La testimonianza di un system integrator sul rapporto con i clienti

Con il responsabile di una realtà come Sinergy, abituata da un decennio ad avere un approccio quasi sartoriale verso i propri utenti, cerchiamo di capire quali sono i problemi che deve affrontare, tra i quali la scelta delle migliori soluzioni tecnologiche da proporre.

In dieci anni di attività all’insegna della system integration, Andrea Navalesi, come amministratore unico di Sinergy ha maturato una significativa esperienza, che gli consente di aver ben chiaro il polso della situazione del mercato. “Rispetto alla paralisi anche un po’ psicologica degli ultimi anni, le aziende, e soprattutto la media impresa, sembrano essere più aperte a nuovi progetti in un’ottica di miglioramento delle performance, piuttosto che di economia della manutenzione”.

Un dibattito acceso dagli analisti evidenzia come le società di servizi spesso non siano in grado di capire le reali esigenze degli utenti, evidenziando un gap tra domanda e offerta. Qual è la sua percezione in merito?


“Presumibilmente è vero, anche se gli analisti hanno tutto un loro modo di elaborare gli screening. In generale, il discorso va collocato all’interno di un processo di maturazione da parte del fornitore e del cliente, che deve avere una maggiore attenzione ed essere più presente sulle reali esigenze del cliente. Per quello che riguarda la mia esperienza di system integrator, il grosso problema è che per progettare un servizio realmente efficiente lo si deve automatizzare, ovvero modellizzare attraverso protocolli a schema, altrimenti è difficile gestirlo con le stesse redemption su referenti diversi. E questo si scontra con la necessità del cliente di avere servizi molto personalizzati. Per questo motivo la nostra offerta punta su una nuova formula, chiamata Flexible Managed Service: si tratta di una serie di servizi preconfigurati ma flessibili, che consentono di gestire tutte le varianti del caso. In pratica, siamo riusciti a modellizzare la flessibilità e questo anche grazie a una struttura leggera e dinamica, che lavora con un approccio semiartigianale: in questo modo entriamo nella problematica del cliente attraverso una metodologia progettuale e una struttura di supporto skillata e molto elastica. Se per esempio un cliente ha bisogno dell’estensione di un servizio anche in orario serale, Sinergy gli garantisce una squadra di presidio. Certo, questo comporta un grosso investimento da parte nostra perché la flessibilità implica l’assunzione di personale specializzato, capace di gestire problematiche differenziate e di relazionarsi con vari referenti che, magari, per un certo periodo sta in ufficio senza far niente. I servizi flessibili proposti sono un outsourcing di tipo verticale, sulla parte non core dell’azienda”.

Le aziende hanno reagito alla congiuntura razionalizzando gli investimenti e sviluppando strategie di ottimizzazione. Quali sono le scelte dei vostri clienti?


“I più hanno cercato di spendere meno per mantenere quello che hanno: nessuno ha creato nuovi servizi o nuove funzionalità. L’ottimizzazione comporta spesso l’acquisizione di tecnologie meno costose, come Linux: un sistema operativo che, per intenderci, è più stabile e più sicuro di un Windows, ma è meno efficiente di un Solaris e richiede più lavoro indotto. In generale, il 2003 si è caratterizzato per una spinta all’adeguamento, con qualche progetto sul fronte del mobile e del wireless, dove c’è interesse a tutti i livelli. Grazie al wireless si stanno muovono un po’ anche le applicazioni Web che si erano completamente addormentate: il concetto di poter accedere a programmi o dati mediante Web è un’evoluzione del concetto tradizionale di comunicazione, considerata ormai una commodity”.

E la sicurezza?


“Le Pmi tendono a voler fare da sole system integration perché si illudono di risparmiare e non percepiscono la difficoltà effettiva di una progettazione infrastrutturale informatica. Di fatto, fanno poco e reagiscono quando si trovano davanti a danni avvenuti: un mio cliente ha cambiato politica quando si è reso conto che perdeva le gare di appalto perché il concorrente gli andava a leggere le offerte dal server. A parte il discorso applicativo che permeando l’attività lavorativa dell’azienda deve considerarsi parte integrante del core business, storage, back up o dischi sono aspetti che vanno visti come facility: tecnologie per certi versi povere ma molto complesse che richiedono risorse specializzate e costose. Terziarizzare la security risulta economicamente molto più vantaggioso che cercare di risolverla internamente”.

Sinergy è nata come system integrator puro ma, in breve tempo, avete dovuto piegarvi al fatto che il cliente preferisce soluzioni chiavi in mano, vendita inclusa. Oltre a questo, si deve aggiungere il fatto che avere a catalogo grossi marchi costituisce maggiori garanzie di credibilità…


“È vero, ma la nostra politica è sempre stata quella di identificare soluzioni best of breed il che non corrisponde sempre a prodotti noti nel nostro Paese. In Italia c’è ancora moltissima attrazione per il brand a discapito del Roi. Spesso capita che il cliente nella scelta di una soluzione mission critical si orienti verso un marchio che gli fa risparmiare il 10% rispetto a un altro prodotto meno conosciuto, senza rendersi conto che il primo in termini di prestazioni offre il 70% in meno… Il nostro è un approccio tecnologico, non commerciale: progettiamo soluzioni o risolviamo problemi. Dalla richiesta nasce uno studio che diventa progetto, mediante l’utilizzo di strumenti che sono i prodotti che abbiamo selezionato nel corso degli anni e che continuiamo a selezionare. Per inciso, la difficoltà sta proprio nel trovare sempre prodotti interessanti che prima vengono testati nel nostro laboratorio interno, il che implica maggiori investimenti in risorse ma è anche una garanzia di qualità che ci permette di avere un significativo numero di clienti fidelizzati”.

Quali sono le difficoltà che incontra un system integrator?


“Due aspetti importanti del nostro business sono l’acquisto e la vendita ma, a volte, i problemi più grossi sono legati al primo fattore. Ci sono vendor nati per la vendita diretta e altri che lavorano solo attraverso il canale ma, quando le cose non vanno bene, la competizione distorce i rapporti. A complicare le cose ci sono gli inevitabili clientelismi di cui si parla poco, ma che sono un fatto reale. Un altro ostacolo sono certe modalità di contratto secondo cui per mantenere un marchio devi dimostrare un certo fatturato. Il producer più che dei bei progetti chiede ai reseller i numeri, con le dovute eccezioni. Si dice che il buon venditore è quello che vende senza capire e questo è vero se si deve conquistare una nuova fetta di mercato, ma non su un discorso di fidelizzazione”.

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