La situazione in Italia

In questa corsa verso l’innovazione, il modello, lo strumento che è stato maggiormente adottato sia dagli Stati Uniti che dai paesi dell’Unione europea è quello dei Distretti tecnologici. «La realtà italiana dei Distretti tecnologici – ha spiegato Mich …

In questa corsa verso l’innovazione, il modello, lo strumento che è stato maggiormente adottato sia dagli Stati Uniti che dai paesi dell’Unione europea è quello dei Distretti tecnologici.


«La realtà italiana dei Distretti tecnologici – ha spiegato Michele Cipolli, responsabile del gruppo di lavoro di Tecnalia sui Distretti tecnologici – è partita diversi anni fa, attorno ad alcune aziende che hanno svolto un ruolo di polo aggregatore territoriale, facendo crescere un certo numero di Pmi, microimprese, start up e spinoff universitari, abbastanza importanti». Secondo il responsabile di Tecnalia, il fenomeno è partito circa a metà degli anni Novanta e, col passare del tempo, si è definito un modello abbastanza consolidato che vede i Distretti fortemente legati alla realtà del territorio. Questo ovviamente in quanto per la crescita di aggregazioni industriali orientate all’innovazione di prodotti e servizi è di fondamentale importanza partire da quello che si ha, cercando di innovare introducendo sia le nuove tecnologie per quanto concerne i nuovi prodotti, sia quelle oramai consolidate per ottimizzare invece i processi.


Si tratta, in sostanza, come ha detto Alessandro Musumeci del Miur, «di aggregazioni di enti pubblici e privati, che possono essere sia su base territoriale, che su base più ampia e quindi “funzionale”, e che hanno il preciso scopo di innovare». All’interno di queste strutture le componenti fondamentali che devono essere presenti sono sostanzialmente due: una componente di ricerca e di innovazione finalizzata allo sviluppo precompetitivo, che porti quindi a sperimentazioni e prototipazioni, e una componente di sviluppo industriale finalizzato invece alla realizzazione di prodotti e soluzioni concrete che possano essere messe sul mercato.


«Se manca uno di questi aspetti – ha continuato Musumeci – allora il Distretto non sussiste. Non si tratta, quindi, di una definizione diafana o eterea, ma abbiamo criteri di qualifica molto precisi e stringenti, che infatti hanno portato all’identificazione e al riconoscimento di alcuni distretti, escludendone altri». Il ruolo del Distretto è in un certo senso quindi quello di trait d’union tra ricerca e industria, tra pubblico e privato, e proprio per questa ragione uno degli obiettivi del Miur è quello di garantire un ruolo assolutamente paritetico tra le parti.

La volontà, ha spiegato Musumeci, è di fare in modo che il ruolo di motore non sia né della ricerca (pubblica o privata che sia), né tanto meno dell’industria, in quanto senza una comunione di intenti garantita dall’equilibrio paritetico delle parti, prevarrebbero gli interessi della componente industriale a scapito di quella universitaria, o viceversa, allontanando così l’obiettivo comune da perseguire per innovare il sistema produttivo del paese.

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