Lavoro atipico: la pluralità di modelli (prima parte)

Oltre al tempo pieno e subordinato si sono aggiunti altri modelli

Il modello tipico di rapporto di lavoro subordinato, disciplinato dal codice civile (artt. 2096 segg.), è costituito dal rapporto a tempo pieno e indeterminato. A questo schema principale si sono aggiunti i modelli basati sulla predeterminazione della durata del rapporto (contratto di lavoro a tempo determinato) e/o sulla riduzione della durata della prestazione rispetto alla misura ordinaria (contratto di lavoro a tempo parziale).


Altre tipologie predisposte dal legislatore sono connesse a finalità formative (contratti di apprendistato e di inserimento, tirocini formativi e di orientamento) o rispondono a specifiche esigenze di flessibilità nell’utilizzo della prestazione lavorativa, come nel caso del lavoro intermittente o “a chiamata”, del lavoro ripartito e del lavoro a domicilio con la recente forma evolutiva del telelavoro. In una serie di articoli verranno esaminati le varie tipologie di lavoro subordinato c.d. “atipiche”.


CONTRATTO A TEMPO PARZIALE
Nozione
Il contratto di lavoro a tempo parziale si caratterizza per una prestazione lavorativa ridotta rispetto al normale orario di lavoro con corrispondente proporzionale riduzione del corrispettivo economico.


L’assunzione a part-time è consentita in tutti i settori di attività.


Sono previste tre tipologie di contratto, come risulta dal seguente prospetto (art. 1, D.Lgs. n.61/2000):


La contrattazione collettiva può determinare condizioni e modalità della prestazione lavorativa a part-time e prevedere per specifiche figure o livelli professionali modalità particolari di attuazione delle discipline rimesse alla contrattazione collettiva (art. 1, c. 3, D.Lgs. n. 61/2000).


Compatibilità del part-time con altri tipi di contratto
Il part-time è compatibile:


– con il contratto a tempo determinato;


– con le tre tipologie di rapporti di apprendistato;


– con la qualifica di dirigente;


– con lo status di lavoratore socio di cooperativa.


Possono essere assunti con contratto part-time anche lavoratori in mobilità e lavoratori chiamati a sostituire coloro che si assentano per godere il congedo di maternità/paternità.


Forma e contenuto del contratto
Il contratto di lavoro a tempo parziale è stipulato in forma scritta con l’indicazione della durata della prestazione lavorativa e della collocazione temporale dell’orario con riferimento al giorno, alla settimana, al mese e all’anno (art. 2, D.Lgs. n. 61/2000).






















Tipologia del contratto part-time



Caratteristiche



Orizzontale



la riduzione di orario è prevista in relazione all’orario normale giornaliero



Verticale



l’attività lavorativa è svolta a tempo pieno, ma limitatamente a periodi predeterminati nel corso della settimana, del mese o dell’anno



Misto



si svolge secondo una combinazione delle due modalità (orizzontale e verticale)



La forma scritta del contratto è richiesta soltanto ai fini della prova (cfr. Cass. 13.4.2004, n. 7012) per cui ove manchi è ammessa la prova per testimoni, nei limiti di cui all’art. 2725 cod. civ., fermo restando che l’eventuale mancanza o indeterminatezza delle indicazioni circa la durata delle prestazioni e della collocazione temporale dell’orario non comporta la nullità del contratto (art. 8, c. 1 e 2, D.Lgs. n. 61/2000).


In difetto di prova (sia documentale, sia per testimoni) la sussistenza fra le parti di un rapporto a tempo pieno e non già a tempo parziale potrà essere giudizialmente dichiarata su richiesta del lavoratore a partire dalla data in cui la mancanza della scrittura sia giudizialmente accertata (si veda, incidentalmente, Cass. S.U. 5.7.2004, n. 12269).


Per il settore edile è previsto l’obbligo di comunicare all’INPS l’orario di lavoro concordato (art. 1, c. 52, L. n. 247/2007).


