Intelligenza artificiale. Un motore dello sviluppo che chiede aiuto ai vendor

Perché l’iniziativa di Ibm sull’Autonomic computing non rimanga un fatto isolato, è necessario che l’intera comunità tecnologica riprenda in mano il tema dell’Ia. Alcuni casi, anche italiani, fanno pensare che ciò potrebbe accadere. Con effetti anche sul Knowledge management.

 


 


La presente riflessione sull’Intelligenza artificiale può cominciare con un articolo "al vetriolo" comparso di recente sulle pagine telematiche della rivista statunitense Hot Wired, con cui Marvin Minsky, guru e co-fondatore, nel 1959, dell’Artificial Intelligence Laboratory del Mit (Massachusetts Institute of Technology), ha accusato i ricercatori di "aver abbandonato la grande sfida del progetto di vera Intelligenza artificiale: elaborare una macchina autonomamente pensante".


Il lamento di Minsky è giustificato: i cosiddetti expert system, che tentano l’emulazione del comportamento umano, sono da tempo fermi a concetti come "l’acqua è bagnata" e "il fuoco è caldo", proposizioni troppo semplici ed elementari per fungere da "sistemi esperti" degni di tale nome.


Il problema non è la mancanza di capacità, ma la volontà stessa di realizzare sistemi in grado di riprodurre il comportamento umano, partendo da modelli cognitivi. Insomma, la colpa sarebbe della comunità tecnologica che non investe in questo campo. Eppure l’impresa, per quanto lontana, non pare impossibile. La risposta dell’establishment del Mit non si è fatta attendere, respingendo la polemica di Minsky con casi concreti. Due esempi su tutti: Roomba, il quasi perfetto maggiordomo meccanico, creato da Rodney Brooks, e il progetto Cog, un robot che sarà capace di imparare dalle sue stesse azioni. Ci ritroveremo, presto una società composta da umani e indistinguibili umanoidi?

Cosa si fa nel nostro Paese


Speriamo, perché, l’Ia è una realtà considerevole, soprattutto dal punto di vista applicativo. "Ma bisogna parlarne di più – dichiara Stefania Bandini, coordinatore del progetto di lavoro per l’Ia nelle aziende sostenuto dal Dipartimento di Informatica, Sistemistica e Comunicazione dell’Università di Milano Bicocca -. Non sono d’accordo con Minsky, i progressi negli studi sull’Ia ci sono e sono concreti, anche qui in Italia. Sia nel campo della robotica ma soprattutto sul fronte del Knowledge management". La ricerca italiana mostra così ottimismo. Le applicazioni industriali elaborate dal polo della Bicocca sono già in uso da qualche tempo presso alcune delle maggiori realtà aziendali, come la Pirelli, che sta sperimentando, con successo, il Progetto P-Race per definire la formulazione di composti chimici per la realizzazione delle mescole battistrada dei pneumatici da competizione. Un esempio perfetto di applicazione di Ia alle necessità industriali. "La scelta di una mescola per una data gara – continua Bandini – dipende strettamente dai risultati di precedenti esperienze". Siamo quindi in presenza di un alto grado di coinvolgimento di conoscenze ed esperienze che in gergo sono definite di tipo episodico. L’attività di progettazione è stata rappresentata mediante un ciclo computazionale tipico di un metodo ben noto nell’ambito dell’Ia, il Case Based Reasoning. "Si tratta – dice Bandini – di una tecnica che privilegia la costruzione della soluzione di un caso mediante riuso o modifica di casi precedentemente risolti". E che realizza uno dei principi primi dell’Ai, l’autoapprendimento. "L’applicazione di questa soluzione – racconta la ricercatrice – permette di ottenere una struttura dinamica del sistema, che mette in atto il learning incrementale". L’utilizzo di software di Ia permette così la gestione di quella che viene definita "core knowledge" di un’azienda, l’insieme, cioè, delle conoscenze e competenze che costituiscono la ragione d’essere dell’impresa stessa. "In questo caso – dice Bandini – il core knowledge di Pirelli coincide con la capacità di produrre pneumatici. P-Race realizza così la messa in opera del sistema di conoscenze dell’azienda". Pirelli non è la sola a ricorrere a software di Ia. Oltre a Illy, Merloni e Deloitte, il Comitato Olimpico ha chiesto uno studio di fattibilità per un software di Ia sull’ottimizzazione delle vie di fuga in caso di pericolo. "Utilizzando gli agenti intelligenti – spiega Bandini – si simula il comportamento di una folla colta dal panico in modo da elaborare preventivamente i percorsi e le locazioni per le uscite di sicurezza".


Insomma, nonostante lo scetticismo di Minsky, l’Ia in Italia c’è. Tuttavia, ribadisce Bandini, "se ne continua a parlare troppo poco". Vendor, se ci siete, battete un colpo.

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