Le best practice di Itil aiutano le imprese a migliorare i processi

Le norme, suddivise tra supporto ai servizi ed erogazione degli stessi, descrivono le prassi più indicate per ogni tipologia di azienda, sulla base di esperienze vissute in passato da imprese con problematiche analoghe, mettendo in pratica un approccio già sperimentato.

Seguire la strada delle best practice equivale a percorrere un sentiero consolidato per raggiungere un determinato obiettivo, mettendo in pratica un approccio che indirizza una situazione in base a osservazioni ricavate da realtà e circostanze identificabili in scenari simili.


Si considerano, così, varie idee e si condividono esperienze con chi, nel passato, ha svolto attività e risolto problemi analoghi, definendo quali di queste risultano essere rilevanti per il contesto specifico.


Per la gestione degli ambienti It, si guarda sempre più spesso a metodologie già sperimentate sul campo e, nel caso dei servizi, la forma è quella delle norme Itil (Information technology infrastructure library), modello non proprietario (originariamente sviluppato dall’ente Itc del Governo inglese), il cui scopo è di consentire alle organizzazioni di mettere a punto i processi interni per adattarli alle esigenze di business. Tali linee guida sono state le ispiratrici del British standard (Bs15000), che indirizza tematiche di service management, emesso per la prima volta nel 2000 e che è in corso di aggiornamento definitivo. I riferimenti prevalenti in questo settore sono completati dalla norma Iso 17799, lo standard mondiale basato sul Bs7799 per la sicurezza delle informazioni aziendali.


Le best practice raccolte nella libreria Itil – ha sottolineato Stefania Renna, associate project manager Italy services di Computer Associates – mirano a condurre al meglio le operazioni all’interno di qualsiasi tipologia di azienda in cui sia presente un’infrastruttura tecnologica e, quindi, una organizzativa, vale a dire il Ced".

Il day-by-day e il ciclo completo dei servizi


L’Itil è costituita da un insieme di procedure racchiuse in due volumi, intitolati rispettivamente Service support e Service delivery (con l’argomento della security trattato in un apposito tomo, uscito nel 1999). Le norme descrivono le prassi più indicate per ciascun organismo, tenendo conto di alcuni aspetti specifici.


Sono state, così, differenziate le operazioni di supporto ai servizi (che comprendono la funzione di service desk e le discipline di incident, problem, change, configuration e release management) e quelle di erogazione (che racchiudono il service level management, l’availability management, l’It service continuity management, il capacity management e il financial management).


Altri moduli coinvolti sono quelli per la gestione dell’infrastruttura e delle applicazioni. Quest’ultimo, tra i più recenti, copre il ciclo di vita dello sviluppo software e del successivo utilizzo e pone l’accento sulle interrelazioni tra concezione e sviluppo delle applicazioni e dei servizi.


Si affronta la quotidianità – ha indicato Renna -, che gravita attorno all’help desk, il quale riceve le chiamate dalle persone con problemi all’infrastruttura It e che, attraverso il service desk, genera un flusso di altri processi". Nel Service support, si parte dall’incident management (determinazione e definizione della telefonata), per transitare nel problem management (dove, nell’effettivo, la difficoltà si dimostra tale), fino ad arrivare al change management (ovvero la gestione del cambiamento per cercare di superare l’empasse) e al release management (che rilascia le modifiche effettuate), terminando con il configuration management (indicazioni su come configurare l’infrastruttura tecnologica e sui collegamenti tra i processi).

"Se espletate in ordine, queste operazioni producono dei benefici nell’erogazione giornaliera dei servizi", ha proseguito la manager.


Anche il service delivery raggruppa cinque discipline, che sono di supporto alla qualità e all’intero ciclo di vita dei processi. In particolare, il service level management rappresenta la gestione del livello dei servizi; l’availability management si lega alla disponibilità di questi ultimi; il capacity management è relativo alla capacità con cui l’azienda può erogare un dato servizio e il continuity management si occupa di disaster recovery. Un discorso a parte merita il financial management, come è emerso dalle parole di Renna: Itil suggerisce che quella piccola area dell’azienda che si occupa della parte tecnologica debba poter effettuare in proprio anche la gestione finanziaria, in quanto l’ambito in cui si trova a operare è talmente complesso che diventa necessario poter sviluppare un focus finanziario concentrato".


I processi non sono direttamente collegati a cascata tra loro ma si nutrono l’uno dell’altro, legandosi con relazioni complesse, contribuendo al servizio erogato al business e agli utenti dei sistemi It, che possono essere dipendenti aziendali oppure partner e clienti. Sia l’area support sia quella delivery interagiscono con le reti, i sistemi, le applicazioni e i database dell’infrastruttura It, nonché con la relativa gestione operativa.

Anche l’Italia crede nell’ItSmf


È il servizio in quanto parte integrante, e non più secondaria, dell’infrastruttura tecnologica a rappresentare il cuore dell’Itil. In Italia, come anche in altri paesi, negli ultimi due anni l’interesse per l’Itil, principalmente da parte delle grosse aziende, è cresciuto – ha segnalato l’interlocutrice -. Si assiste a un fiorire di iniziative partendo da implementazioni effettive, da misurazioni reali. Non si tratta, infatti, di una semplice metodologia, ma vengono affrontate stime di costi e di introiti valutando il ritorno degli investimenti".


Sull’onda di altre nazioni, anche da noi ha preso corpo l’ItSmf (Information technology Service management forum), associazione no profit, nata nel 1991, per la promozione e lo scambio di esperienze all’interno dei servizi tecnologici che si basano sulle best practice di Itil, cui aderiscono più di mille aziende in diciannove nazioni. Il principale obiettivo consiste nell’aiutare i propri associati a migliorare la gestione dei servizi Ict, ponendo a loro disposizione, tra l’altro, una rete di esperti con cui confrontarsi a livello locale o internazionale, e la costituzione di gruppi di lavoro tematici.

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