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Intervista a Joy Marino, presidente MIX, dalla net neutrality ai bitcoin

Il MIX, Milan Internet eXchange, situato nel Campus di via Caldera a Milano, è il principale punto di interscambio (IXP) di reti Internet italiano e tra i primi in Europa, in termini di traffico veicolato.

Offre servizi di interconnessione a operatori internet italiani e stranieri, tramite piattaforme di switching ad alte prestazioni ed all’interno di infrastrutture di sala dati proprie a massima sicurezza fisica e logica garantendo un servizio di alta qualità, scalabilità e robustezza. È uno dei pochi IX Europei dotati di proprio datacenter, con picchi di traffico giornaliero di 500 Gbps.

Lo presiede Joy Marino (al secolo, Giuseppe Amedeo Marino), uno dei pionieri italiani di Internet e della comunicazione digitale. Prendiamo da WIkipedia: è stato, in particolare, l’artefice del primo collegamento di un’università italiana a internet. Ha ricoperto e ricopre incarichi dirigenziali in varie società italiane, particolarmente con ruoli di coordinamento in consorzi di supporto ad internet. È fra i promotori dell’AIIP (Associazione Italiana Internet Provider), di cui è attualmente il vicepresidente.

Il MIX è il primo IXP italiano che supera i severi controlli previsti dalla certificazione ISO27001:2013, standard che copre tutti gli aspetti di sicurezza degli impianti e dei processi informatici e la certificazione OIX-A di Open-IX (rilasciata a 2 IXP in Europa e 10 nel mondo) confermando il livello di eccellenza in termini di sicurezza e affidabilità dei servizi. È tra i fondatori di Open HUB MED, hub neutrale in Italia per l’interconnessione delle reti del Bacino del Mediterraneo verso il Nord Europa

Lo abbiamo intervistato partendo dal caso, d’attualità, della Net Neutrality, per capire, come da più parti si sta rilevando, le implicazioni che la scelta dell’amministrazione Trump può avere anche alle nostre latitudini. Ma abbiamo approfittato della sua esperienza e della sua disponibilità per toccare molti altri temi che riguardano non solamente internet, ma anche le tecnologie emergenti che vi transitano, in particolar modo l’intelligenza artificiale.

Ne è risultata un’intervista ampia, godibile, da leggere, appuntarsi, rileggere.

Partiamo dalla questione della Net neutrality: cosa sta cambiando o può cambiare per noi in Europa?

In USA sta cambiando molto: Trump ha promesso di smontare pezzo per pezzo tutto quello che aveva costruito Obama e sta mantenendo le promesse, anche se non sembra esserci una ratio, una finalità ben meditata sul perché si vuole smontare la Net Neutrality.

A me sembra più una guerra di bande: gli Over The Top da un lato e i grandi operatori telefonici americani, ammesso che ce ne sia più d’uno, dall’altra, senza che nessun regolatore/legislatore si ponga come fine lo sviluppo ordinato di quella cosa che chiamavamo Internet e la salvaguardia di alcuni valori fondamentali.

In Europa è diverso, se non altro perché siamo molto lenti a recepire queste istanze e incorporarle in un sistema di leggi. Di conseguenza non siamo corsi a cambiare le regole (in USA ci sono state 3 diverse direttive di FCC in 7 anni), ma una volta definite le linee guida manteniamo la rotta, anche perché il sistema a due livelli (prima Bruxelles delinea, poi le authorities nazionali recepiscono) è piuttosto lento.

La mia idea è che dall’altra parte dell’Atlantico i dibattiti, i movimenti di opinione, le pubbliche disamine, abbiano portato a un livello di consapevolezza dell’importanza della Net Neutrality nel comune cittadino che influenzerà il futuro, per quanto Trump possa provare a “smontare” il meccanismo. Temo che da questa parte, e soprattutto nel nostro Paese, non ci sia un’eguale consapevolezza.

D’altra parte in Europa abbiamo un mercato dell’accesso a Internet più concorrenziale di quello americano, ma, di converso, un mercato dei contenuti (quello che può essere avvantaggiato dall’applicazione della Net Neutrality) che è in gran parte dominato dagli operatori americani. Stay tuned, come si diceva una volta.

Quando è iniziata la trasformazione digitale italiana e in che fase è attualmente?

Non credo che il MIX sia un osservatorio particolarmente qualificato per considerazioni che sono soprattutto sociologiche ed economiche, anche se è vero che in diversi momenti della nostra storia abbiamo percepito quei cosiddetti segnali deboli, come un incremento del traffico Internet scambiato, la crescita dei clienti medio-piccoli collegati, l’arrivo dei grandi operatori  globali di contenuti, che si sono poi rivelati l’inizio di svariate nuove stagioni nell’evoluzione della Rete in Italia.

