La manovra di sviluppo riordina il sistema degli incentivi

L’obiettivo è di consentire una maggiore concentrazione degli aiuti nelle aree di crisi

Modificare strutturalmente l’impianto del sistema legislativo nazionale sugli incentivi in modo da renderlo più snello e maggiormente concentrato sulle aree di crisi: è questo l’obiettivo di fondo fissato dall’art. 3 della legge 99/09 (c.d. legge sviluppo).


La necessità di mettere ordine al sistema degli incentivi era da più parti sentita. A livello istituzionale sono, infatti, in molti a ritenere eccessivamente dispersivo il coacervo di norme esistenti. Del resto, lo stesso mondo imprenditoriale lamenta da parecchio l’inefficacia di formule troppo complesse burocratizzate che, in molti casi, finiscono per depauperare il reale impatto accrescitivo delle agevolazioni disponibili.


La manovra di sviluppo del Governo si è concentrata principalmente sulle agevolazioni a favore di ricerca, sviluppo e innovazione, ma non ha trascurato le residue forme di aiuto previste dal panorama normativo nazionale.


Pianificazione coordinata dello sviluppo
La norma fissata dall’art. 3 citato, determina le priorità, le opere e gli investimenti strategici di interesse nazionale, compresi quelli relativi al fabbisogno energetico, in coerenza con quanto previsto dalla strategia energetica nazionale. L’individuazione delle priorità, delle opere e degli investimenti strategici di interesse nazionale viene compiuta attraverso un piano, predisposto dal Ministro dello Sviluppo Economico, d’intesa con i Ministri competenti e le regioni o province autonome interessate e previa intesa della Conferenza unificata di cui all’art. 8 del Dlgs 28 agosto 1997, n. 281, inserito nel Documento di programmazione economico-finanziaria e sottoposto all’approvazione del Cipe.


Il ministro dello Sviluppo Economico, nell’ambito delle risorse finanziarie disponibili a legislazione vigente, predispone il piano in funzione di unitari obiettivi di sviluppo sostenibile, assicurando l’integrazione delle attività economiche con le esigenze di tutela dell’ambiente e di sicurezza energetica e di riduzione dei costi di accesso. In sede di prima applicazione della nuova disciplina il piano è approvato dal Cipe entro 3 mesi dalla data di entrata in vigore della legge.


Il comma 2 dell’art. 3, poi, demanda al Governo il compito di adottare, senza nuovi oneri per la finanza pubblica, uno o più decreti legislativi recanti disposizioni per il riordino della disciplina della programmazione negoziata e degli incentivi per lo sviluppo del territorio, degli interventi di reindustrializzazione di aree di crisi e degli incentivi per la ricerca, sviluppo e innovazione, limitatamente a quelli di competenza del predetto Ministero. La delega è finalizzata a rilanciare l’intervento dello Stato a sostegno delle aree o distretti in crisi, con particolare riferimento a quelli del Mezzogiorno, in funzione della crescita unitaria del sistema produttivo nazionale, ed è esercitata sulla base di specifici principi di delega, così riassumibili:



  • semplificazione delle norme statali concernenti l’incentivazione delle attività economiche con particolare riferimento alla chiarezza e alla celerità delle modalità di concessione e erogazione delle agevolazioni, e al più ampio ricorso ai sistemi di informatizzazione nonché attraverso sistemi quali buoni e voucher;



  • razionalizzazione e riduzione delle misure di incentivazione di competenza del Ministero dello Sviluppo Economico;



  • differenziazione e regolamentazione delle misure di incentivazione ove necessario in funzione della dimensione dell’intervento agevolato, ovvero dei settori economici di riferimento;



  • priorità per l’erogazione degli incentivi definiti attraverso programmi negoziati con i soggetti destinatari degli interventi;



  • preferenza per le iniziative produttive con elevato contenuto di innovazione di prodotto e di processo;



  • snellimento delle attività di programmazione con la soppressione o riduzione delle fasi inutili ed eccessivamente gravose, con la fissazione di termini certi per la conclusione dei relativi procedimenti amministrativi, conformemente a un quadro normativo omogeneo a livello nazionale;



  • razionalizzazione delle modalità di monitoraggio, verifica e valutazione degli interventi;



  • adeguata diffusione di investimenti produttivi sull’intero territorio nazionale, tenuto conto dei livelli di crescita e di occupazione con particolare attenzione ai distretti industriali in situazioni di crisi;



  • individuazione di principi e criteri per l’attribuzione degli aiuti di maggior favore alle piccole e medie imprese nonché destinazione alle stesse piccole e medie imprese di quote di risorse, che risultino effettivamente disponibili in quanto non già destinate ad altre finalità, non inferiori al 50%;



  • previsione, in conformità delle norme comunitarie, di forme di fiscalità di sviluppo riguardanti in particolare la creazione di nuove attività imprenditoriali, da realizzare nei territori ricadenti nelle aree individuate nell’ambito dell’obiettivo Convergenza di cui al regolamento (Ce) n. 1083/ 2006.


Le regioni interessate dall’obiettivo “Convergenza” sono la Calabria, la Campania, la Puglia e la Sicilia, nonché la Basilicata ammessa, quest’ultima, al sostegno transitorio (c.d. regime di “phasing-out”).


