Le aziende l’e-business lo vendono in questo modo

Il tema è decisivo per produttori, sviluppatori e distributori di soluzioni e servizi per la rete

Gli analisti di Sirmi hanno identificato tre fasi in cui si possono trovare le aziende nello sviluppo delle attività su Internet. Nella prima le imprese si limitano a considerare la Rete come uno strumento passivo da usare per comunicare semplicemente la propria esistenza, senza realizzare nessun’integrazione con il sistema informativo preesistente e senza considerare Internet un fattore strategico. Altre aziende sono già passate allo stadio successivo, nel quale realizzano servizi di commercio elettronico (ossia la possibilità di ordinare, acquistare o ricevere beni, pagandoli on line).
Le nuove attività debbono essere integrate con il sistema informativo aziendale per sfruttarne appieno le potenzialità. Infine, c’è la fase più evoluta nella quale l’impresa è interamente proiettata nel contesto Internet, che diventa addirittura asse portante per lo sviluppo della stessa azienda.

Il modello
prevalente
Qual è il modello di comportamento prevalente oggi, ma soprattutto come cambierà in un prossimo futuro?
Sirmi lo ha chiesto nel settembre 2001 a 400 aziende con oltre 20 dipendenti, tutte automatizzate, e appartenenti a tutti i settori, dalla finanza all’industria, dal commercio ai servizi.
“Oggi le aziende italiane, specialmente le piccole e medie imprese, si trovano fra la prima e la seconda fase – sintetizza Enrico Acquati, direttore della ricerca -. Per la maggior parte delle società la terza fase è ancora lontana, attuale solo per le realtà più grandi ed evolute”.
Il punto di partenza, apparentemente positivo per chi guarda a questo mercato, è che il 93,8% delle aziende del campione ha una connessione Internet e sempre più dipendenti hanno accesso alla Rete. Tuttavia, questa viene usata principalmente come fonte di informazione (nel 49,9% dei casi) o come strumento di comunicazione, leggi posta elettronica, dal 23,1% del campione.
Sono molto meno le aziende che la considerano uno strumento di lavoro (18,4%), un canale di vendita (solo il 4,5%) o uno strumento di formazione (appena 2,4%). E le cose non cambieranno radicalmente nel prossimo futuro perché, se è vero che il 28,6% delle aziende vorrebbe farne un canale di vendita, il 45,6% vedrà Internet ancora o come uno strumento di informazione o come mezzo di comunicazione, con la posta elettronica che continuerà a coprire per un po’ buona parte di quest’attività.
Del resto la diffusione reale dei servizi Internet negli uffici è ancora molto limitata. Basti pensare che nella maggioranza delle aziende intervistate (il 53,2% dei casi), meno del 20% dei dipendenti ha accesso alla Rete. In previsione però nel 60% delle imprese più del 20% dei dipendenti potrà usare Internet e il 36% ha dichiarato di voler dare l’accesso a più della metà dei propri impiegati.
Una conferma sostanziale della fase in cui si trovano le imprese italiane rispetto a Internet viene dall’analisi dei loro siti. Dall’indagine è emerso che il 17,3% non ne ha uno proprio e quelle che ce l’hanno lo usano per lo più come vetrina (nel 37,8% dei casi) o come presenza istituzionale (33,1%).
Solo nell’11,8% dei casi il sito contiene una qualche funzione di commercio elettronico, anche se questa quota secondo Sirmi è destinata a salire rapidamente. Infatti, è consistente la parte di aziende che hanno dichiarato di voler modificare la propria presenza su Internet e il 36,5% di esse si doterà di un sito adatto al commercio elettronico, ossia tre volte la quota che ha oggi.
Anche in un prossimo futuro resteranno comunque assai diffuse le funzioni istituzionale (21,5%) e di vetrina (34%). In sostanza, non è prevedibile un salto diretto di chi comincia oggi verso la fase più avanzata, ma la maggioranza delle aziende sembra voglia prima superare tutte e due le tappe precedenti.

Alla larga da mall
e marketplace
La maggioranza degli intervistati non partecipa e ha escluso in futuro una propria presenza su mall, ossia siti dedicati al commercio b2c, o a marketplace, che svolgono funzioni di commercio b2b. Verso i mall c’è un rifiuto nel 70% dei casi, segno, secondo Sirmi, che le aziende quando realizzano soluzioni di commercio elettronico vogliono arrivare direttamente ai consumatori per evitare situazioni di confronto con eventuali concorrenti, che si verificano comunque al di fuori della Rete, ad esempio nei centri commerciali e nei supermercati. Più alto è l’interesse manifestato per i marketplace, anche se sono stati esclusi nel 56% delle risposte.
Commercio elettronico diretto, mall o marketplace che siano, le aziende intervistate assegnano alla propria presenza in Rete un ruolo commerciale.
Da questo punto di vista la maggior parte si definisce “venditore”: oggi sono il 44,4% e saliranno al 46,5%. A distanza seguono gli “acquirenti”, con un 15,5% che scenderà al 12,3%, e le imprese che svolgono entrambi i ruoli, che sono le più grandi e sono destinate a salire dal 16,3 al 23,1%.
Solo queste ultime, secondo Sirmi, sono le aziende che sfrutteranno nel modo più completo le opportunità di scambio offerte da Internet.
Da segnalare, comunque, uno zoccolo duro che non si ritaglia alcun ruolo su Internet e che oggi vale il 24% del campione che col tempo scenderà al 15,7%.
Sirmi ha chiesto anche quali sono le attività aziendali che sono già più impattate dalla Rete. Al primo posto sono risultate le funzioni che hanno rapporti con i clienti, che oggi sono coinvolte nel 35,4% dei casi e in futuro lo saranno nel 47,8% delle aziende. I rapporti con i fornitori sono al secondo posto con il 30,7% delle risposte, quota che crescerà pochissimo in prospettiva (solo +1,3%). Seguono appaiate con il 19,9% le funzioni di vendita e di acquisto che avranno però uno sviluppo diverso, con le vendite che arriveranno al 27,6% e gli acquisti al 23,9%. Ciò significa che le imprese ritengono che oltre ai clienti, anche fornitori e rivenditori dovranno avere un rapporto più stretto con la propria organizzazione.
Ma le imprese sono davvero disposte a condividere le proprie informazioni con strutture esterne?
“Le aziende intervistate hanno percepito la necessità di condividere le informazioni – risponde Acquati -, e la interpretano più spesso come fonte di vantaggi che di nuovi problemi”.
Sono pochissime, infatti, le imprese che hanno dichiarato di ritenere la condivisione di dati un “male” necessario o da contrastare (rispettivamente il 2,9 e l’1,6%). La maggioranza la vedono come possibilità di creare o un vantaggio competitivo (37,3%), oppure un mezzo per ridurre i costi (30,4%) o per diminuire il time to market (14,7%).

