La Serbia muove a Est i capitali europei

Belgrado si prefigura come una nuova frontiera orientale per le aziende italiane e straniere, interessate a investire in un regime fiscale vantaggioso senza allontanarsi troppo da casa

La Serbia è viCina: un gioco di parole sulle opportunità d’investimento per le aziende italiane nell’Europa dell’Est, sommando i benefici del colosso asiatico (basso costo della manodopera, maggior produttività e profitto) al vantaggio della logistica. Delocalizzando in Serbia, l’imprenditore potrebbe gestire le sue attività con minor tempo e denaro, considerando che il volo da Milano a Belgrado dura due ore; addio quindi a costose missioni commerciali all’altro capo del mondo, o al controllo di qualità affidato unicamente a imprese terze di fiducia. La Serbia è davvero un “Near East”, nuova frontiera del business globale ma pur sempre giocando nel cortile di casa?

Alla ricerca della stabilità economica
La prima immagine che viene in mente di Belgrado, è un mix di caos politico e ricordi di guerra, da Milosevic alla recente indipendenza unilaterale del Kosovo, passando per i tormentati rapporti con l’Ue, la crisi interna tra conservatori del premier Kostunica e i liberali del presidente Tadic. È un panorama instabile che potrebbe allontanare i capitali stranieri. L’economia del paese, tuttavia, sta iniettando fiducia nelle aziende occidentali, più disposte che in passato a trapiantare le loro filiali in terra serba. Il Pil cresce al ritmo del 7% annuo e l’industria del 4,7% (dati 2007). Il ruolo della Banca centrale, che sostiene il dinaro contro la svalutazione verso l’euro, ha l’obiettivo di contenere il tasso di cambio e combattere l’inflazione.

La regione più interessante agli occhi delle ditte straniere è la Vojvodina, come ha spiegato a un convegno dell’Assolombarda Vladimir Pavlov, manager del Fondo per la promozione degli investimenti in questa provincia autonoma (www.vip.org.yu). La Vojvodina offre diversi fattori competitivi: oltre alla convenienza della manodopera e della logistica, troviamo l’Iva al 18%, la tassa sull’utile aziendale al 10% (in Italia è del 37), rapporti commerciali privilegiati con la Russia, uno stipendio medio lordo per operaio di circa 500 euro. La disoccupazione nazionale al 22% garantisce un bacino di lavoratori in buona parte specializzati, laureati e conoscitori di lingue straniere.

Investimenti e incentivi per un nuovo Eldorado?
Così sono già molte le società straniere e italiane che hanno delocalizzato in Serbia, soprattutto nei settori del tessile, abbigliamento, calzature, meccanica, arredamento, materiali per l’edilizia e servizi di vario tipo (come quelli assicurativi). Si può entrare nel mercato serbo in tre modi: con investimenti diretti, joint venture o sfruttando le privatizzazioni. Il regime fiscale è studiato apposta per attirare capitali dall’estero, con l’imposta sull’utile aziendale più bassa d’Europa, contributi a fondo perduto proporzionali al numero di nuovi occupati, incentivi ed esenzioni. Ad esempio, le imprese sono esentate dal pagare le imposte sul reddito per 10 anni, se investono almeno 8 milioni di euro in beni fissi o assumono almeno cento dipendenti a tempo indeterminato.

Gli imprenditori possono costituire in Serbia quattro forme d’impresa: società per azioni o a responsabilità limitata, associazione limitata o generale. La principale differenza rispetto l’Italia, per quanto riguarda una Srl, è il capitale minimo per costituire la società, fissato in 500 euro (contro 11mila); la somma sale a 10mila euro nelle società per azioni di tipo chiuso, e 25mila per quelle di tipo aperto. Particolare attenzione va posta negli acquisti immobiliari, a causa delle nazionalizzazioni compiute dopo il secondo conflitto mondiale, verificando scrupolosamente lo stato catastale delle proprietà.

La Serbia come la Cina, dunque? Fatta salva l’evidente sproporzione geografica (e numerica) tra le due economie emergenti, le somiglianze e differenze entrano in gioco quando bisogna valutare il rapporto tra costi e benefici della delocalizzazione. Regime fiscale, rete di trasporti, vicinanza con il nostro paese, flessibilità e preparazione della manodopera, sono tutti fattori che potrebbero disegnare un nuovo Eldorado per le aziende occidentali. Il futuro della Serbia dovrà competere sul terreno della stabilità economica e dell’innovazione tecnologica (impianti, infrastrutture, ricerca), per scoprire i filoni d’oro del commercio internazionale e degli investimenti stranieri.

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