L’intento – desumibile dai principi guida – è encomiabile. Resta da vedere con quanta celerità tali obiettivi (e tale produzione normativa) saranno perseguiti. Quello che è certo è che il sentiero tracciato dalla norma rappresenta un percorso obbligato se si desidera, da un lato, razionalizzare gli incentivi per il Mezzogiorno e, dall’altro, consentire all’intero sistema produttivo nazionale di confrontarsi alla pari con i competitors europei che, nella quasi totalità dei casi, godono di agevolazioni meno strutturate e più specifiche.


La norma, inoltre, prevede che il Cipe provveda ad assegnare risorse fino al limite annuale di 50 milioni di euro al Fondo istituito ai sensi dell’art. 1, comma 340, della legge 27 dicembre 2006, n. 296. Si ricorda che, detta norma ha istituito le zone franche urbane, con un numero di abitanti non superiore a 30.000, al fine di contrastare i fenomeni di esclusione sociale negli spazi urbani e favorire l’integrazione sociale e culturale delle popolazioni abitanti in circoscrizioni o quartieri delle città caratterizzati da degrado urbano e sociale. La stessa, ha, poi, istituto un Fondo con una dotazione di 50 milioni di euro, per il finanziamento delle zone franche urbane.


Poiché la legislazione vigente prevede stanziamenti in favore delle zone franche urbane sino al 2009, il comma 5 dell’art. 3 autorizza il Cipe a destinare risorse, fino al limite annuale di 50 milioni di euro annui, al Fondo destinato a finanziare le agevolazioni previste per le zone franche urbane a valere sulle risorse disponibili del Fondo per le aree sottoutilizzate (Fas).


Sviluppo vuol dire anche cooperazione
Lo sviluppo, secondo le intenzioni del legislatore, passa anche attraverso la razionalizzazione delle istruzioni sull’operatività delle cosiddette “reti d’impresa”. Nel nuovo scenario, disegnato dalla legge sviluppo, le reti si trasformano da concetto meramente economico in un istituto prettamente giuridico, con tanto di riferimento al nostro diritto nazionale. Vanno lette in questo senso le modifiche apportate dall’art. 1 della manovra all’art. 3 del Dl 5/09, in materia di distretti produttivi e reti di imprese.


La lett. a) del comma 1, in particolare, interviene sulla definizione compiuta di “contratto di rete”.


A questo punto sono più chiari i contorni giuridici di tale particolare contratto, col quale due o più imprese si obbligano ad esercitare in comune una o più attività economiche, purché rientranti nei rispettivi oggetti sociali, allo scopo di accrescere la reciproca capacità innovativa e la competitività sul mercato.


Merita attenzione, poi, la modifica apportata all’art. 3 del Dl 59/09 da parte della lett. b) dell’art. 1, per effetto del quale sono stati inseriti due nuovi commi dopo il 4-ter. Il comma 4-ter.2 dispone un’attività di ricognizione degli interventi agevolativi previsti dalle vigenti disposizioni applicabili alle imprese aderenti al contratto di rete, interessate dalle procedure di programmazione negoziata con le pubbliche amministrazioni, nonché nelle procedure inerenti a interventi di garanzia per l’accesso al credito.


Tuttavia, l’innovazione più attesa è quella che estende alle reti delle imprese le disposizioni finanziarie e di ricerca e sviluppo previste per i distretti produttivi dalla legge finanziaria per il 2006 (art. 1, comma 368, lett. c) e d) della legge 266/05). Si tratta, in particolare, di interventi diretti ad agevolare l’accesso al credito, a promuovere il contenimento dei rischi e a favorire la capitalizzazione delle imprese appartenenti al distretto. Tra queste, si dispongono forme e condizioni semplificate per la cartolarizzazione dei crediti concessi da più banche o intermediari finanziari alle imprese facenti parte del distretto, agli effetti della cessione a un’unica società. Inoltre, allo scopo di favorire l’accesso al credito e il finanziamento dei distretti e delle imprese che ne fanno parte, con particolare riguardo ai progetti di sviluppo e innovazione, si affida al Ministro dell’Economia e delle Finanze il compito di adottare o proporre misure volte ad assicurare che la garanzia che prestano i consorzi collettivi di garanzia dei fidi (confidi) sia riconosciuta come strumento idoneo per l’attenuazione del rischio di credito ai fini del calcolo dei requisiti patrimoniali degli enti creditizi, previsti nel nuovo accordo di Basilea.


Il comma 2 dell’art. 1, infine, provvede all’abrogazione dell’articolo 6-bis del Dl 25 giugno 2008, n. 112 recante disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria, convertito, con modificazioni, nella legge 6 agosto 2008, n. 133, che dettava un’unica disciplina per distretti produttivi e reti di imprese. Cade, pertanto, il vincolo che impediva alle reti di imprese di applicare le disposizioni, contenute nella Finanziaria 2006, relative al consolidamento fiscale e alla tassazione unitaria per le imprese appartenenti ai distretti produttivi.


Anche la disciplina tributaria dei distretti produttivi prevede, quindi, la facoltà, per questi ultimi, di optare per il regime della tassazione consolidata di distretto ovvero per la tassazione preventiva concordata triennale.


(per maggiori approfondimenti vedi Finanziamenti e credito, Novecento Media)

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