La vera storia di J. Soft, l’azienda indipendente

27 maggio 2003 Non era Algol l’unico pretendente per J. Soft. Stando ad alcune indiscrezioni il dossier è probabilmente approdato in casa Esprinet, intenzionata a estendere e cementare ulteriormente le proprie quote di mercato anche nell’area software …

27 maggio 2003 Non era Algol l’unico pretendente per J.
Soft. Stando ad alcune indiscrezioni il dossier è probabilmente approdato in
casa Esprinet, intenzionata a estendere e cementare
ulteriormente le proprie quote di mercato anche nell’area software ma da sempre
estremamente prudente nella valutazione delle proprie acquisizioni. Non sappiamo
quali riflessioni siano state fatte a Nova Milanese, possiamo però immaginare
che il prezzo e i costi correlati abbiamo giocato un peso determinante nella
valutazione dell’opportunità J.Soft. Il nome del distributore di software è
circolato anche oltre i confini regionali sino a Ravenna dove c’è un altra
società che da tempo accarezza l’idea di entrare con forza nel mondo della
distribuzione del software per pc, completando così il proprio portafoglio. E’
la Itway di Andrea Farina che ha pensato seriamente di
riportare J.Soft in Romagna.


Tra l’altro Farina conosce molto bene la società in quanto prima di fondare
It Way è stato manager di Esa Software e ha recentemente ingaggiato nel proprio
consiglio di amministrazione quell’Abate Daga che a Rimini si occupò proprio
della cessione di J.Soft da Esa a Raphael. Un ricorso storico?
Magari, ma le cose hanno preso una strada diversa. It Way è seriamente
interessata al business e fa la sua offerta. L’operazione rallenta e poi si
blocca nel momento in cui il team di It Way riesce a mettere le mani sui numeri
completi di J.Soft. A Ravenna monta lo scetticismo con qualche malumore verso le
banche che hanno condotto l’operazione. In contemporanea si muovono gli uomini
di Algol, forse più motivati certamente più decisi a trovare l’accordo con il
management di Opengate anche a prezzi che alcuni considerano
eccessivi.


Adesso che tutto è deciso, con una buona dose di acidità qualcuno sostiene
che è stata Opengate a comprare Algol visto che, fatti due
conti, il pagamento prevede anche il passaggio di azioni Algol per un
controvalore fino 5 milioni di euro o mediante consegna di azioni ordinarie sino
a un numero massimo di 1.086.957. In questo modo la società di Malnate potrebbe
arrivare a detenere il 23% del capitale e diventerà il socio di riferimento di
Algol dietro Maurizio Liverani che attualmente possiede il 25%.
Da Algol però rispondono che “al massimo Opengate può arrivare al 23%” e che
questa quota è subordinata al prezzo che sarà effettivamente pagato per
l’azienda. L’esito della due diligence attualmente in corso deciderà infatti
quale sarà l’effettivo peso di Malnate all’interno del distributore milanese.


Ma c’è dell’altro. L’operazione non è stata annunciata, come poteva essere,
attraverso un comunicato congiunto, ma con distinte
comunicazioni da parte delle società dove, mentre Algol si limitava ai dettagli
tecnici dell’accordo, il distributore di Malnate tramite Pietro
Pozzobon affermava: “L’operazione di cessione della J. Soft
riveste per noi una duplice valenza. Per un verso permetterà al gruppo di
liberare risorse finanziarie, per altro, ci consentirà di detenere una
partecipazione di rilievo in Algol che consideriamo importante e complementare
player del mercato, ponendo le basi per cogliere nuove opportunità di
partnership e sviluppo del nostro business”
. A parte il fatto che possiamo
solo immaginare quanto quel “complementare” abbia
fatto poco piacere a un imprenditore orgoglioso come Liverani, rimane il fatto
che nessuno di Algol ha mai pronunciato la parola
“alleanza” e per il momento non è previsto neanche che
Opengate abbia (come d’altronde è successo per Tecnodiffusione che comunque
possiede solo il 6,94% di Algol) uno o più posti in consiglio d’amministrazione.


