La difficile vita dei portali

Dovevano vivere di e-commerce e pubblicità. E adesso iniziano a pensare ai servizi a pagamento

Sono i termometri della new economy, gli indicatori di cosa ci riserverà il futuro. Non a caso i risultati di Yahoo hanno il potere di alzare o deprimere il listino. In Italia questo non succede perché nessun portale è riuscito ad arrivare in Borsa ma i loro movimenti sono sempre scrutati con attenzione.
Figli della prima ondata della new economy i portali hanno incarnato molti di quei dogmi sui quali si è fondata, almeno nel primo periodo, la vita delle dot com. Rapidità d’azione, crescita veloce, innovazione. Sono questi i capisaldi di molti portali che avevano tutti un obiettivo: diventare sempre più grandi per poter attrarre sempre più pubblicità e trovarsi al momento della selezione, che tutti erano sicuri sarebbe arrivata, a essere nelle prime posizioni. Non a caso quando nacque punto.it, il portale finanziato da Elserino Piol e guidato da suo figlio Andrea, si parlò di un nuovo servizio ogni 15 giorni. Una promessa fatta a uso e consumo della stampa, ma ben difficile da rispettare.
E-commerce e pubblicità costituivano le gambe sulle quali si sarebbero dovuti reggere questi siti che per molti neofiti della rete rappresentavano una sorta di luogo di accesso a Internet.
Adesso però la situazione è cambiata. Di portali non ne nascono più, anzi siamo in piena ritirata. Ha iniziato Spray, inglobato da Lycos, ha proseguito punto.it, il più debole, che si è trasformato in una community, e se n’è andato anche tin.it che ora fa parte di Virgilio. Poi c’è Excite che resiste come indirizzo ma è al 70% di Tiscali.
Ma siamo solo all’inizio. Prendiamo per esempio Ciaoweb. Dopo sette mesi perdeva dieci miliardi, la possibile fusione con Terra Lycos si è persa per strada, è costantemente in basso nelle classifiche sui siti più visitati e circa un anno fa annunciava un progetto di commercio elettronico che doveva diventare “la colonna portante del portale”. “L’intenzione – spiegava Viviana Barozzi, responsabile dell’e-commerce in un’intervista sul Mondo – è di offrire prodotti selezionati difficilmente reperibili nell’off line che non si trovano in Italia o si trovano solo su Ciaoweb”. Basta fare un giro nell’area shopping del portale per capire cosa ne è stato di quel progetto. Intanto il portale della Ifil ha annunciato una ristrutturazione.
Non sta meglio Kataweb, il portale del gruppo Espresso che ha avuto una crescita esplosiva tanto che al momento dell’ingresso di Unicredito nell’azionariato era stato valutato circa ottomila miliardi di lire. A gennaio di quest’anno la valutazione era scesa fino a 900 miliardi e le perdite del duemila hanno superato i 180 miliardi. Da allora è stato chiuso Zivago (era in partnership con Feltrinelli), Kataweb Espana, ridotto il personale anche in Italia e “rifocalizzato il modello di business” che va in maggiore misura verso il b2b. di andare in Borsa, ovviamente non se ne parla più.
E poi c’è Jumpy che ha avuto un momento di fulgore all’epoca del Grande Fratello ed è appena stato ceduto a Mediaset per 16 milioni di euro. A tutto questo dovete aggiungere che la pubblicità online secondo l’International advertising bureau in Italia nel Duemila ha fatturato 267 miliardi (ma altre fonti parlano di 160 e 141 miliardi) e che qualche segnale di difficoltà arriva anche da nomi come Virgilio. Secondo i rumors di mercato il portale di Seat, che ha iniziato a rivolgersi anche al b2b con giallo.it, starebbe svendendo gli spazi pubblicitari in rete. Per il futuro ci si può quindi aspettare una ulteriore riduzione del numero dei player che al loro originario modello di business (e-commerce più pubblicità) aggiungeranno però dei servizi premium a pagamento. Come ha iniziato a fare Msn di Microsoft con il prossimo concerto di Elton John che sarà trasmesso online. Per vederlo basta sganciare dieci dollari.

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