La metodologia è più importante della tecnologia

La difficoltà delle Pmi nell’approcciare la Business intelligence è dovuta all’indeterminatezza con cui, spesso, questa tematica viene presentata. I vendor devono imparare a capire le esigenze del cliente.

Nel 2003 le aziende italiane hanno sostanzialmente mantenuto un atteggiamento di attesa in fatto di investimenti, rimandando tutto ciò che non era immediatamente necessario all’attività produttiva, commerciale o di servizio. Questo ha portato a una flessione degli investimenti in tecnologia per la Business intelligence, giustificata in parte dall’assenza d’innovazioni in grado di modificare l’infrastruttura tecnologica e non solo di aggiornarla. “Deluse dall’era della net economy, le aziende stanno soppesando più attentamente un’offerta tecnologica che deve ora convincere e garantire un ritorno pressoché immediato degli investimenti – spiega in questa intervista Paolo Migliari, docente presso l’Università degli studi di Milano Bicocca in Business intelligence e data warehousing -. Gestionali e Internet sono realtà acquisite dalle aziende, ma spesso manca un’infrastruttura It che renda accessibile via Rete le funzionalità del gestionale, mentre le applicazioni di e-commerce ed e-business sono ancora da sviluppare”. Migliari, 40 anni, è un professionista laureato in scienze dell’informazione in tempi non sospetti. “Ho capito che la tecnologia fine a se stessa era non soltanto noiosa ma anche riduttiva; per essere sfruttata in tutte le sue performance deve essere vissuta come mezzo abilitante per altre funzioni. Il flop di molte aziende si spiega nell’errore di aver vissuto la prima e la seconda ondata Ict con un entusiasmo che ha confuso i reali obiettivi da raggiungere. Bisogna sganciarsi dalla tecnologia affrontando i discorsi Ict sul fronte delle metodologie”.

Lei ha maturato un’esperienza trasversale in realtà nazionali e internazionali, occupandosi di tutta la catena del valore dell’intelligence. Quali consigli dà ai suoi studenti, ovvero ai futuri operatori Ict?


“Nel corso della mia esperienza mi sono occupato di Crm e delle sue implicazioni e integrazioni con i processi aziendali gestendo le fasi di cambiamento in aziende di riferimento per il loro mercato. Quando insegno tecnologia cerco di trasmettere che pur essendo interessante ottimizzare un codice, non bisogna mai perdere la visione d’insieme. Nella sfida al particolare, infatti, si rischia di perdere una percezione olistica, che è fondamentale perché un progetto funzioni. Quando si parla di tecnologia e di sviluppo è sempre importante ragionare conservando la consapevolezza che si sta lavorando all’interno di una catena. Oggi tutti parlano di Crm ma, in realtà, qualunque azienda in un modo o in un altro si è sempre occupata dei propri clienti. Anche Internet e il data warehouse sono tecnologie sopravvalutate: molto più importante è cogliere la qualità delle relazioni e delle pratiche di utilizzo. Il dato in sé non ha valore: sono le metodologie a rappresentare il valore aggiunto”.

Secondo lei quali sono le difficoltà o i punti critici delle Pmi italiane verso soluzioni Business intelligence based e quale potrebbe essere una strada percorribile?


“Le difficoltà di sviluppo si devono principalmente all’indeterminatezza concettuale della Bi stessa: tutti gli attori, dai tecnologi agli uomini di marketing, chiamano con nomi diversi applicazioni simili, oppure con nomi uguali cose diverse. Questo trasmette grande perplessità ai potenziali utenti di questi sistemi, frenandoli verso un approdo più organico e profittevole all’utilizzo delle tecnologie. A fronte delle esigenze del cliente, i protagonisti dell’offerta tendono a formulare proposte spesso sovradimensionate e complesse, con conseguenti fallimenti di progetti. A tutto ciò, spesso si aggiunge una scarsa sensibilità culturale da parte delle Pmi che impedisce una corretta valutazione degli investimenti. Il medio imprenditore italiano non ha ancora familiarità con processi di business attuati su base statistica, preferendo di gran lunga il tradizionale approccio face-to-face. Detto questo, tutti dovrebbero studiare meglio i casi di successo e maturare un migliore orientamento verso il mercato. I fornitori ascoltando i bisogni del clienti e offrendo loro una risposta adeguata in termini di soluzione, progetto, usabilità, costi, impatti aziendali. Le aziende continuando a operare, ma con minori costi, maggiore informazione e attenzione al cliente e con un approccio imprenditoriale più moderno”.

Oltre alla sua attività di docente è responsabile della realizzazione e commercializzazione di soluzioni di Crm per il mercato farmaceutico. Che cosa ha imparato di nuovo a quasi un anno dal suo ingresso in Dendrite?


“Dendrite Italia, con sede a Milano, è stata costituita nel 1993 per fornire soluzioni per la gestione delle reti di vendita delle società farmaceutiche operanti sul territorio italiano, quarto mercato in Europa per dimensione e sesto nel mondo. Il settore della salute è rappresentativo di un universo dove il cliente finale, cioè il paziente, consuma il farmaco senza sceglierlo, perché è il medico a effettuare questa scelta per lui, e senza pagarlo, dal momento che è il sistema sanitario a occuparsi del rimborso. Questi gradi di incertezza, uniti al fatto che nel farmaceutico esistono diverse dinamiche di promozione, rende l’applicazione della Bi estremamente sfidante in quanto a strumenti tecnologici e metodologie quali statistica e data mining, che devono essere utilizzati all’unisono”.

A che punto sono le aziende italiane nel cogliere le opportunità della Bi?


“Il sistema azienda richiede informazioni aggiornate, affidabili e continue. Integrare il dato e generare conoscenza è una sfida per ogni realtà produttiva, che deve coniugare i risultati finanziari con l’efficienza dei processi, il potenziale delle risorse umane con la forza della relazione con il cliente. L’input giusto è di conciliare valori tangibili come gli indicatori di produttività, ormai patrimonio del sistema informativo aziendale, con quelli intangibili, e in parte non derivabili internamente, che vanno ricercati nel mercato e nella relazione con esso. I nuovi mezzi interattivi di comunicazione hanno aperto un tramite tra il mercato e il consumatore, rendendo il cliente un partner nel processo di marketing, piuttosto che un target; il marketing one-to-one diviene così una realtà tangibile e misurabile. La digitalizzazione del marketing è resa possibile da tecnologie di comunicazione come e-mail, Internet, extranet, di intelligent come agenti intelligenti, motori di ricerca, smart card e di enhancing, quali data warehousing, data minig e portali. Questo è tanto vero nel B2C che nel B2B. Il centro di tutto ruota sulla capacità di creare informazione, interpretarla in modo strutturato e continuativo, avendo la forza di adattarsi ai cambiamenti richiesti.

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