L’e-commerce contro la distribuzione?

Il commercio elettronico rappresenta contemporaneamente un nuovo canale di vendita e l’occasione per i produttori italiani di disintermediarsi dai canali di vendita tradizionali. Eppure, la distribuzione italiana è ancora lenta ad adeguarsi a qu …

Il commercio elettronico rappresenta contemporaneamente un nuovo canale di
vendita e l’occasione per i produttori italiani di disintermediarsi dai
canali di vendita tradizionali. Eppure, la distribuzione italiana è ancora
lenta ad adeguarsi a questa nuova realtà, con il rischio che quando gli
utenti finali si affacceranno su Internet, non troveranno fornitori
nazionali. L’analisi è contenuta nel primo Rapporto sulla distribuzione
italiana, dal titolo "Un commercio in via di estinzione", realizzato
congiuntamente dal Centro Einaudi di Torino e da Sisim, società di
consulenza specializzata nello sviluppo di reti distributive dirette e in
franchising, che analizza, oltre al commercio elettronico, anche
l’evoluzione del commercio in tutte le sue manifestazioni negli ultimi
dieci anni.
Dal 1993 a oggi, i domini su Internet sono passati da 26mila a 5 milioni e
a essi si sono affacciati circa 171 milioni di utenti, di cui 97 milioni
abitano in Canada o negli Stati Uniti e 40 milioni in Europa. Di questi
ultimi, però, la metà è concentrata in Germania e in Inghilterra e l’a
ltra
metà è distribuita nei restanti paesi: quelli mediterranei, compresa
l’Italia, sono in ultima posizione. In termini di tasso di penetrazione
della rete, si va dal 33% degli Stati Uniti al 32% della Finlandia, al 22%
della Danimarca, al 10% della Germania e del regno Unito, al 6% della
Francia e al 4% dell’Italia, con pochi paesi, quali la Spagna (3,5%) e il
Portogallo (2%) alle nostre spalle.
Ma la platea di potenziali consumatori, che in un anno ha generato
direttamente o indirettamente, 1.700 dollari di prodotto lordo pro-capite,
è destinata ad allargarsi enormemente, dato che si stanno diffondendo
strumenti di accesso a Internet, quali le web-Tv o i telefonini Wap, più
facili da utilizzare dei pc. E sono almeno sette le ragioni per sostenere
che il commercio elettronico, nuovo format commerciale, potrebbe avere una
curva di espansione analoga o maggiore di quella ottenuta da altri recenti
format innovativi, come l’hard discount o il franchising. Innanzitutto, il
limitato costo per aprire un sito Internet e quello variabile per contatto
che considerando i 171 milioni di potenziali utenti raggiungibili, è
approssimativamente zero. Poi, c’è il fatto che il commercio elettronico
permette la creazione di prodotti o servizi prima inesistenti, come per
esempio, il giornale su misura e che l’arrivo degli investimenti
pubblicitari sulla rete (nel 1998 furono 1,92 miliardi di dollari, il
doppio rispetto all’anno precedente). A ciò si aggiunge la possibilità d
i
vendere beni il cui valore era in precedenza praticamente zero, perché non
si poteva far conoscere la loro esistenza, come nel caso dell’offerta di
spazi pubblicitari invenduti. Infine, l’e-commerce risulta
straordinariamente attraente per qualunque imprenditore che voglia
aggredire una catena distributiva e i relativi costi, così come, a
differenza di altri format innovativi del commercio, l’e-commerce non si
rivolge a tipologie e categorie tipiche di prodotti e/o di consumatori, ma
è aperto a qualsiasi merceologia.
Fino a oggi, continua il rapporto, i settori più "gettonati" sono stati
quello automobilistico e quello delle agenzie turistiche. Ma l’e-commerce,
nel suo complesso, è un mercato fortemente promettente. Il suo valore è
stimato, in modo prudenziale, in poco più di 102 miliardi di dollari, e le
sole vendite sarebbero pari a circa la metà di questa somma. Se essa
raddoppiasse ogni anno (negli ultimi tre anni è cresciuta del 174 per cent
o
all’anno), il mercato elettronico nel 2001 varrebbe 408 miliardi di
dollari, due volte e mezzo il fatturato della General Motors.

LASCIA UN COMMENTO

Inserisci il tuo commento
Inserisci il tuo nome