La gestione
dei clienti
Interessante poi il dettaglio delle funzioni “gestione dei clienti”, che abbiamo visto essere l’attività più coinvolta da Internet. Ebbene, in oltre la metà dei casi si tratta ancora di attività di comunicazione, ossia l’uso da parte dei clienti di servizi di e-mail, Faq, newsletter e news presenti sul sito, strumenti che avranno una diffusione ancora maggiore (si passa dal 50,7 al 62,5%). Seguono a distanza la trasmissione degli ordini, con un 27,8 che salirà al 34,4% e il tracking degli stessi (oggi al 15 e domani al 22%). Infine, sono destinate a crescere attività come la creazione di database dei clienti e i servizi post vendita.
“Prevarrà anche nel prossimo futuro la visione di Internet principalmente come strumento di comunicazione – commenta Acquati -. Mettendo a confronto le risposte di oggi, sui vantaggi che le aziende pensano di ricavare da Internet, con quelli futuri emerge lo stesso profilo, per tutti i settori”.
Sono ancora molto poche, meno di un terzo, le aziende che hanno colto il senso corretto dell’e-business, concepito, secondo Acquati, ancora in modo strumentale e non come una strategia da perseguire. Eppure sono tanti i possibili benefici attesi dall’e-business da parte delle stesse imprese, a partire da quelli esterni all’azienda: maggiore competitività, aumento della velocità nel “fare business”, più continuità nei rapporti e offerta di servizi migliori per la propria clientela, possibilità di svolgere attività di marketing e vendite più mirate ed efficaci, migliori relazioni con la rete dei distributori e i partner aziendali e creazione di nuove opportunità di vendita.
Senza contare l’importanza di quelli interni all’impresa: riduzione dei costi di gestione, razionalizzazione dei processi aziendali e più collaborazione e condivisione delle informazioni in azienda. Ma quando si realizzano i progetti si prendono strade diverse.
Il perché prova a spiegarlo Maurizio Cuzari, amministratore delegato di Sirmi: “Gli strumenti di innovazione sono disponibili, la tecnologia di base si diffonde e le applicazioni possono dare un reale vantaggio competitivo alle aziende. Ma le imprese sembrano non accorgersene e continuano a usare strumenti tradizionali e anche quando impiegano nuove tecnologie lo fanno in modo vecchio e adottano con molta circospezione soluzioni innovative”.
Cuzari a supporto mostra la lista delle definizioni (vedi la tabella nella pagina precedente) che le aziende intervistate danno interpretando il termine e-business.

Non soltanto
definizioni
Secondo Sirmi la definizione più corretta è data dall’insieme delle prime due dell’elenco e viene considerata significativa, anche se minoritaria, la consistenza della quota raggiunta dalle risposte (30,4% e 20%).
Sirmi segnala, però, la prevalenza di una visione parziale di e-business, data da quel 55,6% che lo considera un processo di asservimento di Internet all’azienda, a fianco di altre percezioni riduttive delle potenzialità della Rete, come quel 36,2% che la considera un mezzo di comunicazione e il 21,3% che la riduce a e-commerce.
Su questo pesano i tanti fattori inibitori indicati dagli intervistati. Si tratta prima di tutto di resistenze o di ritardi culturali, poi di fattori organizzativi, mentre assai meno percepite sono le carenze dal lato dell’offerta. Mancano le conoscenze e non c’è una cultura aziendale innovativa, emergono preoccupazioni per sicurezza e privacy, non si pensa all’integrazione dei processi e quindi, di fronte anche all’effettiva difficoltà di calcolare un ritorno degli investimenti, le aziende assumono l’atteggiamento di stare alla finestra, aspettando che siano altri ad assumersi onori e oneri delle nuove attività che si sviluppano.
“Le imprese utenti parlano ancora di costi e non di investimenti, non si sono ancora accorte che bisogna ripensare il ruolo della propria organizzazione, che bisogna investire prima in tecnologie e poi in macchine”, conclude Acquati. Insomma, sembra dire Sirmi, lo spazio di crescita c’è ed è grande, cerchiamo solo di non sprecare questa occasione di sviluppo per il settore e per il nostro Paese.
a cura dell’Ufficio Studi

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