La spigolatrice di Sapri. Ovvero appunti sul caso Report

Eran trecento, eran giovani e blogger. Adesso sono un po’ meno, un po’ più vecchi e senza blog. Ma criticano sui socialcosi.

Non sono un fan sfegatato di Report, trasmissione di Rai3 diretta da Milena Gabanelli che seguo spesso, né delle sue idee, che comunque ascolto con estrema attenzione. Ero lì sui suoi schermi anche nelle ultime due scarse settimane, quando si è consumato un minidramma all’italiana, a rimbalzella tra televisione e social media, che merita di essere raccontato.
La fredda cronaca riporta che nella puntata del 10 aprile Report sia stata trasmessa un’inchiesta di Stefania Rimini dedicata ai social media e dall’esplicativo titolo “Il prodotto sei tu”.
Fino al 10 aprile, Report era stato additato dalla maggioranza dei social-membri come un esempio quasi perfetto di giornalismo, con tweet scroscianti come ovazioni.
Stavolta, invece, il popolo della Rete italiana è improvvisamente insorto, sostanzialmente dicendo che l’inchiesta faceva schifo, che il punto d’arrivo era sbagliato e che lo sviluppo dell’indagine non era corretto; successivamente, molti social-membri hanno cercato un commento diretto della Gabanelli o della Rimini, ricevendo un cortese rifiuto (so che è cortese perché sono anch’io tra questi) e in genere protestando per la mancata attenzione ricevuta.
Ora la mia impressione è che i valutatori, più che Report, abbiano valutato se stessi e il loro ambito.

Proposte costruttive: non pervenute
Vedendo l’enorme mole di commenti sollecitati dalla trasmissione, uno degli ospiti della trasmissione, Donato Carriero, ha attivato Blogger 4 Report, un wiki per raccogliere osservazioni costruttive e/o informative che, se tanto mi da tanto, i social-membri avrebbero dovuto presentare a bizzeffe. Dopo tre giorni, il wiki sembra essersi arrestato a quota cinque commenti. Ben pochi, per rappresentare una comunità. Con vario livello di dettaglio e passione, tutti i commenti dicono sostanzialmente la stessa cosa: si è parlato giornalisticamente di questioni tecniche e si è fatto giornalismo superficiale e terrorismo informativo.

L’interazione con il pubblico
Ovviamente Report non è un socialmedia e non risponde alle sue regole, ma ha pur sempre un meccanismo d’interfaccia con il suo pubblico, che io reputo più che sufficiente, con chat, note, la rubrica “com’è andata a finire” e nel caso della Rete anche una partecipazione all’ottimo TvTalk, nella puntata del 16 aprile.
La Rimini ha postato sul sito della trasmissione una sua nota con due osservazioni delle quali -valida la prima- la seconda mi è sembrata avvincente: “Ci saremmo aspettati ancora di più una mobilitazione in difesa del soldato Bradley Manning (…). Invece no, la mobilitazione non è salvate il soldato Manning, ma salvate il soldato Zuckerberg”.

Sporchiamoci le mani

1) Report. Innanzitutto tanto di cappello, certamente il mio, davanti alla trasmissione. Non basta avere una tastiera o un’attività tecnica per poter criticare e giudicare un prodotto di massa come se fosse una collazione di post.
2) Il servizio. “Il prodotto sei tu” dice che bisogna stare attenti alla Rete, quand’anche abbia il suadente nome di “rete sociale”.
E dov’è la notizia? Ma soprattutto, dov’è lo scandalo?
Giusto per attualizzare il pezzo ho cercato in Rete qualche notizia sull’argomento. Ne riporto un paio, anch’esse molto gettonate ma che vengono da lontano (niente notizia, niente scandalo). All’inizio di questa settimana, Sophos ha scritto un post a Facebook, annunciando che sono anni che gli dice proprio questo e che Facebook se ne frega.
Qualora non fosse chiaro, nel kit pubblicitario di Facebook è chiaramente scritto che “You can target broadly by demographic and geographic preferences or you can get granular by targeting people’s specific Likes and Interests.
3) Il percorso seguito nell’inchiesta non è piaciuto. Benissimo, ma ogni percorso è legittimo, compresi il livello di approssimazione o dettaglio e il linguaggio usato.
4) I critici. Ovviamente il diritto di critica è sacrosanto, senza dimenticare mai che viene da una parola che voleva dire “giudizio” e quindi comprende una parte distruttiva e forzatamente una parte costruttiva.

Quali sono le conclusioni?

Per la maggior parte, i social media italiani sono riempiti da guru autoproclamati dei quali non si riesce a conoscere neanche il lavoro. In gran parte si tratta di ex blogger, generalmente non della prima ora, che tempo fa valutai ad occhio in circa trecento.
Non appena le metriche dei blog sono state più chiare, per gran parte si sono spostati sui media sociali, Facebook, Twitter o Foursquare che siano. Quello hanno, quindi reagiscono male se gli si tocca il soldato Twitsquarenbook: un badge s’insegue, un like si rimedia, ma un commento è già più difficile da sollecitare.
E una telefonata, magari di un cliente?

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