Avendo i capelli grigi, posso ricordare anche quante volte in questo Paese ci siamo lamentati dei ritardi nell’adozione di nuove tecnologie, per poi riconoscere, a posteriori, che l’Italia si comporta come se fosse composta di innumerevoli micro-bussole, tutte orientate a caso, che quando percepiscono un minimo di campo magnetico stabile, in un attimo si allineano tutte nella stessa direzione. In altri paesi c’è bisogno di programmazione, di piani nazionali”e il cambiamento è più precoce a partire, ma anche più lento a completarsi.

Così sta succedendo anche per la trasformazione digitale. Credo che i driver siano stati due: il raggiungimento di una quota di accessi Internet significativa (diciamo oltre il 50% della popolazione) e la percezione che, finalmente, il governo faceva sul serio per quanto riguarda la cablatura in fibra ottica su larga scala.

In questo ambito, iniziative di sostegno come il piano Impresa 4.0 o il voucher digitalizzazione, che effetto concreto producono?

Su questo punto sospendo il giudizio, mi si consenta di ricordare a me stesso “Ofelè fa el to mesté”. Osservo solo che si tratta di due azioni che mirano a contrastare da un lato un problema endemico italiano: la bassa produttività che si traduce in poca competitività, dall’altro a trovare soluzione a un problema congiunturale: come incrementare i consumi “buoni” per uscire dalla stagnazione. Probabilmente il secondo è più facile del primo, ma entrambi sono importanti.

Come inquadra blockchain? Che influenza ha o avrà sulle scelte infrastrutturali?

Mi sono arruolato nel novero di quelli che lo considerano the next big thing. Le uniche obiezioni che ho sentito sono relative al peso computazionale che si porta dietro, un aspetto che verrà facilmente superato se, come sembra, la Legge di Moore manterrà le promesse per almeno una decina d’anni ancora.

Le ricadute non sono tanto sulle infrastrutture ICT, blockchain da questo punto di vista è e sarà solo un grande consumatore di risorse cloud, quanto sulle modalità di funzionamento della nostra società digitalmente trasformata. La sua trasversalità, la possibilità di introdurre tecnologia blockchain in innumerevoli aspetti delle attività sociali ed economiche mi ricorda molto le potenzialità che riconoscemmo in Internet negli anni 90 del secolo scorso.

Mi viene in mente una metafora che allora usava Shikhar Ghosh di OpenMarket, una delle prime piattaforme di e-commerce: “Termites!” (Termiti). Sia Internet che blockchain scavano dall’interno le strutture fisiche del nostro mondo, senza che ce ne accorgiamo e poi, oplà! qualcosa crolla e deve inevitabilmente essere sostituito dal nuovo.

Da blockchain a bitcoin un passo è breve, ma in senso più ampio, come i pagamenti digitali agiranno sul modo di disporre della rete?

Le cripto-currencies sono solo un di cui della tecnologia blockchain, entrano più facilmente nell’immaginario quotidiano, ma dobbiamo pensarle semplicemente come la punta dell’iceberg della trasformazione appena iniziata.

Nella sostanza, mi sembra che bitcoin e le altre stiano occupando un vuoto che era stato lasciato incautamente libero dai gestori nella moneta tradizionale, non fisica, perché la finanza aveva già virtualizzato da tempo la moneta, con i risultati che abbiamo vissuto sulla nostra pelle 10 anni fa.

La promessa di transazioni monetarie puramente digitali, a bassissimo costo e con discreta garanzia di anonimato, è uno dei driver essenziali dell’economia digitale. Non l’avevano raggiunto le carte di credito di plastica, non c’è riuscito PayPal, non ci hanno provato gli operatori mobile. Ora sarà una corsa a occupare gli spazi, a cui parteciperanno tutti e non so chi alla fine vincerà.

Un’intelligenza artificiale sempre più pervasiva che rapporto avrà con le infrastrutture?

Sono della generazione che ha visto “2001 Odissea nello spazio” nelle sale cinematografiche. Quello che nessuno immaginava allora è che l’interfaccia sarebbe stata miniaturizzata nel palmo della mano e il calcolatore sarebbe stato remoto, sempre connesso e grande come un Data Center (per ironia un Data center è fisicamente quanto di più simile ci possa essere oggi ad un mainframe IBM degli anni 60).

L’intelligenza artificiale riesce a fare quello che fa oggi perché esistono le infrastrutture cloud (Data Center e reti). Di converso, più saranno pervasivi gli usi dell’AI, più crescerà la domanda di infrastrutture Cloud.

Così come per la tecnologia blockchain, siamo in presenza di due driver importanti di sempre maggiori infrastrutture fisiche, maggiori potenze di calcolo, reti più veloci, pervasive e affidabili.

