La tessitura italiana archivia un 2009 da grande crisi

Il viceministro Adolfo Urso spegne gli entusiasmi per l’approvazione della legge sul Made in: «La competenza è europea»

La tessitura italiana archivia uno degli anni più bui della sua storia recente e attende provvedimenti che possano accelerare la ripresa economica. Il 2009, secondo i dati di Sistema Moda Italia (Smi) diffusi in occasione dell’inaugurazione del X° salone di Milano Unica, è stato infatti caratterizzato da una riduzione del fatturato del 22,5%, sceso a 6,7 miliardi di euro (rispetto agli 8,7 miliardi del 2008). La recessione ha colpito tutti i comparti di cui si compone la tessitura, anche se l’andamento delle produzioni laniera e liniera è stato peggiore della media del settore. Più confortanti invece i dati di cotone, seta e tessuti a maglia. La crisi globale ha tra l’altro colpito il settore tessile proprio quando le imprese italiane erano in fase di riposizionamento strategico verso una produzione a più elevato valore aggiunto. Nonostante le difficoltà, nel 2009 la tessitura conferma le sue posizioni nell’ambito della filiera del Tessile-Moda made in italy, facendo segnare un’incidenza del 14,9% sul giro d’affari complessivo (contro il 16,8% dell’anno precedente).

Il passo indietro dell’export
La crisi è stata in buona parte determinata dal cattivo andamento dell’export (-26,6%), che da solo garantisce oltre la metà del giro d’affari della tessitura italiana (oltre 3,7 miliardi di euro). L’analisi Smi sui tessuti in prevalenza di fibra naturale evidenzia come il crollo delle vendite estere abbia interessato egualmente sia le destinazioni Ue (-27,5%) che extraeuropee (-29,4%). Persino uno dei mercati più dinamici per le nostre esportazioni, ovvero la Cina, ha evidenziato una contrazione a valore pari al 19,4%. Particolarmente negativo l’export verso paesi importanti come Usa (-46,1%), Hong Kong (-35,2%), Turchia (-33,4%) e Spagna (-31,3%). Nonostante il difficile momento congiunturale, l’Istituto per il commercio estero (Ice) segnala come l’Italia, con una quota del 6,1%, si mantenga al secondo posto tra gli esportatori mondiali di prodotti tessili, subito alle spalle della Cina che, con una fetta del 30,7%, rimane saldamente al primo posto. Seguono gli Stati Uniti e la Turchia (rispettivamente con una quota del 4,7% e del 3,9 %). Il mercato italiano ha comunque ridotto in maniera cospicua le sue importazioni di tessuti dall’estero (-20,7%, per 1,4 miliardi di euro), facendo quindi registrare un attivo della bilancia commerciale (2,3 miliardi di euro), anche se ridotto rispetto al 2008 (3,3 miliardi).

La legge sul Made In
Per quanto riguarda le prospettive per il futuro Smi prevede che il recupero sarà lento e a tratti incerto, considerato che la ripresa dipenderà in gran parte da fattori esogeni alla tessitura italiana, quali i costi del credito, delle materie prime e dell’energia, nonché dagli andamenti valutari internazionali. In attesa degli incentivi promessi dal Governo, l’attenzione del settore tessile è concentrata sul varo di una misura che potrebbe informare adeguatamente i consumatori sul valore aggiunto del tessile italiano: si tratta dell’introduzione dell’etichettatura d’origine, il cosiddetto Made in, recentemente votata all’unanimità dalla Camera dei deputati (Legge Reguzzoni – Versace). La normativa prevede che un prodotto potrà avvalersi del Made in Italy soltanto se almeno due fasi di lavorazione sono state eseguite sul territorio italiano.

I dubbi del Governo
La legge, salutata con soddisfazione dal presidente di Smi, Michele Tronconi, (“Ha una forte importanza”), è stata però sostanzialmente demolita dall’intervento del viceministro allo Sviluppo Economico, Adolfo Urso: «Mi sono astenuto a nome del Governo nella votazione alla Camera perché, riguardo all’etichettatura dei prodotti, la competenza è europea e non nazionale. La legge sul Made in ha uno straordinario valore come espressione di volontà politica di uno Stato, ma per risolvere il problema nei prossimi mesi occorrerà avviare un percorso a livello comunitario». Resta il dubbio: se una legge non è efficace o applicabile, perché spendere tempo prezioso per vararla, soprattutto in un Paese come l’Italia già appesantito da migliaia di norme e regolamenti? Non era forse più semplice un’iniziativa di lobbying di Governo e parti sociali a Bruxelles? Misteri della politica (e dell’economia italiana).

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