Innovare vuol dire «semplificare»

Per Mauro Solimene, alla guida di Ca Italia, l’innovazione è prima di tutto nell’infrastruttura e nella capacità di facilitare alle aziende e agli utenti interni l’accesso alle tecnologie

Abbiamo incontrato il country manager e amministratore delegato di Ca Italia, Mauro Solimene, per un confronto sul tema dell’innovazione aziendale. Il dibattito ha posto al centro dell’attenzione il ruolo strategico dell’infrastruttura It in tutti i processi di innovazione e la necessità di semplificare l’accesso ai “motori” abilitanti.


Partiamo con la definizione, in due parole, di innovazione.


«Veramente due parole. L’innovazione deve servire per “mascherare” quella complessità che è strettamente connaturata con la estesa e profonda evoluzione dei sistemi informativi».


Ci spiega meglio il concetto di “mascherare la complessità”?


«Dobbiamo avere la consapevolezza che ogni persona è il centro di un universo sempre più articolato e complesso nel quale la tecnologia si intreccia con l’economia, con il sociale, con i servizi pubblici, con il lavoro. In questo scenario il ruolo di un fornitore di prodotti e tecnologie deve trasformarsi in un fornitore di innovazioni e l’innovazione più importante è proprio quella di semplificare a ogni persona l’utilizzo e l’accesso ai servizi “nascondendo” tutti gli apparati e tutti i processi di dialogo con gli apparati che sostengono l’erogazione dei servizi».


Anche a livello di Cio?


«Sì, con i dovuti distinguo anche a questo livello. L’Ict deve rispettare e valorizzare le competenze. Il Cio deve disporre di strumenti che semplificano certi processi per concentrarsi sui temi sui quali la sua azienda può esprimere il proprio valore».


Facciamo qualche esempio.


«Google. Una pagina bianca, una stringa di testo, un invito a “cercare”. Pochi secondi e il servizio mette a disposizione una lista di risposte. A nessuno è chiesto di interrogarsi sugli algoritmi che sottostanno alla produzione di quella lista di proposte».


E un esempio che riguardi Ca e il mondo dei Cio?


«Ca lavora per mascherare le complessità di gestione di quelle infrastrutture che stanno crescendo e che costituiscono la grande ossatura di tutti i processi di innovazione delle imprese e della Pa. Gli strati intermedi che fanno capo al middleware, alla security, alla gestione del dato e alla business intelligence sono e devono diventare sempre di più per i Cio uno strumento attraverso il quale proiettare le idee innovative sui clienti e sui cittadini e non il fine dell’attività di gestione dei sistemi It».


Qual è, dal vostro punto di vista, il rapporto tra imprese e innovazione?


«I driver dell’innovazione sono sostanzialmente due: si innova per necessità, per evitare di uscire dal mercato o si innova per conquistare un vantaggio e per trasferire ai clienti o ai cittadini questo vantaggio. La motivazione è il vero punto discriminante per comprendere la qualità dei diversi processi innovativi e il ruolo dell’Ict è fortemente connessa con il tipo di innovazione che si sta processando. Là dove l’innovazione nasce dalla volontà di conquistare e trasferire un vantaggio competitivo l’Ict è sempre di più un fattore abilitante strettamente collegato all’innovazione stessa. Ovvero senza l’Ict, quell’innovazione non solo non sarebbe attivabile ma nemmeno concepibile».


Ci può fare un esempio?


«In alcune aree della Pubblica amministrazione o dei servizi pubblici è in corso una straordinaria metamorfosi, che porta a valorizzare il punto di contatto con il cittadino come un momento di creazione e gestione di nuovi servizi. Le Poste sono uno degli esempi più avanzati di questa metamorfosi e di riconversione da un servizio “passivo” a una fonte di nuovi servizi sempre più evoluti ed efficienti, che valorizzano la presenza di questa realtà sul territorio, la sua capacità di “contatto” con il pubblico e le sue straordinarie possibilità di creare e gestire nuovi servizi. Ed è qui che si fissa il ruolo dell’Ict come fattore abilitante di tutti i nuovi servizi, sia come infrastruttura sia, e soprattutto, come innovazione capace di nascondere tutta la complessità infrastrutturale che sottende all’erogazione dei servizi e che non deve intaccare il rapporto tra cittadini e Poste».


In questa visione prima viene l’infrastruttura e poi l’innovazione.


«Vero. Senza una importante infrastruttura Ict non è possibile dare corso a processi di innovazione stabili e di sviluppo».


Alla luce di questa considerazione, come si può descrivere il panorama dell’offerta Ict a oggi?


«C’è stata una grande evoluzione rispetto al mercato di 10-15 anni fa. Negli anni 90 si è assistito a un proliferare di produttori di tecnologie e di servizi. Il valore dell’offerta era fortemente collegata al prodotto. Il mondo aveva due grandi categorie di attori: i produttori presenti su tutte le linee d’offerta e i super-specialisti di nicchia. Oggi il mercato è polverizzato in migliaia di nicchie e si assiste alla “sparizione” dei generalisti e degli specialisti assoluti, mentre emerge una figura di provider capace di gestire l’It presente sul mercato nel ruolo di “aggregatore-consulente” di tecnologie proprie e di tecnologie altrui».


È anche la logica del consolidamento?


«Certo e anche in questo si intravede il tema dell’innovazione, perché si può vedere sia il filone del consolidamento aziendale classico, che procede tramite acquisizioni, sia quello del consolidamento logico, che procede tramite partnership ed è qui che si gioca il grande tema dei nuovi aggregatori, che superano, a volte, anche i limiti posti dal principio della concorrenza».


Cosa vuol dire fare innovazione nelle Pmi, dal vostro punto di vista?


«Prima di tutto due parole sul concetto di “piccola” impresa. Un conto è l’azienda di piccole dimensioni e un altro l’azienda che indirizza una piccola percentuale del proprio budget all’Ict. Purtroppo questi due temi sono strettamente correlati, ma ci sono casi importanti in cui l’Ict conta su quei valori di budget che consentono all’azienda di conquistare un prezioso vantaggio competitivo. Ma oltre alla questione della dimensione del budget, c’è anche quella della cultura nell’utilizzo dell’Ict, del modo in cui possono essere investite queste risorse che cambia in funzione non solo della dimensione ma del vantaggio competitivo che l’Ict può portare in relazione al tipo di attività, al settore e alle competenze interne all’azienda che può valorizzare».


Anche qui un esempio per capire?


«Stiamo studiando con Telecom Italia, Fastweb e Vodafone la creazione di servizi innovativi, come ad esempio la pacchettizzazione di una piattaforma di servizi per la sicurezza. Il tutto con l’obiettivo di trasferire all’esterno la complessità e di concentrare la competenza specifica Ict dell’azienda sui processi innovativi. L’Ict deve essere sempre abilitante o di tutta l’innovazione o di quei componenti che si possono tradurre in un chiaro vantaggio competitivo».


In conclusione, qual è il messaggio forte che volete trasferire ai Cio sul tema dell’innovazione?


«Semplice: uscire dalla logica della manutenzione che distoglie dall’innovazione. Ca lavora per liberare i Cio dalla necessità di occuparsi di tutti i processi che servono per far funzionare la “macchina” e avere tempo e risorse da dedicare, appunto, all’innovazione».

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