Le aziende di servizi giocano alla roulette russa con i player dell’It

Il numero degli attori si va restringendo. Toccate direttamente dalla crisi, queste società o vengono “inglobate” dai grandi nomi dell’informatica, e convertite al ruolo di outsourcer, oppure puntano sulle fusioni per rilanciare nuove attività di consulenza.

Il settore dei servizi informatici, che ha visto lo scorso anno la sua prima vera crisi, si trova oggi in una fase di forte consolidamento. In questo senso, uno dei migliori esempi dell’evoluzione del segmento arriva da Ibm, che alla fine del 2002 ha acquisito in successione Pwc (PricewaterhouseCoopers), la filiale informatica di Eds Matradatavision e Rational Software. Dopo la polverizzazione delle Big Five e la depressione economica, la corsa alle fusioni è in pieno svolgimento. L’obiettivo di tali operazioni è quello di ottenere una dimensione critica in grado di favorire lo sviluppo internazionale e l’ampliamento dell’offerta.

Verso una logica industriale


Nella corsa alla mondializzazione, le società di servizi guadagnano in maturità e perseguono una logica industriale. Questo ha portato alla nascita di due distinti gruppi di aziende: da una parte gli attori globali dotati di un’ampia offerta e di una capacità finanziaria sufficiente a rispondere alle necessità mondiali delle imprese utenti; dall’altra parte, gli attori locali che giocano la carta della multispecializzazione. Un insieme che resta ancora eterogeneo e che mischia giganti come Ibm Global Services, Eds e Atos Origin con realtà che restano in mercati di nicchia. Unisys, per esempio, è riuscita a mantenere il suo core business focalizzato su cinque settori, tra cui le società di telecomunicazione e i servizi finanziari, senza gettarsi in una corsa sfrenata alla ricerca della dimensione critica.


Dopo una forte crescita del settore, che ha spinto le imprese a investire pesantemente, in seguito alla crisi che sta caratterizzando l’economia, il comportamento degli utenti è cambiato. E ciò ha comportato una duplice conseguenza per i fornitori: un’eccedenza nell’offerta dei servizi, in particolare per le prestazioni più semplici e a limitato valore aggiunto, e una maggiore esigenza da parte dei clienti, sia per quanto riguarda gli acquisti sia nel raggiungimento dei risultati finali. Gli attori globali che sono riusciti a realizzare una parte considerevole del loro giro d’affari al di fuori dei propri Paesi di origine sono quelli che dispongono di un portafoglio di attività miste all’interno di un contesto di approccio globale. Le realtà locali, presenti sul mercato interno con una dimensione più modesta, si trovano così ad avere una carta da gettare sul tavolo. A condizione, però, di essere molto forti sui segmenti di mercato di competenza, col rischio di soffrire la mancanza di una presenza internazionale. Di fatto, si sta assistendo a un’operazione di rimescolamento delle carte nel settore dei servizi.

Una pressione strutturale sui prezzi


La concentrazione degli attori costituisce un processo lento che durerà ancora per molto tempo e che comporterà fallimenti. Allo stesso tempo, tuttavia, alcune società di piccole e medie dimensioni riusciranno a resistere. Il mondo dei servizi non segue la logica tipicamente industriale e non sono le dimensioni a determinare gli affari. A patto di rinnovare la propria offerta, operatori di media grandezza possono lottare ad armi pari con i grandi su progetti di vasta portata. Tuttavia, la pressione sui prezzi e la maturità del mercato dei servizi inducono le aziende del calibro delle ex Big Five a rivedere il proprio modello economico. L’esempio più eclatante arriva da Accenture, che ha rivisitato il modello economico, diversificando l’offerta e arrivando sino all’ingegneria informatica.


Nel momento in cui non si dispone di un’offerta sufficientemente ampia e le imprese utenti riducono le spese, ragionando esclusivamente in termini di investimenti, le società di servizi non hanno altra scelta possibile se non quella di riorganizzarsi completamente e di adottare modelli di crescita duraturi. La pressione sui prezzi esercitata dalle aziende nel corso dello scorso anno ha pesato dal 2 al 4% sui margini, ma un’influenza molto superiore viene da prestazioni come l’assistenza tecnica e la consulenza (tra il 10 e il 15%). Questa pressione è strutturale e non congiunturale e continuerà, comunque, anche al termine della crisi. Nonostante ciò, il settore dei servizi resta attraente se rapportato agli altri segmenti del mercato.


La dimensione critica non rappresenta un criterio decisivo. Risulteranno vincenti coloro che domineranno i veri fattori chiave del successo, ovvero l’industrializzazione dell’offerta dei servizi, l’innovazione e la qualità di questi ultimi ai clienti, proponendo prestazioni nell’ambito della gestione, dei portali d’impresa e dell’offshore.

I partner per completare la strategia


Per Cap Gemini Ernst & Young, l’epoca degli artigiani di lusso nei servizi è ormai passata e, sebbene le partnership tra vendor e fornitori siano inevitabili, la necessità di indipendenza resta un fatto reale. Oggi, si sta assistendo alla creazione di costellazioni tra fornitori e società di servizi. E questo con prestazioni sempre più integrate, che rivedono le frontiere tra gli attori. Per esempio, dopo l’estate, e la fusione di Ibm/Pwc, le relazioni tra Cge&Y, PeopleSoft e Sap si sono rafforzate. Si potranno creare grandi galassie, in particolare attorno a Ibm e Microsoft. La vocazione dei vendor è, infatti, quella di arricchire la propria offerta, ma al momento si sta assistendo alla focalizzazione sulla realizzazione di soluzioni pronte all’uso.


In questo contesto rimane da vedere se le società di servizi conserveranno il ruolo di realizzatori di interfacce dedicate all’ambiente utente, ma anche da stabilire quali saranno le intenzioni delle società di tecnologia nei confronti dei servizi.

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