Il cammino della partnership, dunque, non pare così scontato
anche perché Opengate ha venduto J. Soft non certo per cercare nuove alleanze ma
perché costretta da una situazione finanziaria particolarmente difficile. Al 30
aprile 2003 Opengate Group evidenzia una perdita complessiva di 31.754 mila euro
con un patrimonio netto di 1.690 mila. “La società – recita un
comunicato – si trova quindi nella situazione di cui all’art. 2446 cc”.
Per questo il consiglio di amministrazione ha convocato un’assemblea
straordinaria per un aumento di capitale sino a un ammontare massimo di 50
milioni di euro. “L’aumento di capitale non è al momento assistito da un
consorzio di garanzia”
. Il mercato non ha accolto bene la notizia. Opengate
il 26 maggio ha chiuso infatti a 2,90 euro con un calo del 4,95%. Il mercato non
ha probabilmente apprezzato altre due notizie come la diminuzione della quota di
Lasagni (l’ex presidente che si è dimesso per divergenze con l’operazione
Laserline) passato dal 7% a una quota inferiore al 2% e la decisione di Bruno
Bottini, consigliere della società, che nei giorni scorsi ha venduto lo 0,7% del
capitale. Bottini, in particolare, si merita secondo la Repubblica il
premio di “Tempista dell’anno” visto che il 20, 21 e 22 maggio ha venduto tre
pacchetti di azioni Opengate (più un altro il giorno seguente) incassando poco
più di 280 mila euro. Entrando nel dettaglio  Bottini ha
venduto 38.882 azioni (su 89.059 scambiate in totale) il 20
maggio a
3,15 euro per azione; 23.591 (scambi totali 69.434) il
21 maggio a 3,08
euro/azione; 28.000 (scambi totali 185.500) il
22 maggio a 3,05 euro/azione e
60.656 (su 289.400 transitate) il

23 maggio a 2,92 euro/azione. Il 22 maggio sono usciti i dati della società e il varo
dell’aumento di capitale con relativa bastonata da parte del mercato. Bottini
però non è stato l’unico a vendere. Il 21 maggio Umberto Ronzoni, ex consigliere
di Opengate, ha venduto buona parte delle sue azioni passando dal 7,1 a sotto il
2%.                                        
                                               
Mauro Bellini Luigi Ferro


Da Esa a Chs fino a Opengate
J.Soft potrebbe essere un bell’esempio di
indipendent company nel senso che pur cambiando proprietà
cinque volte negli dieci anni è riuscita sempre a mantenere una sua sostanziale
autonomia operativa rispetto al gruppo di appartenenza. J. Soft ha sempre
rifiutato, forse per orgoglio o per vocazione, qualsiasi tentativo di
omologazione. In tutti i passaggi della sua storia ha visto cambiare la
compagine azionaria e gli stili di management, ma nessuno è mai riuscito a
intaccarne la vocazione. Ci aveva provato Antonello Morina,
energico e decisionista fondatore di Esa Software che aveva intuito la
complementarietà tra il modello di business di una software house fortemente
orientata allo small e medium business e una azienda distributrice specializzata
nel mondo pc, che poteva, attraverso il canale dei rivenditori indipendenti,
dare man forte alla crescita del gruppo. Ma la distribuzione è affare diverso
rispetto al core business di Esa e la gestione della società rischiava di
distrarre il management senza produrre risultati apprezzabili.