La giurisprudenza di merito (Trib. Milano, 2.1.2006) ha affermato che è nulla la clausola di un contratto di lavoro part-time ove non sia determinata la ripartizione dell’orario di lavoro nella giornata, nel mese o nell’anno e sia invece riservata al datore di lavoro la scelta fra differenti e possibili orari di lavoro giornalieri. In tal caso, la collocazione oraria della prestazione di lavoro a tempo parziale viene definita dal giudice con riferimento alle previsioni dei contratti collettivi in materia di clausole flessibili o, in mancanza, tenendo conto delle responsabilità familiari del lavoratore, della sua necessità di integrazione del reddito mediante lo svolgimento di altra attività lavorativa, nonché delle esigenze organizzative del datore di lavoro; in base all’art. 8, c. 2 bis, D.Lgs. n. 61/2000, al lavoratore va inoltre riconosciuto il diritto alla corresponsione di un ulteriore emolumento a titolo di risarcimento del danno, da liquidarsi con valutazione equitativa (Trib. Milano, 26.10.2005).


Orario di lavoro
Come si è visto, il lavoro a tempo parziale si caratterizza per lo svolgimento di un orario di lavoro ridotto rispetto al normale orario stabilito dalla legge o dai contratti collettivi.


La legge non stabilisce durate minime e massime di orario per i lavoratori a tempo parziale; taluni contratti collettivi, invece, individuano fasce orarie giornaliere, settimanali o mensili entro le quali deve essere fissata la prestazione lavorativa individuale.


Nel caso di cumulo di più rapporti di lavoro part-time con una pluralità di datori di lavoro, resta fermo l’obbligo del rispetto dei limiti di orario di lavoro stabiliti dal D.Lgs. n. 66/2003 e al lavoratore deve essere garantito il diritto al riposo settimanale (ML nota n. 4581/2006).


La giurisprudenza di merito pronunciatasi sul nuovo regime normativo (per il passato, vedi Cass. 13.9.2003, n. 13470) ha puntualizzato che la riduzione dell’orario di lavoro effettuata unilateralmente dal datore di lavoro è illegittima, anche in presenza di una clausola contrattuale che fissi un tetto-ore minimo settimanale, non essendo consentita una variabilità assoluta ed arbitraria dell’orario di lavoro; la nullità della clausola comporta che la prestazione dell’attività lavorativa si considera come se fosse stata effettuata a tempo pieno, con tutte le relative conseguenze retributive (Trib. Milano, 17.2.2006).


Nel part-time di tipo orizzontale il datore di lavoro può richiedere al lavoratore prestazioni supplementari rispetto all’orario concordato (art. 3, c. 1, D.Lgs. n. 61/2000).


Spetta ai contratti collettivi individuare:


– il numero massimo delle ore di lavoro supplementare effettuabili, le cause che lo giustificano e le conseguenze a fronte del superamento dei limiti negli stessi prefissati (che non devono essere necessariamente di natura economica);


– eventuali maggiorazioni per le prestazioni di lavoro supplementare e l’incidenza della retribuzione per le ore così prestate rispetto agli istituti retributivi contrattuali (art. 3, c. 4, D.Lgs. n. 61/2000).


In assenza di disposizioni contrattuali occorre il consenso del lavoratore interessato e un eventuale rifiuto non può integrare in nessun caso gli estremi del giustificato motivo di licenziamento (art. 3, c. 2 e 3, D.Lgs. n. 61/2000).


Nel part-time di tipo verticale o misto è consentito lo svolgimento di prestazioni straordinarie; a tali prestazioni si applica la disciplina legale e contrattuale vigente in materia di lavoro straordinario nei rapporti a tempo pieno (art. 3, c. 5, D.Lgs. n. 61/2000).


La Cassazione ha risposto affermativamente al quesito se, in tema di contratto di lavoro a tempo parziale, si configuri lavoro supplementare vietato ove le prestazioni siano rese nell’ambito dell’orario settimanale, risultando superato soltanto l’orario giornaliero con il consenso del lavoratore, in quanto ai sensi dell’art. 5, commi 1 e 4, D.L. n. 726/1984, per lavoro supplementare nell’ambito del rapporto di lavoro a tempo parziale deve intendersi il lavoro comunque eccedente i limiti concordati, avuto riguardo sia all’orario giornaliero, sia ai periodi predeterminati nel corso della settimana, del mese o dell’anno, restando esclusa la rilevanza dell’eventuale accordo del lavoratore per l’attuazione di un differente orario (Cass. 8.9.2008, n. 22579).


