La comunicazione B2b si fa con un partner fantasioso

L’obiettivo sembra scontato: convincere il target ad acquistare i nostri prodotti, ma per non fallire occorre usare il giusto approccio e la corretta terminologia

Febbraio 2006, Di comunicazione o, meglio, di come si fa a comunicare, quali sono gli
obiettivi delle aziende, quali sono i prodotti che si vogliono far acquistare,
quali i servizi che si vogliono far conoscere, ne abbiamo parlato con
Flavio Martucci, art director di Ogilvy &
Mather
di Milano, agenzia di pubblicità, in occasione
di un seminario di formazione, tenutosi durante lo scorso Smau, organizzato
da Computer Dealer&Var, nell’area e-Academy.

Insieme a Martucci abbiamo capito un po’ più a
fondo che cosa sia la comunicazione B2b e quali sono i criteri che differenziano
una campagna di successo da una che passa inosservata. Perché sapere
comunicare nel modo giusto può diventare una marcia in più
rispetto alla concorrenza.

Migliorare l’immagine dell’azienda all’esterno
Mettendoci negli ipotetici panni di un’azienda con Martucci abbiamo, poi,
fatto un piccolo percorso, che ci offre alcune riflessioni e spunti per
migliorare l’immagine di azienda all’esterno. Il tutto è partito
dalla base, ovvero da cosa sia la comunicazione. Ecco quello che Martucci
ci ha spiegato, "sparando a raffica" una serie di concetti:
«La comunicazione trasforma un sistema di valori in un sistema
di segni. Il prodotto appartiene al mondo delle cose, la marca al mondo
delle idee. La comunicazione deve creare la marca. Occorre far emergere
un sentimento di lusinga, ovvero il cliente deve arrivare a dire "io
compro una cosa perché mi identifico in quella cosa". Il modo
per esercitare la lusinga è quello di scegliere il modello che
il consumatore gradisce»
.

Prendiamoci un po’ di tempo e cerchiamo di capire che cosa significhi
tutto ciò in ambito B2b.

Nel B2c l’obiettivo è il consumatore

«Bisogna distinguere – prosegue Martucci – la pubblicità
in ambito business to business da quella business to consumer. La prima
ha come obiettivo primario l’acquisto, mentre la seconda il consumo. In
base a questo assunto cambiano l’approccio, la terminologia, il tono di
voce e gli aspetti economici»
.
A questo punto la questione sembra diventare un po’ più pratica.
Ci si chiede, cioè, che cosa si può fare perché il
target acquisti i "miei" prodotti?
Martucci indica due vie: un approccio razionale e un approccio razionale
ed emotivo insieme. «Per quanto riguarda l’approccio razionale
– spiega – esso si basa su informazioni tecniche molto precise per
dare la possibilità ai buyer o ai manager di acquistare quanto
loro proposto. Le spiegazioni saranno chiare, c’è un appeal di
tipo visivo e un copy tecnico»
. Un esempio di tale approccio
è la campagna che l’agenzia Ogilvy & Mather ha realizzato per
Sap.

«L’obiettivo era quello di puntare su una proposta creativa
con soluzioni personalizzate alle varie esigenze del target di tipo aziendale.
In questo caso bisognava parlare lo stesso linguaggio del target. Sapere
individuare i reali problemi, interpretare i bisogni e proporre concrete
soluzioni. E, ancora, occorreva illustrare il vero vantaggio competitivo
della propria offerta, il ritorno economico, l’efficacia e l’efficienza
del prodotto, i reali benefici dovuti al suo utilizzo»
.

Per quanto riguarda il secondo approccio, razionale ed emotivo, oltre
alle informazioni tecniche precise, si aggiunge un valore visivo importante.
«In questo caso è necessario riuscire a evocare il benefit
finale attraverso il sogno; sogno ed evocazioni devono diventare molto
visibili. Nell’approccio razionale ed emotivo
– continua Martucci
la ricerca iconografica diventa più originale e il copy che
sottolinea i benefici aziendali non è più solo tecnico,
ma ha un taglio più emotivo»
. Questo modello di comunicazione
è stato scelto, per esempio, da Cisco e il messaggio
emotivo, evocativo voleva dire qualcosa come: «Grazie a Cisco
puoi trasformare il mondo»
.

E infine il brief: chiaro e conciso
L’art director prosegue il suo intervento con una considerazione
che riguarda soprattutto le filiali italiane di case produttrici multinazionali,
in caso si trovino a dover adattare una campagna pubblicitaria alle esigenze
locali.
«Occorre interpretare al meglio il messaggio e renderlo efficace
in funzione delle specifiche esigenze locali, sia dal punto di vista della
terminologia, sia dal punto di vista dell’approccio che, altrimenti, potrebbe
non risultare "vicino" allo spirito del singolo Paese»
.

Fino a qui abbiamo capito qualcosa in più circa il modello comunicativo.
Ora si passa al cosiddetto brief, definito come il documento dove il cliente
chiede all’agenzia le soluzioni al problema che le sottopone. Deve essere
chiaro, conciso, ma è anche vero che «più chiare
sono le idee del produttore più il briefing è preciso»
.
«Meglio evitare un brief con troppi obiettivi che risulterà
vago e inconcludente. Il messaggio pubblicitario sarà più
potente se avrà una sola cosa da comunicare»
.

Per concludere, il consiglio di Martucci a chi volesse interpellare un
creativo per dare vita a una campagna di comunicazione pubblicitaria è
dare più informazioni possibili circa il proprio brand, spiegare
i pregi e i difetti, le novità e le particolarità, i punti
di forza e le debolezze.
«Il creativo non è un pazzo inventastorie, ma un partner
dotato di fantasia che cerca insieme a voi la comunicazione più
convincente»
.

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