La libertà ha i suoi costi, anche nel cloud

Apertura, strutturazione a strati e coesistenza legacy danno libertà ma creano problemi di coerenza, interoperabilità e costi. Che vanno gestiti.

Chi pensava che il private cloud implementasse un’It più semplice di quella del recente passato può adesso abbandonare l’idea. La complessità degli ambienti di oggi, aperti su più livelli, permette certo indipendenza dal singolo fornitore e agilità del business, ma al prezzo della complessità di gestione multipla. E poiché gran parte del software legacy resterà dov’è e continuerà la sua strada, la gestione integrata dell’It aziendale promette una certa quantità di mal di testa a chi se ne deve occupare.
Un cloud datacenter può essere un problema per molti dipartimenti IT focalizzati sui servizi, ammonisce Cloud Computing: Automating the Virtualized Data Center, un libro Cisco Press di Venkata, Orr e Page.

Il catalogo di servizi
I cataloghi dei servizi disponibili e i relativi Sla sono usati da decenni, ma non nella maniera estersa richiesta dal cloud: in quest’area i fornitori presentano varie offerte -non solo macchine virtuali- disponibili in pochi minuti. La pressione sui servizi è notevole.
Un buon catalogo dovrebbe essere elastico ed affidabile. Le sue caratteristiche devono essere controllabili da portale, flessibili per hardware (memoria, Cpu e storage) e sistema operativo e sicuro. Ma grande importanza sta assumendo la cosiddetta orchestrazione.

Attenzione ai contratti
La discussione sugli Sla, service level agreement, è ormai mascherata dai contratti. Questo aspetto è più forte negli States, con una legislazione che lascia molto valore al contratto tra le parti, rispetto a Francia o Italia. Le garanzie tecnologiche richieste dal contratto riguardano il tempo: di risposta, di’attività e d’intervento. Le garanzie del servizio clienti si occupano di disponibilità, supporto e tempo di risposta. Lo Sla richiede collaborazione tra il marketing e i gruppi tecnologici: se prevalesse il marketing, il servizio potrebbe non mantenere le promesse; se prevalesse la tecnologia, le definizioni sarebbero troppo vincolate per attrarre i clienti. Si pensi alla definizione di uptime tra percentuale di disponibilità e minuti d’indisponibilità. Ci vuole una soluzione d’integrazione semplice ed evoluta.

Spazio all’orchestratore
In senso generale, un orchestratore è un software che gestisce le interconnessioni e le interazioni tra elementi in cloud e soluzioni on-premise. Tra gli esempi troviamo soluzioni classiche come Microsoft System Center o Flexiant Cloud Orchestrator, ma anche approcci leggermente diversi come Dell Boomi Atomsphere, più che altro un Aim (Application Integration Manager).
L’obiettivo finale di un orchestratore It è l’incanalamento dei flussi di lavoro per collegare tra loro processi automatizzati e risorse associate; il mezzo è un portale di gestione.
In ambito cloud la situazione è più complessa, perché si tratta di processi in esecuzione tra sistemi eterogenei in più posizioni. I processi e le transazioni devono attraversare più organizzazioni, sistemi e firewall.
Non si dimentichino le disposizioni di legge, nazionali ed internazionali, né la loro mappatura sul business. L’impressione è che si viva una fase di superamento di molte delle barriere legali che vanno sotto il nome di sicurezza, privacy, copyright e diritti simili.
In genere, le regole promettono di difendere il più debole. Siamo in una fase di cambiamento, secondo alcuni di rivoluzione. Quanto le possibili positività del nuovo possano valere rispetto alla negatività del cambiamento di regole lo vedremo solo durante il tragitto.

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