Clausole flessibili e clausole elastiche


La durata della prestazione stabilita nel contratto di lavoro a tempo parziale e la sua distribuzione possono essere variate mediante l’adozione di clausole:


– flessibili, utili per consentire la variazione della collocazione temporale della prestazione


– elastiche, nei rapporti di tipo verticale o misto, utili per consentire la variazione in aumento della prestazione


Dal 1° gennaio 2008 tali clausole sono stabilite esclusivamente dai contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e non possono derivare, come in precedenza, in assenza di clausole contrattuali collettive, da accordi diretti tra azienda e lavoratore.


In particolare i contratti collettivi possono stabilire:


1) le condizioni e le modalità in relazione alle quali il datore di lavoro può modificare la collocazione temporale della prestazione lavorativa;


2) le condizioni e le modalità in relazione alle quali il datore di lavoro può variare in aumento la durata della prestazione lavorativa;


3) i limiti massimi di variabilità in aumento della durata della prestazione lavorativa.


Modalità di pattuizione
Nel rapporto individuale di lavoro le clausole devono costituire oggetto di uno specifico patto scritto reso, su richiesta del lavoratore, con l’assistenza di un componente della rappresentanza sindacale aziendale indicato dal lavoratore medesimo (l’eventuale rifiuto del lavoratore non può integrare gli estremi del giustificato motivo di licenziamento).


Al lavoratore deve essere garantito un preavviso stabilito dalla legge, fatte salve diverse intese tra le parti, di almeno cinque giorni lavorativi e una compensazione nella misura o nella forma fissata dal contratto collettivo.


In caso di lavoro a tempo parziale prestato in attuazione di clausole elastiche dichiarate nulle, il trattamento economico spettante al dipendente in base all’art. 36 Cost. deve compensare non solo la prestazione effettivamente eseguita, ma anche la maggiore onerosità della stessa derivante dalla più ampia disponibilità del lavoratore (Cass. 8.9.2003, n. 13107).


Eventuali clausole stipulate direttamente fra datore di lavoro e lavoratore entro il 31 dicembre 2007, anche in assenza di disposizioni contrattuali collettive, come era consentito dalla disciplina in vigore prima delle modifiche apportate dall’art. 1, c. 44, L. n. 247/2007, alla formulazione dell’art. 3, c. 7, D.Lgs. n. 61/2000, mantengono comunque la loro efficacia e continuano a produrre effetti tra le parti fino alla scadenza (M.L. circ. n. 7/2008).


Trattamento economico-normativo
Il lavoratore a tempo parziale non deve ricevere un trattamento meno favorevole rispetto al lavoratore a tempo pieno inquadrato nello stesso livello di classificazione contrattuale per il solo motivo di lavorare a tempo parziale (art. 4, D.Lgs. n. 61/2000).


L’applicazione di tale principio comporta che (art. 4, c. 2, D.Lgs. n. 61/2000):


– il lavoratore a tempo parziale beneficia dei medesimi diritti del lavoratore a tempo pieno, in particolare per quanto riguarda: l’importo della retribuzione oraria; la durata del periodo di prova e delle ferie annuali; la durata del periodo di astensione obbligatoria e facoltativa per maternità; la durata del periodo di conservazione del posto di lavoro a fronte di malattia, infortunio sul lavoro e malattia professionale; l’applicazione delle norme di tutela della salute e sicurezza dei lavoratori nei luoghi di lavoro; l’accesso ad iniziative di formazione professionale organizzate dal datore di lavoro; l’accesso ai servizi sociali aziendali; i criteri di calcolo delle competenze indirette e differite previsti dal contratto di categoria;


– il lavoratore a tempo parziale beneficia anche dei diritti sindacali, ivi compresa l’aspettativa sindacale; al riguardo il Ministero del lavoro ha chiarito che il periodo di aspettativa può coesistere con qualunque tipo di orario (verticale, orizzontale o misto), fermo restando che le tutele stabilite in materia, comprese quelle di natura previdenziale, scattano esclusivamente nelle giornate e nelle ore di lavoro previste contrattualmente (ML nota 24.5.2005, n. 659);


– il riproporzionamento del trattamento spettante al lavoratore a tempo parziale, in ragione della ridotta entità della prestazione lavorativa, in particolare per quanto riguarda: l’importo della retribuzione globale e delle singole componenti di essa, l’importo della retribuzione feriale, l’importo dei trattamenti economici per malattia, infortunio sul lavoro, malattia professionale e maternità.