Non vorrei deviare dalla domanda, ma credo che il vero nodo critico nel nostro futuro sia legato all’ecologia: “Quale footprint in termini di CO2 saremo in grado di sopportare per tutte queste infrastrutture ICT?

MIX: a che punto è arrivato? Quali nuovi soggetti ha attratto?

L’anno scorso è stato un anno molto importante per MIX. Molti dei progetti che avevamo in cantiere sono arrivati a compimento: l’accensione del nuovo Data Center di MIX in Caldera (via Caldera a Milano dove nel corso di oltre 20 anni si è concentrata la massima presenza di operatori dell’industria di Internet), la distribuzione su più Datacenter neutrali nell’area milanese e lombarda dell’infrastruttura di Internet peering di MIX. E naturalmente l’entrata in servizio di Open Hub Med in Sicilia, data center per il traffico dati nel Mediterraneo che ci vede all’interno di un consorzio di dodici società, presieduto da Valeria Rossi (Direttore Generale di MIX).

Tutto questo ha richiesto investimenti che sono considerevoli per un’azienda delle nostre dimensioni, ma siamo arrivati in fondo e possiamo guardare con ottimismo al prossimo futuro.

Personalmente giudico molto importante la distribuzione geografica della nostra infrastruttura: da un lato ci permette di rispondere positivamente ad una delle poche critiche che ci sono state rivolte, quella di essere “Caldera-centrico”, di non avere resilienza rispetto a eventuali situazioni catastrofiche locali.

Dall’altro ci consente di abbracciare un paradigma di architettura di Internet Exchange Point (IXP) che è quello più popolare in Europa, caratterizzato da più sedi, geograficamente distribuite in un ambito territoriale metropolitano o regionale, con punti di presenza collocati all’interno di Data Center neutrali, dove anche i grandi operatori internazionali (gli OTT e le Content Delivery Networks, ad esempio) possono trovare spazio per le proprie infrastrutture informatiche. Uno schema che si è rivelato vincente nei paesi del Nord Europa.

Usando una terminologia idraulica (dopotutto il nostro mestiere è quello di muovere flussi di bit tra i tubi di tutti i nostri afferenti) possiamo dire di avere capacità complessiva per un traffico di 2,5 Tbit/sec e abbiamo attualmente 222 operatori connessi.

Tra questi sono presenti tutte le tipologie di soggetti coinvolti nell’ecosistema di Internet, dai grandi operatori  globali di contenuti o OTT (Amazon, Facebook, Google, Microsoft, ed altri che sono in arrivo), alle Content Delivery Networks o CND (Limelight, Akamai, ma anche Netflix), tutti i grandi operatori di accesso ad Internet (Fastweb, Vodafone, Wind, ma anche TIM), i principali content provider nazionali (RAI, Mediaset, SKY, ma anche il Sole24Ore).

Ci sono poi operatori di medie e anche di piccole dimensioni, alcuni con sola presenza in alcune regioni italiane: per tutti questi MIX è un’opportunità importante per interconnettersi con i grandi e per fornire ai propri clienti una qualità e una “user experience” che sia paragonabile a quella dei clienti dei grandi operatori nelle grandi città.

Esiste una differente percezione sull’importanza del ruolo del MIX fra Italia ed estero?

Esiste sicuramente una diversa percezione del ruolo del IXP in Italia e all’estero. Ho un esempio recentissimo che ancora mi brucia. Un paio di mesi fa si è concluso il contest per l’assegnazione della sede dell’EMA (European Medicines Agency) a una città europea.

Se si confrontano le proposte di Milano e di Amsterdam (che ha poi vinto alla monetina) si può leggere che la nostra Milano offriva il Pirellone (con tariffe speciali per tutte le normali utilities, acqua, luce, gas e internet), unico punto in tutta la proposta in cui compare la parola internet.

Amsterdam nel capitolo Connectivity dedica 3 pagine all’aeroporto di Schiphol, 1 pagina alle reti ferroviarie e autostradali, e ben 2 pagine alla connettività ICT, tutta incentrata su AMS-IX, l’IXP con sede ad Amsterdam.

Ora è vero che AMS-IX è il principale snodo europeo, che è più grande di MIX, ma negli ultimi 5 anni MIX è cresciuto più rapidamente della media degli IXP europei, restringendo il gap con i grandi IXP del Nord Europa e con lo stesso AMS-IX, e c’è riuscito senza una politica nazionale che valorizzi il principale punto di interscambio rispetto ad altri hub nazionali (qualcosa come l’infausta diatriba tra Malpensa e Fiumicino, per capirsi), senza un chiaro commitment dell’operatore di accesso ex-monopolista, senza essere nei radar degli enti locali, per i quali internet è solo una delle normali utility che devono essere erogate.

Chissà che cosa si riuscirebbe a fare, se ci fosse un po’ di spirito di squadra e di difesa degli interessi nazionali e locali.

 

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