l’analista sia soprattutto uno specialista, quindi si presenti come l’esperto di una determinata area. Certamente, va fatto qualche investimento sul brand, ma abbiamo già sviluppato delle eccellenze riconosciute a livello mondiale, come il servizio per gli executive”.

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