Rispetto ai contratti part-time di tipo verticale i contratti collettivi possono modulare la durata del periodo di prova e del comporto in caso di malattia (per il caso di licenziamento per eccessiva morbilità di lavoratore a tempo parziale, si veda Cass. 14.12.1999, n. 14065).


La corresponsione di emolumenti variabili può avvenire in misura più che proporzionale per effetto di pattuizioni collettive o individuali.


Computabilità dei lavoratori a tempo parziale
In tutte le ipotesi in cui, per disposizione di legge o di contratto collettivo, sia necessario accertare la consistenza dell’organico aziendale, i lavoratori a tempo parziale sono computati nel numero complessivo dei dipendenti in proporzione all’orario svolto rapportato al tempo pieno (in tal senso, anche con riferimento a periodi precedenti all’entrata in vigore dell’art. 6, D.Lgs. n.


61/2000, che ha esplicitato tale regola, Cass. 13.3.2008, n. 6754).


A tal fine occorre considerare anche l’eventuale lavoro supplementare o quello prestato in virtù di clausole elastiche (ML circ. n. 9/2004).


L’arrotondamento viene effettuato sulle frazioni di orario eccedenti la somma degli orari individuali a tempo parziale corrispondente a unità intere di orario a tempo pieno (art. 6, D.Lgs. n. 61/2000).


Esempio di calcolo: in presenza di 4 lavoratori a tempo parziale con orario di 24 ore settimanali, a fronte di un orario a tempo pieno di 40 ore settimanali, ai fini della determinazione dell’organico aziendale si considerano 2 unità (4 x 24 = 96 : 40 = 2 con il resto di 16, valore inferiore alla metà dell’orario settimanale).


Trasformazione del rapporto
Datore di lavoro e lavoratore possono accordarsi per trasformare il rapporto da tempo pieno a tempo parziale o viceversa. Il rifiuto da parte del lavoratore di trasformare il rapporto non integra in nessun caso un giustificato motivo di licenziamento (art. 5, D.Lgs. n. 61/2000).


Nell’ipotesi di trasformazione a tempo pieno di un rapporto a tempo parziale, così come nell’ipotesi di aumento o diminuzione definitivi della durata della prestazione dedotta nel contratto, non sono previsti obblighi di forma né di convalida in sede amministrativa.


Secondo la giurisprudenza un rapporto di lavoro a tempo parziale può trasformarsi in rapporto di lavoro a tempo pieno anche per fatti concludenti, come ad esempio in caso di continua effettuazione di un orario di lavoro pari a quello previsto per il lavoro a tempo pieno non occorrendo a tal fine alcun requisito formale (Cass. 18.3.2004, n. 5520).


Il contratto individuale di lavoro può prevedere, in caso di nuove assunzioni di personale a tempo pieno, un diritto di precedenza in favore dei lavoratori assunti a tempo parziale che esplicano la loro attività presso unità produttive site nello stesso ambito comunale con mansioni identiche od equivalenti rispetto a quelle per le quali è prevista l’assunzione. La violazione del diritto di precedenza nelle assunzioni a tempo pieno dei lavoratori già assunti a tempo parziale comporta il risarcimento del danno in misura pari alla differenza tra l’importo della retribuzione percepita e quella che sarebbe stata corrisposta al lavoratore a seguito del passaggio al tempo pieno nei sei mesi successivi al passaggio (art. 8, c. 3, D.Lgs. n. 61/2000).


La trasformazione a tempo parziale del rapporto da tempo pieno è ammessa solo se l’accordo tra le parti viene stipulato per iscritto e convalidato dalla Direzione provinciale del lavoro competente per territorio. La Cassazione ha ribadito che la trasformazione del rapporto di lavoro subordinato a tempo pieno in rapporto a tempo parziale non può avvenire a seguito di determinazione unilaterale del datore di lavoro, ma necessita in ogni caso del consenso scritto del lavoratore, il cui rifiuto della trasformazione del rapporto non costituisce giustificato motivo di licenziamento (Cass. 17.7.2006, n. 16169).


