Italia: a che punto è la conservazione dei dati

Con Mauro Papini, country manager di Acronis Italia, analizziamo lo stato del backup nazionale sulla scorta di un’indagine europea.

Il backup è volontario e spesso manuale? L’adeguata tutela dei dati è soggetta all’iniziativa dei singoli? C’è poca sensibilità alla sistematizzazione delle attività di conservazione? Sono domande che scaturiscono dalla lettura della sintesi di un’indagine europea di Acronis sullo stato di conservazione degli asset digitali nelle aziende, da cui è emerso, fra l’altro, che a sei aziende su dieci serve addirittura un giorno intero per far ripartire i sistemi in caso di blocco.

Parliamo della tematica con il country manager italiano della società, Mauro Papini.

Che Italia emerge dalla vostra analisi?

Il nostro paese è abbastanza allineato sui risultati, che non appaiono confortanti. Il nostro mercato è fatto di tante piccole imprese, che sicuramente si affidano ad una gestione più volontaristica che strutturata. Quindi, dove vediamo che il 25% delle aziende nei paesi oggetto di indagine, gestisce i backup manualmente, sappiamo che da noi la percentuale con ogni probabilità sale, come più alta sarà la percentuale di realtà che non affronta il backup in generale. Non direi che siamo meno bravi degli altri, sicuramente abbiamo un tessuto economico diverso.

Quali sono le dinamiche che caratterizzano le aziende italiane?

Sicuramente da noi è ancora centrale il concetto di file server, più che in altri paesi, per cui si ritiene spesso non fondamentale la copertura dei client. La nostra esperienza ci dice invece che i dati sui client ci sono eccome. Ci avviciniamo a quanto sembra facciano gli inglesi, che mediamente sembrano non gestire, o gestire in misura minore, il backup dei client.

Perché le aziende fanno fatica ad affrontare il tema del backup?

La maggior parte delle aziende con cui veniamo in contatto non hanno mai approcciato davvero il problema. Ritengo che il problema sia strettamente culturale. Da noi l’It è sempre stata vista come un costo, per cui le risorse a disposizione sono sempre state inferiori a quanto disponibile in altri contesti. Una situazione del genere porta le poche risorse umane impiegate in ogni azienda ad arrangiarsi come possono. L’attenzione è sempre sull’operatività e, fino a che le cose vanno bene, nessuno si impegna in progetti di più ampio respiro. Anche se costi delle soluzioni, come quelle di Acronis, sono abbordabili per chiunque, è evidente che se il budget a disposizione è pari a zero, non si va lontano.

Quanto influisce l’obbligo di compliance nell’adozione di policy di backup?

Sicuramente avrà sempre più peso, ma al momento non se ne sente parlare molto. Sono temi che interessano le società più strutturate. Dove invece sento sempre parlare di necessità legali è sull’utilizzo delle periferiche a nastro, ma non mi convince molto, poiché vi sono alternative più performanti ma altrettanto valide a quei fini, ma da noi questa soluzione è molto utilizzata.

Quante sono le aziende che possono dire di avere una reale policy di backup che copre l’intera azienda?

Se intendiamo un documento formale, una minoranza. E nel mercato Pmi penso quasi nessuno. Non vorrei però sembrare troppo negativo. Io vedo tutti i giorni soluzioni ingegnose create ad arte dai sistemisti che devono seguire le infrastrutture aziendali, che tra l’altro funzionano. In questo senso, siamo davvero un paese pieno di risorse.

Quanto influisce sulla diffusione delle pratiche di backup la mobilità degli addetti?

Sicuramente è un driver di crescita. Il controllo su questi utenti e la gestione dei loro dati è un problema sentito. Questo impatta ovviamente sul mercato cominciando dall’enterprise, ma è vero anche nel mid market.

E quanto influisce la crescente mobilità dei dati?

Questo è un punto chiave, poiché non si parla solo di fare backup o disaster recovery, si anche di come farlo. Si parla di organizzazione dell’infrastruttura, di centralizzazione e di connettività. In Italia la qualità delle connessioni è ancora un problema. E la dispersione dei tessuto economico, la necessità di muoversi sul territorio per fare business ne amplifica l’impatto.
L’anno scorso abbiamo introdotto la deduplicazione dei dati, che permette un drastico taglio nella quantità di dati da trasferire su storage remoti, e siamo stati i primi a posizionarci con questa tecnologia sul mercato Pmi. Il futuro parla di cloud computing anche nel nostro ambito, ma la curva di adozione da parte dei clienti, nel nostro paese, non sarà ripida.

Cosa offre Acronis in tema di backup?

Siamo specialisti, copriamo tutti gli aspetti del backup e del disaster recovery, partendo da un motore di imaging che ci posiziona ai massimi livelli come performance. La nostra linea di prodotti Acronis Backup & Recovery 10 copre tutti gli aspetti: sicurezza, bare metal restore, ripristino su hardware diverso, centralizzazione, deduplicazione. Caratteristica nostra è quella di avere realizzato sempre in autonomia le soluzioni. Questo ha dato ai nostri prodotti un’evidente uniformità di interfacce. In sintesi diamo la possibilità di coprire ambienti multipiattaforma, fisici e virtuali, attraverso un’unica interfaccia. Un bene, poiché il sistemista Acronis può dedicare il suo tempo alle strategie di business continuity, piuttosto che saltellare da un ripristino all’altro e da una procedura all’altra a seconda della macchina che ha di fronte.

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