La nascita e l’avvio del primo distributore di software Microsoft

Erano gli esordi della distribuzione italiana e da un’idea di alcuni manager nasce quello che diventerà il punto di riferimento per la vendita dei prodotti applicativi

Febbraio 2004, Era il 1984 o giù di lì. E quella che
allora era chiamata la casa editrice Jackson aveva manager come Reina, Zanga,
Castelfranchi e un’idea nel cassetto: aprire un ramo d’azienda che si occupasse
di software. Per giochini o cose similari che comunque potessero funzionare
su Commodore, Amiga, Sinclair o Apple. Nasceva così J.Soft, con evidenti
obiettivi editoriali, visto che il primo business fu proprio quello di pubblicare
riviste con soft-ware leggerissimi, fatti in "casa". Poi dagli States
arriva un’imbeccata: forse è il caso di iniziare anche a distribuire
software. Magari quello di Microsoft, che sta diventando una realtà importante.


Così J.Soft si organizza. Manuel Spangaro, allora a
capo della struttura, va a Parigi e firma il contratto che fa di J.Soft il primo
distributore ufficiale dei prodotti di Bill Gates in Italia. «Era
su per giù il 1985
– ricorda il manager fino a qualche mese fa a
capo della struttura Psg di Hp Italia -. Di concorrenti avevamo Editrice
Italiana Software (Eis) che rappresentava Ashton Tate, mentre noi iniziavamo
a essere forti anche su Lotus. E poi c’era anche Bit&Byte, che però
era più che altro un importatore»
.
Poi arrivarono gli altri marchi. Borland, Autodesk, Ventura, Corel… In quattro,
cinque anni J.Soft diventa la numero uno. «Con un giro d’affari di
circa 60/70 miliardi di lire
– aggiunge Spangaro – in un mercato che
copiava alla grande, visto che siamo in un’epoca ben prima della legge anti
pirateria»
. E leader J.Soft rimane anche dopo l’acquisto da parte
di questa struttura di Antonello Morina di Esa Software. Spangaro
a quel punto va in Microsoft. Ma prima ancora aveva chiamato in azienda un ragazzo
che aveva appena finito il servizio militare. Era Mauro Catalano
(oggi direttore commerciale di Ingram Micro). Spangaro se lo ricorda con le
Pagine gialle in mano a costruire i contatti e a poco a poco la rete commerciale
si organizza e "invade" il mercato. «Era un periodo da sogno
– conclude Spangaro -. Dal niente abbiamo costruito tutto!».
Non tutte le esperienze si ricordano con questo entusiasmo. Anche Catalano J.Soft
ce l’ha ancora nel cuore. Per questo appena saputo che l’azienda era papabile,
fa fare i dovuti calcoli ai responsabili americani per vedere se fosse stato
possibile portarsela in casa. «Ma a conti fatti non conveniva affatto»
aggiunge. Certo, però, J.Soft nell’offerta Microsoft è ancora
una potenza. Merito, pure, di uno zoccolo duro che fa ancora parte di J.Soft.
Persone che conoscono a menadito il mercato e che hanno tenuto duro fino alla
fine. Che però è anche un inizio.


Un decennio di acquisizioni: dal 1993 al 2003
A Maurizio Liverani, presidente e amministratore delegato del
Gruppo Algol, J.Soft ha sempre fatto gola. E non è la prima volta che
deve "ripensarci". Tra il 1993 e il 1994 le trattative iniziarono
con Morina di Esa, (allora proprietario di J.Soft) e durarono anche un paio
di mesi. Per qualche miliardo (delle vecchie lire di allora) Liverani se la
sarebbe portata a casa, ma le cose non andarono per il verso giusto e J.Soft
finì a Roma da Raphael Informatika. Nel ’99, poi, Liverani parla con
Marino Arzilli, reduce dal buy back con Chs. Non è però,
neppure questa volta, l’unico pretendente: in corsa c’è anche Pietro
Pozzobon
che alla fine porta J.Soft in casa di Opengate.

«Non
scherzo, credo che Pozzobon si sia saputo vendere meglio di me
– commenta
Liverani -. Anzi, forse dovrei dire che è più bravo di me
a raccontare una storia»
. Poi passa il tempo, ma non più tardi
di un anno fa le strade di Algol e J.Soft si intersecano nuovamente. «C’era
una realtà
– racconta Liverani, che però non ne rivela il
nome – che vedeva molto bene la fusione di tre distributori: Algol, Tecnodiffusione
e Opengate. Il suo obiettivo era creare l’anti Esprinet. Io, però, ho
detto di no, primo perché non avevo nessuna intenzione di diventare un
broadliner. E poi non mi convinceva affatto un terzetto del genere»
.
Quindi arriva la primavera di quest’anno. La banca d’affari Rothschild propone
al mercato la struttura guidata da Claudio Antoniotto. E Liverani
torna a fare una proposta. A fine maggio esce la notizia. Entro la metà
di giugno doveva essere posta la firma di quello che sarebbe dovuto essere il
documento d’intesa. E invece arriva uno stop che si trascina di data in data.

Liverani avrebbe voluto lanciare un’"Opa" e poi far calare il silenzio
sull’operazione. «Come si fa negli States – dice – che si
parla di quanto è costata l’operazione solo a firma avvenuta»
.
E invece la Borsa italiana ha altre regole. Così escono i preliminari
della faccenda senza sapere esattamente se l’operazione si farà.
Allora si parlava di 14 milioni di euro. In parte versati cash, in parte attraverso
l’accollo di debiti che Opengate ha nei confronti di J.Soft (azienda che, comunque,
rappresenta per molti versi il vero gioiello di famiglia di Malnate), in parte
attraverso azioni di Algol (forse il 23 o il 25%).
Ma le cose non vanno avanti. Liverani incontra più volte il management
di Opengate prima dell’estate: «Ogni volta mi trovavo a ragionare
con un manager nuovo»
. Ma le difficoltà sono ben altre. Alla
fine Opengate finisce nelle mani di tre Commissari giudiziali. E le trattative
riprendono su altri binari e cifre economiche.

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