La crisi ha sospinto l’Epm

Segnali di accresciuta fiducia nelle potenzialità del performance management dalla seconda edizione della ricerca realizzata da Quocirca. Promosso il management italiano.

Oracle ha rilasciato l’Enterprise Performance Management (Epm) Index II, seconda edizione dello studio patrocinato a Quocirca che analizza i progressi compiuti dal mondo delle imprese nella comprensione della portata delle strategie di Enterprise performance management e di interpretarne il cammino verso la management excellence.

La prima edizione fu condotta a gennaio del 2009. Il secondo round è avvenuto a ottobre. Due rilevazioni, dunque, nello stesso anno, quello ormai conclamato della recessione. E due rilevazioni che danno il segno di come le aziende siano state influenzate dalla congiuntura economica nell’interpretare il proprio ruolo e il valore dei sistemi di autovalutazione.

«Le aziende – commenta Claudio Bastia, Senior Sales Director Epm & Oracle Applications Commercial&Industrial Market – hanno ormai capito che per dare un senso alle proprie performance è necessario guardare oltre. Nel corso dell’anno sono rimaste sensibilmente toccate dall’andamento economico e hanno verificato direttamente cosa significa fare Epm. Ecco perché nel giro di pochi mesi l’indice offre risultati numericamente evoluti», seppur mantenendo un segno positivo, che indica che la consapevolezza sul valore dell’Epm aumenti.

L’Oracle Epm Index, infatti, valuta le imprese di Europa e Nordamerica per la loro capacità di unire processi gestionali e sistemi informativi in modo da ricavare una visione consolidata delle performance aziendali.

Su una scala da 0 a 10, il punteggio medio ottenuto dalle imprese analizzate nella seconda edizione è stato di 7,04, registrando un +38% rispetto al precedente 5,13.
Protagonista del progresso dell’indice, si diceva, è stata la recessione.

Al tempo della prima edizione dell’indice il peggioramento dello scenario economico stava provando il mondo aziendale. La conseguente valutazione dell’efficienza operativa fece emergere la mancanza di integrazione e la scarsa qualità dello scambio informativo tra le principali funzioni aziendali.

Il miglioramento attuale non per forza è motivato da miglioramenti, quanto dal fatto che le imprese si considerano pronte a far fronte alle difficoltà.

La ricerca ha coinvolto 800 decision maker di aziende operanti in Benelux, Francia, Germania, Svizzera, Penisola Iberica, Paesi Nordici, Nordamerica, Regno Unito, Italia, tutte sopra i 100 milioni di euro di giro d’affari.

A loro è stato chiesto di assegnare un punteggio alle rispettive aziende sulla base dei processi e della precisione delle informazioni in sei diverse aree: il contesto degli stakeholder, il modello di mercato, il modello di business, il business plan, le attività e i risultati di business.

I risultati relativi alle sei aree analizzate rivelano che le imprese sono più aperte ad aderire ai principi dell’Epm, registrano miglioramenti nei loro processi di pianificazione e reporting, restano ancora molto focalizzate sul contesto interno, compromettendo così le aspettative degli stakeholder, e presentano scarse opportunità di integrazione fra le aree operative. Per favorire la crescita si focalizzano sulla fidelizzazione dei clienti e riconoscono l’importanza della Business intelligence come strumento chiave nel reporting.

Nel complesso, fa notare Bastia, l’Italia retrocede in classifica, dalla seconda posizione che occupava a inizio 2009. Ciò non significa che nel nostro paese i C-level abbiano fatto regressi, semmai che i manager degli altri paesi (Benelux e Francia in primis) hanno recuperato il terreno perduto a inizio crisi.

Il punteggio medio italiano, difatti, sale comunque, a 6,61. Tanto che Bastia tesse un elogio del nostro management.

«Nella prima rilevazione come paese eravamo in controtendenza, positiva, rispetto all’Europa – ci dice -. Il che significava che il nostro management non basava la propria valutazione esclusivamente sull’actual. Poi è avvenuto che i manager italiani si sono più focalizzati sulle fasi cruciali della management excellence, premiando il business planning. E tutto questo in un quadro complessivo di incertezza. Quindi è la classe manageriale italiana che ancora riesce a fare la differenza».

Gli strumenti di Business intelligence consentono di navigare i numeri. Ma è interpretare i trend la vera responsabilità della guida. E questo, per Bastia, i manager italiani hanno dimostrato di saper farlo.

La ricerca rivela come per un’azienda su tre i sei processi dell’Epm (li ricordiamo: contesto stakeholder, modello di mercato, modello di business, business plan, attività e risultati di business) siano interconnessi e che richiedano un approccio integrato e che sono stati compiuti passi in avanti in materia di pianificazione del business in risposta alle condizioni di mercato. In valore assoluto, il sottoindice Business results raggiunge il punteggio di 7,32, a dimostrare che esiste una pressione sulla capacità del management di riferire sui risultati.

Per Bastia «la ricerca di nuovi clienti rimane la priorità delle aziende, ma se si soffermano sul costo sostenuto per l’acquisizione di un cliente e, soprattutto, sullo sforzo necessario per mantenerlo attivo, queste comprendono che la loro necessità è la riduzione del turnover dei clienti».

Si conferma, dunque, l’importanza del raggiungimento della management excellence, accezione di Oracle per indicare la compiutezza delle azioni di Epm. E in questo processo la Business intelligence è un mezzo chiave.

Il reporting, ossia l’utilizzo sistemico e organico degli strumenti di Bi, è diventato fondamentale per oltre la metà degli intervistati.

Ancora non si sa se ci sarà una terza edizione del report di Quocirca. Bastia, ovviamente, se lo augura. E se ci fosse è pronto a scommettere che il punteggio complessivo dell’Epm supererebbe l’8.

Il che starebbe a significare che l’Epm non sarebbe solo percepito come valore, ma anche messo in pratica e la management excellence diventerebbe realtà.

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