Fu così che apparve all’orizzonte Raphael Informatika,
all’epoca in piena ascesa sia nella conquista di quote di mercato, sia per la
partnership assai discussa con il distributore internazionale Chs. Dall’energia
e dall’esuberanza di Morina J.Soft è passata alla concretezza di Marino Arzilli.
Ma in Raphael J.Soft ha trovato anche il manager che forse più di tutti ne ha
compreso la vera filosofia e l’ha saputa assecondare come nessun altro creando
una vera simbiosi tra azienda e management. Claudio Antoniotto
è colui che dalla sede romana di Raphael si è sganciato per salire a Milano dove
erano stati sistemati gli uffici operativi e direzionali J.Soft del dopo-Rimini.
E da lì il distributore ha ripreso a decollare muovendosi come un battitore
libero all’interno delle tre fasi cui può essere suddivisa la storia Raphael:
Espansione guidata dagli uffici romani di Raphael anche
tramite acquisizioni; Acquisizione di quote Raphael da parte
del distributore internazionale Chs ed espansione mediata con l’international;
Ritorno all’autonomia da Chs, riapproprazione di quote
Raphael da parte dei vecchi proprietari e gestione del business corrente. J.Soft
venne sempre condotta con spirito pragmatico e indipendente, manteneva il
proprio brand, il proprio modello di business e la propria autonomia.


Sinergie cone le case madri? Certamente, ma solo se
aiutavano a produrre risultati. La terza fase di Raphael in realtà durò poco. Il
gigante Chs costruito dal manager internazionale Claudio Osorio
tramite una straordinaria serie di acquisizioni entrò in crisi e prima di
crollare sotto i debiti rimise sul mercato molte delle aziende alle quali aveva,
saggiamente, concesso di mantenere brand e indipendenza operativa. Raphael tornò
ai vecchi proprietari che in poco tempo si trovarono a valutare le offerte di un
mercato che grazie alle risorse prodotte dalle recenti quotazioni sul Nuovo
Mercato disponeva di una florida liquidità. Marino Arzilli
pilotò la società verso Malnate dove Piero Pozzobon stava facendo crescere la
ancora giovane Opengate attraverso una robusta strategia di acquisizioni.
Saggiamente a Malnate decisero di non toccare la macchina distributiva di
Claudio Antoniotto e il passaggio dal mondo Raphael a Opengate servì forse a
cementare ulteriormente il gruppo J.Soft e a renderlo ancor più impermeabile
rispetto ai tentativi di integrazione da parte del gruppo proprietario. Anche lì
J.Soft mantenne il proprio brand e la propria strategia. Tale era il livello di
identificazione tra top management e azienda che la scalata di
Antoniotto ai vertici di Opengate culminò con un divorzio dai piani alti di
Malnate per un ritorno nella amatissima J.Soft.


E così pure in queste settimane, che hanno preceduto l’annuncio ufficiale
dell’acquisizione da parte di Algol, c’era chi mormorava che J.Soft sarebbe
andata dove andava Antoniotto, quasi a sancire anche in questo modo, la simbiosi
tra il numero uno e la sua società. E così è stato. Un nuovo passaggio, anche
questo epocale, che porterà J.Soft da Malnate in via Feltre a
Milano, sede storica di Algol, dove da anni si covava il desiderio di fare il
grande salto nel software e di farlo in grande stile e dove la matrice
imprenditoriale è ancora marcatamente legata al leader, Maurizio Liverani,
fondatore e amministratore delegato Algol ma anche l’uomo che per primo ha
portato un’azienda del trade in Borsa, che ha avuto il coraggio di espandersi
all’estero, che si è trovato con una compagine azionaria forse non comoda e
certamente inedita. Stando alle dichiarazioni di Liverani, che ha confermato
Antoniotto, anche Algol non ha intenzione di toccare nulla in J.Soft. Una
conferma della tradizione di indipendenza della società. Per quanto riguarda
Opengate l’operazione rientra nel
piano di ristrutturazione della società e non c’è oggi molto da aggiungere se
non che questa dismissione comporta una pericolosa uscita dal ricco mercato del
software.                                                                            
Mauro Bellini

LASCIA UN COMMENTO

Inserisci il tuo commento
Inserisci il tuo nome