La colpa è dell’ascensore

Consigli semiseri per gli aspiranti innovatori: incontrare i finanziatori, strutturare lo staff e puntare in alto.

Negli ultimi tempi si sono nuovamente moltiplicati gli eventi dedicati a finanziare idee innovative. Nella maggior parte questi eventi raccolgono geni dall’improbabile italiano che confondono una mezza frase scopiazzata con un’idea innovativa sulla quale arricchire per generazioni. Costoro sono alla ricerca di finanziamenti, e poiché in Italia il modello di pensiero è quello del mecenate che ama l’arte e talvolta la cultura, parlare con costoro è un’impresa disperata.
Resta il fatto che ormai il mondo occidentale dovrebbe essere abbastanza simile un po’ dappertutto, e se le squadre di calcio sono composte per gran parte da fisici superiori ed eburnei non vedo perché l’Italia non dovrebbe valorizzare i propri talenti nel rinnovamento dei prodotti, dei servizi e soprattutto dei processi.
Mi sono quindi cimentato nell’analisi della situazione, onde individuare i colli di bottiglia che si frappongono al giusto successo. Per andare a fondo ho volutamente trascurato l’impossibilità degli italiani di parlare inglese (o cinese o arabo), altrimenti mi sarei fermato lì e non sarei andato a fondo.

Incontrare i finanziatori
Innanzitutto mi sono chiesto se la ricerca di capitali dovesse passare per una serietà ascetico-bancaria. Orbene negli ultimi tempi è (ri)uscita la critica che vuole in Silicon Valley molte feste e pochi capitali di ventura, mentre per i pochi soldi disponibili in Europa non ci sono neanche le feste.
Il concetto di capitale di ventura non è nuovo, anzi: nasce spesso quando c’è un mondo statico contrapposto ad uno nuovo. Ad esempio Gutenberg, ufficialmente inventore della stampa a caratteri mobili, fece grande uso di capitali di rischio di Norimberga, esterni allo statico sistemi di dazi che alimentava le città nate sul Reno.
Pensare a incontri tra persone normali e fisiche che si vedono e parlano, magari davanti a un gingerino o a un bicchiere di vino, fa pensar male. Per queste attività, non molti decenni fa lo scrittore De Crescenzo lanciò il termine “agoratzein”, ovvero stare in piazza a chiacchierare mentre qualcun altro lavora.

Strutturare lo staff sul progetto
Mi sono chiesto se l’elemento chiave possa essere la strutturazione del progetto complessivo su più persone, secondo un organigramma minimo.
Ovviamente senza uno staff robusto, la capacità di descriversi per trovare i soldi da investire e le occasioni d’incontro, avere le idee non serve a niente.
Negli ultimi tempi in Italia le occasioni di scambiare idee con finanziamenti si sono moltiplicate. Sono tutte o quasi abbastanza risibili, visto che in Italia il manager non parla con l’interlocutore e che da noi se uno fallisce ha chiuso, mentre negli States si può fallire seguendo le regole e allora la cosa non incide su altre, future attività. Nelle grandi Capitali della Finanza trovi molte persone che ti ascoltano solo perché tu glie lo chiedi; al limite ti tocca aspettarli al pianterreno del grattacielo dove lavorano per propinargli un discorsetto da 30 secondi mentre si sale, ma almeno le possibilità ci sono.

Puntare in alto
E’ stato lì che ho capito. Il problema dell’Italia è dell’ascensore! Le città nostrane hanno pochi grattacieli, per cui la salita dura una decina di secondi e il manager ne deriva la base della propria incomunicabilità.
Se avessimo grattacieli, i nostri innovatori potrebbero facilmente avere occasioni d’incontro iniziale, quei trenta secondi che oltreoceano chiamano “elevator’s pitch”, discorso da ascensore.
Noi non abbiamo grattacieli. Ma siamo italiani, quindi temo molto la divulgazione di questa semplice idea: se si acquisisse consapevolezza del problema, la maggior parte dei tempi della finanza sarebbero costretti a rallentare l’ascesa, condannando ad una durata di 30 secondi anche una salita al terzo piano, con conseguente discesa. I manager non andrebbero più in ufficio, oppure entrerebbero al mattino per uscire direttamente la sera, onde evitare le folle di postulanti chiacchieroni addensate nella hall. E’ la velocità del movimento, ho pensato allora, a rendere svegli ed attenti i manager dei grattacieli.
Forse questa non è la soluzione ideale. Ho pensato a delle alternative, come ristrutturare i templi finanziari in piani da 160 cm l’uno: salire in questi rinnovati edifici manterrebbe, se non la velocità in “metri al secondo”, almeno il rapporto “numero di piani al secondo”.
Funzionerà? Non sono sicuro. Per accertarmene, corro ad inventare un accelerometro tarato in piani. Lo metto in un chip, lo brevetto e cerco capitali di ventura che producano ascensori con pianaccelerometri wifi oppure smartphone piano-referenziati. La documentazione? In ottimo italiano.

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