Nell’ipotesi di trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale la riduzione della quantità (cioè dell’orario) del lavoro prestato determina una proporzionale riduzione della retribuzione complessiva in tutte le sue componenti, compresi gli scatti di anzianità (Cass. 28.12.1999, n. 14633).


In caso di assunzione di personale a tempo parziale il datore di lavoro deve informare il personale già dipendente con rapporto a tempo pieno, occupato in unità produttive site nello stesso ambito comunale, e deve prendere in considerazione eventuali domande di trasformazione a tempo parziale del rapporto dei dipendenti a tempo pieno (art. 5, c. 3, D.Lgs. n. 61/2000).


Lavoratori aventi diritto o priorità alla trasformazione a tempo parziale
I lavoratori affetti da patologie oncologiche, per i quali residui una ridotta capacità lavorativa, anche a causa degli effetti invalidanti di terapie salvavita, accertata da una commissione medica istituita presso l’Asl territorialmente competente, hanno diritto alla trasformazione del rapporto di lavoro a tempo pieno in lavoro a tempo parziale (verticale od orizzontale). Il rapporto di lavoro a tempo parziale deve essere trasformato nuovamente in rapporto di lavoro a tempo pieno a richiesta del lavoratore.


La legge attribuisce priorità nella trasformazione del contratto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale:


– in caso di patologie oncologiche riguardanti il coniuge, i figli o i genitori del lavoratore, nonché nel caso in cui il lavoratore assista una persona convivente con totale e permanente inabilità lavorativa, alla quale è stata riconosciuta una percentuale di invalidità pari al 100%, con necessità di assistenza continua in quanto non in grado di compiere gli atti quotidiani della vita;


– in caso di richiesta del lavoratore con figlio convivente di età non superiore agli anni 13 o con figlio convivente portatore di handicap (L. n. 104/1992).


Ripristino del rapporto a tempo pieno
Il lavoratore che abbia trasformato il rapporto di lavoro a tempo pieno in rapporto di lavoro a tempo parziale ha diritto di precedenza nelle assunzioni con contratto a tempo pieno per l’espletamento delle stesse mansioni (o equivalenti).


Accordo di solidarietà tra generazioni
Al fine di promuovere la creazione di nuovi posti di lavoro e di ridurre le uscite dal sistema produttivo la legge finanziaria 2007 (art. 1, c. 1160, L. n. 296/2006) ha istituito l’accordo di solidarietà tra generazioni con il quale è prevista, su base volontaria, la trasformazione a tempo parziale dei contratti di lavoro dei dipendenti che abbiano compiuto 55 anni di età e la correlativa assunzione con contratto di lavoro a tempo parziale, per un orario pari a quello ridotto, di giovani inoccupati o disoccupati di età inferiore a 25 anni (29 anni se in possesso di laurea).
Le modalità della stipula, i contenuti degli accordi ed i requisiti di accesso al finanziamento devono


essere stabiliti da un decreto ministeriale.


Adempimenti amministrativi
Il datore di lavoro deve comunicare nel termine stabilito dall’art. 1, c. 1180-1185, L. n. 296/2006 ai servizi per l’impiego competenti per territorio:


– l’assunzione del lavoratore a tempo parziale;


– la cessazione del rapporto a tempo indeterminato;


– la trasformazione del rapporto da tempo parziale a tempo pieno.


Il datore di lavoro è altresì tenuto a informare annualmente le rappresentanze sindacali aziendali sull’andamento delle assunzioni a tempo parziale, la relativa tipologia ed il ricorso al lavoro supplementare (in attuazione della direttiva comunitaria n. 81 del 1997). L’omessa informazione costituisce condotta antisindacale ai sensi dell’art. 28 dello Statuto dei lavoratori.


Fonti – D.Lgs. n. 61/2000; D.Lgs. n. 100/2001; D.Lgs. n. 276/2003; ML Circ. n. 46/2001, n.


9/2004, n. 40/2005 e n. 7/2008


(per maggiori approfondimenti vedi Manuale lavoro, Novecento Media)

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